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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza n. 10265 del 2 maggio 2013

Svolgimento dei processo

Con ricorso al Tribunale di Agrigento, A. M.
chiese l’accertamento negativo del credito di cui al verbale ispettivo dell’INPS del 20 settembre 2000, relativo all’omesso versamento dei contributi dovuti, dal 1993 al 1999, quale datore di lavoro agricolo.
A sostegno dell‘opposizione dedusse che per gli anni 1998 e 1999 aveva presentato le dichiarazioni trimestrali della manodopera impiegata senza che l’INPS gli avesse fornito il conteggio dei contributi e inviato i necessari bollettini di versamento, mentre il suddetto verbale ispettivo doveva comunque ritenersi illegittimo nella parte in cui non aveva analiticamente indicato il calcolo delle sanzioni dovute che, a suo dire, risultavano del tutto sproporzionate all’omissione contestata.

Lamentò comunque che il calcolo delle retribuzioni imponibili per l’anno 1999 era stato effettuato senza tenere conto della sua adesione al contratto di riallineamento depositato nelle forme di legge.
Con successivo ricorso, il M. propose opposizione avverso la cartella esattoriale notificatagli il 29/1/2003, con la quale gli era stato intimato il pagamento di euro 524.845,19 per le medesime causali del verbale ispettivo, deducendone la illegittimità ai sensi dell’art. 24 comma 3 del d.lgs n. 46/99, stante la pendenza del giudizio avverso l’accertamento ispettivo, e, nel merito, riproponendo le medesime difese sopra riportate.
L’INPS e la M. S. restavano contumaci.
Il Giudice adito, riuniti i giudizi, con sentenza n. 2593/2003, annullò la cartella di  pagamento opposta, respingendo tuttavia la domanda proposta da M.
In particolare il Tribunale, premesso che la pendenza dei procedimento avente ad oggetto l’accertamento ispettivo precludeva l’iscrizione a ruolo dei contributi, ai sensi dell‘art. 24, comma 3, del d.lgs n.46/99, con conseguente invalidità della cartella di pagamento, ritenne pero che la domanda proposta dal M. fosse infondata in quanto costui non aveva provato la validità  del contratto di riallineamento retributivo del quale aveva chiesto l’applicazione, contestata dall’INPS sin dalla fase amministrativa quanto al requisito di rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
Avverso tale sentenza  proponeva appello il M. resisteva l’INPS, mentre la M. S. restava contumace.
Con sentenza depositata il 23 febbraio 2007, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava che sui contributi di cui in motivazione, l’appellante era tenuto a pagare all’INPS le somme aggiuntive determinate tuttavia in applicazione dell’art. 1, comma 217, lett. a) della L. n. 662/96.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS, affidato ad unico motivo.
Il M. ed il M. S. s.p.a. sono rimasti intimati.

Motivi della decisione

1.- L’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 217, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.), oltre ad un vizio di motivazione (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.).
Lamenta che la Corte distrettuale ritenne erroneamente che la condotta osservata dall’originario ricorrente non dovesse essere ricondotta nell’alveo dell’evasione contributiva, bensì in quello dell’omissione, avendo il M. presentato le denunce trimestrali, seppure con riduzioni retributive esplicitamente riferite alla dichiarata applicazione del contratto di riallineamento (di cui all’art. 5 del D.L. n. 510 del 1996, convertito nella legge n. 608 del 1996), la cui validità doveva essere comunque vagliata dall’Istituto.
Evidenzia che, secondo quanto osservato dalle sezioni unite di questa Corte (sent. n. 4808/05), “la fattispecie dell’omissione contributiva deve ritenersi limitata all’ipotesi del (solo) mancato pagamento da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie, mentre la mancanza di uno solo degli altri necessari adempimenti, in quanto strettamente funzionali al regolare svolgimento dei compiti di istituto dell’Ente previdenziale ed alla tempestiva soddisfazione dei diritti pensionistici dei lavoratori assicurati è sufficiente ad integrare gli estremi della evasione, mentre “un’interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all‘Ente previdenziale l’accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche prescritte dalla legge n. 843 del 1978, aggraverebbe la posizione dell’Ente previdenziale, imponendo allo stesso un’incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati”.
Deduce l’INPS che le argomentazioni utilizzate a sostegno della decisione impugnata, si ponevano in contrasto con l’insegnamento della Suprema Corte.
Ed invero, prosegue il ricorrente, premesso che costituisce dato pacifico il mancato pagamento dei contributi (elemento che di per sé solo potrebbe configurare l‘ipotesi dell’omissione), va rilevato che risulta ugualmente accertato e non contestato che le retribuzioni denunciate non erano quelle contrattuali, ma quelle ridotte in rapporto ad un contratto di riallineamento invalido, che peraltro costrinse l’Istituto ad un accertamento ispettivo al fine di verificare le contribuzioni dovute, inferendone, erroneamente, che nella specie si versava in ipotesi di omissione e non già di evasione contributiva.

2. – Il ricorso è infondato.
La questione ha formato oggetto di diverse e contrastanti pronunce di questa S.C., affermandosi dapprima che in tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed  assistenziali, l’omessa denuncia all’INPS di lavoratori, ancorché registrati nei libri paga e matricola, configura l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui all‘art. 116, comma 8, lett. B), della legge n. 388 del 2000 e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lettera A) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l’omessa denuncia dei lavoratori all’INPS faccia presumere l‘esistenza della volontà del datore di occultare i rapporti di lavoro al fine di non versare i contributi, e gravando sul medesimo l’onere di provare la sua buona fede, che non può reputarsi assolto in ragione della mera registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola, che restano nell’esclusiva disponibilità del datore stesso e sono oggetto di verifica da parte dell’istituto previdenziale solo in occasione delle ispezioni (Cass. 10 maggio 2010 n. 11261).
Si è poi invece sostenuto, anche nel vigore della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che la mera mancata presentazione dei moduli indicanti la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare, configuri la fattispecie della omissione — e non già della evasione – contributiva, ricadente nella previsione della lettera a) dell‘art. 116, comma 8, della medesima legge, qualora il credito dell’istituto previdenziale sia comunque evincibile dalla documentazione di provenienza del soggetto obbligato, quali i libri contabili e le denunce riepilogative annuali (Cass. 20 gennaio 2011 n. 1230).
Successivamente la Corte ha affermato che l’omessa o infedele denuncia mensile all‘INPS (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l‘ipotesi di “evasione contributiva” di cui all’art. 116, comma 8, lett. B), della legge n. 388 del 2000, e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lettera A) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi dovendosi ritenere che l’omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi (cfr. Cass. 27 dicembre 2011 n. 28966).
L’orientamento è stato di recente ribadito da Cass. 25 giugno 2012 n. 10509, secondo cui l‘omessa o infedele denuncia mensile all‘INP5 circa rapporti di lavoro e retribuzioni erogate integra “evasione contributiva“ ex art. 116, comma 8, lett. b), della legge n. 388 del 2000, e non la meno grave “omissione contributiva” di cui alla lettera a) della medesima norma.
Il Collegio condivide tale più recente orientamento, correttamente basato sulla circostanza che l‘omessa o infedele denuncia fa presumere l‘esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti, salvo prova contraria del soggetto obbligato, anche alla luce del più favorevole regime di cui all’art. 116 L. n. 388/00.
Ora tuttavia non v’è dubbio che nella specie, il M. non ha omesso denunce obbligatorie o reso denunce o dichiarazioni non  conformi al vero, risultando irrilevante, sotto questo profilo, che il contratto di riallineamento su cui i dati contributivi erano basati, sia stato successivamente dichiarato invalido, non ricorrendo pertanto l’ipotesi dell’evasione ma solo quella dell’omissione contributiva, di cui all’art. 1, comma 217, lettera b), della L. n. 662/96, applicabile.
3. Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Nulla per le spese essendo il M. rimasto intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 marzo 2013

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