Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 14 novembre 2017, n. 26826. Per i contratti stipulati da enti ecclesiastici le limitazioni ai poteri di rappresentanza degli enti e l’assenza di controlli previsti dal codice di diritto canonico sono opponibili a terzi

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3. Con il decimo motivo del ricorso principale si denunzia “Violazione dell’articolo 1349 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.
Con l’undicesimo motivo del ricorso principale si denunzia “Omesso esame circa il fatto decisivo (articolo 360 c.p.c., n. 5) che dalla transazione emergevano una serie di criteri di valutazione cui gli arbitratori avrebbero dovuto attenersi”.
Con il dodicesimo motivo del ricorso principale si denunzia “Violazione del principio della deducibilita’ delle invalidita’ negoziali anche in via di eccezione (articolo 1442 c.c., comma 4 e articolo 1499 c.c., comma 2) per aver subordinato l’esame delle doglianze ad una specifica impugnazione della perizia (articolo 360, n. 3)”.
Con il tredicesimo motivo del ricorso principale si denunzia “In subordine: nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 4) per aver affermato che la perizia non e’ stata impugnata”.
I motivi dal decimo al tredicesimo – aventi ad oggetto la questione della validita’ della perizia che ha determinato il valore dell’asse ereditario del marchese (OMISSIS) – sono connessi e possono essere quindi esaminati congiuntamente. Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
La corte di appello, sulla base dell’esame del testo del contratto di transazione, ha interpretato la volonta’ delle parti ed ha stabilito che queste avevano inteso devolvere agli arbitri la concreta determinazione della prestazione dedotta in contratto (cd. arbitraggio), rimettendosi al loro mero arbitrio, ai sensi dell’articolo 1349 c.c., con la conseguenza che detta determinazione poteva essere impugnata esclusivamente provando la mala fede dei periti, mala fede che pero’ nella specie non era stata neanche specificamente dedotta, ancor prima che provata (avendo in realta’ gli enti ricorrenti sostenuto che, non trattandosi di perizia rimessa a mero arbitrio, essa era impugnabile per manifesta iniquita’ e/o erroneita’, ed avendo appunto dedotto esclusivamente l’iniquita’ e l’erroneita’ della determinazione finale del valore dell’asse ereditario).
Orbene, l’interpretazione della volonta’ negoziale delle parti e’ stata accertata dalla corte di appello prendendo in considerazione i fatti storici rilevanti, e cioe’ il contenuto del contratto di transazione (e, nell’ambito di questo, specificamente l’avvenuta indicazione di linee guida per l’esercizio del potere discrezionale degli arbitri, fatto del quale infondatamente viene oggi denunziato l’omesso esame), ed e’ sostenuta da motivazione non apparente ne’ insanabilmente contraddittoria sul piano logico, onde essa, avendo ad oggetto un accertamento di fatto, non e’ censurabile in sede di legittimita’.
Sulla base della qualificazione della determinazione affidata ai periti come rimessa al loro mero arbitrio, e rilevato che, oltre a non essere stata provata la sua palese iniquita’, non era in realta’ stata neanche specificamente denunziata la mala fede degli arbitri, i giudici di merito hanno poi correttamente applicato, in diritto, le disposizioni di cui all’articolo 1349 c.c., ritenendo non ulteriormente contestabile la predetta determinazione. E’ appena il caso di osservare che, in tale contesto, l’affermazione della corte di appello per cui la perizia non sarebbe stata impugnata, non puo’ che intendersi come riferimento alla mancata proposizione di motivi di impugnazione ammissibili ai sensi dell’articolo 1349 c.c., comma 2.
E sotto quest’ultimo profilo, l’interpretazione delle difese degli enti opponenti con riguardo alle eccezioni sollevate in relazione alla perizia (che costituisce in effetti un accertamento di fatto riservato ai giudici di merito e come tale non potrebbe neanche essere sindacato nella presente sede) risulta del tutto corretta, sulla base dell’esame del contenuto dell’atto di opposizione trascritto nel ricorso (pag. 34, nota 33), dal quale emerge la denunzia di una serie errori che si asseriscono commessi dai periti, ma non una specifica denunzia della loro mala fede (e cioe’ della intenzionale parzialita’ della determinazione a favore di uno dei contraenti, come sarebbe stato necessario ai sensi dell’articolo 1349 c.c., comma 2).
I motivi di ricorso in esame non colgono pertanto nel segno, ne’ laddove i ricorrenti denunziano violazione dell’articolo 1349 c.c. e omesso esame di fatti decisivi (in particolare, cio’ e’ a dirsi con riguardo al decimo ed all’undicesimo motivo), ne’ laddove essi lamentano una non corretta interpretazione delle loro difese e censurano l’affermazione per cui la perizia non sarebbe stata impugnata (in particolare, cio’ e’ a dirsi con riguardo al dodicesimo ed al tredicesimo motivo).
4. Il ricorso incidentale ha ad oggetto esclusivamente la questione delle spese liquidate nel giudizio di merito.
Esso e’ pertanto assorbito, a seguito della cassazione con rinvio della sentenza impugnata e della conseguente necessita’ di provvedere nuovamente, all’esito del giudizio di rinvio, alla regolazione delle spese di lite.
5. Sono accolti i primi quattro motivi del ricorso principale, che e’ rigettato per il resto; e’ assorbito il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata e’ cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale che rigetta nel resto, dichiarando assorbito il ricorso incidentale;
cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata, con rinvio del procedimento alla Corte di Appello di Milano che, in diversa composizione, provvedera’ anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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