[….segue pagina antecedente]
2.1. Si rileva in via preliminare che le norme del codice di procedura penale che regolano i riti premiali nella parte in cui disciplinano le riduzioni di pena devono essere intese come norme regolatrici di “sanzioni”. Sul punto si richiama l’autorevole insegnamento espresso dalle sezioni unite nel caso Ercolano, quando era in valutazione la legalita’ della (sopravvenuta) pena dell’ergastolo introdotta con una modifica delle norme sul rito abbreviato, altro rito premiale a prova contratta alla cui ammissione segue una considerevole riduzione della pene (Cass. sez. U, n. 18821 del 24/10/2013 – dep. 07/05/2014, Ercolano, Rv. 25865101). La natura “sostanzialmente sanzionatoria” delle regole che disciplinano i premi procedurali trova conferma anche nella giurisprudenza della Corte Edu e segnatamente nella ratio decidendi espressa nella sentenza Scoppola v. Italia (Corte Edu Grande camera, 17 settembre 2009). In tale sentenza, con riferimento al rito abbreviato la Corte europea ha affermato che “l’articolo 442 sopra citato fa parte del codice di procedura penale, le cui disposizioni regolano normalmente la procedura da seguire per perseguire e giudicare i reati. Tuttavia, la qualifica nel diritto interno del testo di legge interessato non puo’ essere determinante. In effetti, se e’ vero che gli articoli 438, 441 e 443 c.p.p. descrivono il campo di applicazione e le fasi processuali del giudizio abbreviato, rimane comunque il fatto che il paragrafo 2 dell’articolo 442 e’ interamente dedicato alla severita’ della pena da infliggere quando il processo si e’ svolto secondo questa procedura semplificata” (Corte Edu, grande Camera Scoppola v. Italia, 17 settembre 2009, § 11).
2.2. Puo’ dunque affermarsi che l’accesso ad un rito nei casi non consentiti con conseguente applicazione del premio sanzionatorio connesso configura una situazione in cui viene applicata una pena illegale.
Sul punto si ricorda che la giurisprudenza della Cassazione ha individuato in capo al giudice di legittimita’ un pervasivo onere di controllo della “legalita’ del giudicato” che non si limita alla verifica della perdurante esistenza della fattispecie astratta cui si riferisce la condanna, ovvero alla valutazione della sopravvenienza di eventi aboliti della fattispecie incriminatrice, ma si estende anche al vaglio della coerenza del trattamento sanzionatorio (in corso di esecuzione) con i parametri di legalita’ “alta” (costituzionale o convenzionale) eventualmente ridefiniti dopo la formazione del giudicato (Cass. sez. un. n. 18821 del 24/10/2013 – dep. 07/05/2014, Ercolano, Rv. 258649; Cass. sez. un, n. 42858 del 29/05/2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260697). Si e’ deciso, tra l’altro, che nel giudizio di cassazione l’illegalita’ della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalita’ di’ norme riguardanti il trattamento sanzionatorio e’ rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilita’ del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo (la dichiarazione di incostituzionalita’, intervenuta con la sentenza n. 32 del 2014, riguardava il trattamento sanzionatorio introdotto per le cosiddette “droghe leggere” dal Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49: Cass. sez. un. n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207). Si e’ anche affermato che in presenza di ricorso inammissibile la Corte di cassazione puo’, anche d’ufficio, ritenere applicabile il nuovo e piu’ favorevole trattamento sanzionatorio disponendo, ai sensi dell’articolo 609 c.p.p., l’annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative “in melius”. (Cass. sez. un. n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111). Si rimarca che tale controllo incontra il limite costituito dal divieto di reformatio in peius dato che nel giudizio di legittimita’, l’illegalita’ “ab origine” della pena, inflitta in senso favorevole all’imputato, puo’ essere corretta dalla Corte di cassazione solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, essendo limitato il potere di intervento d’ufficio, in sede di legittimita’, ai soli casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato (Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529; Cass. Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013 Rv. 257672).
2.3. Nel caso di specie, il limite del divieto della reformatio in peius non e’ operativo in quanto il vizio e’ stato dedotto tempestivamente dal Procuratore generale.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata anche in relazione alla applicazione della pena illegale, conseguente alla rilevata violazione dell’articolo 444 c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Gorizia.
Cosi’ deciso in Roma, il 11 ottobre 2017.
Leave a Reply