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L’orientamento che, negando l’autodichia, disconosce ogni pretesa di giurisdizione domestica e restituisce al giudice ordinario le controversie dei gruppi parlamentari con i loro dipendenti, e’ stato ancora di recente ribadito anche in relazione ai dipendenti dei gruppi parlamentari del Senato della Repubblica (il cui regolamento contiene, sul punto, disposizioni analoghe a quelle presenti nel regolamento della Camera dei deputati) da Cass. SS.UU. n. 27396 del 2014, che ha statuito come la controversia spetti “alla cognizione del giudice ordinario, quale giudice comune dei diritti che nascono dal rapporto di lavoro, giacche’ nei confronti dei loro dipendenti i gruppi parlamentari si configurano, non come organi dell’istituzione parlamentare, ma come associazioni non riconosciute, e quindi come soggetti privati”.
Nell’ambito della medesima controversia che ha dato origine all’affermazione della giurisdizione ordinaria con Cass. SS.UU. n. 27683/08 cit., proseguita innanzi alla sezione semplice, questa Corte, con sentenza n. 11207 del 2009, disputandosi della legittimazione passiva di un gruppo parlamentare convenuto in giudizio “senza tenere conto che nel periodo di tempo in contestazione erano esistiti diversi gruppi parlamentari nel senso di diversi soggetti giuridici (associazioni non riconosciute)”, ha affermato il principio a mente del quale, a norma dei regolamenti parlamentari, “il gruppo parlamentare si costituisce (id est “viene a giuridica esistenza”) all’inizio di ogni legislatura e il gruppo parlamentare cosi’ costituito non puo’, quindi, ritenersi continuazione di un gruppo parlamentare della precedente legislatura scioltosi con essa”.
Il principio e’ stato ulteriormente confermato da Cass. n. 12817 del 2014 che ha cassato la sentenza resa in sede di rinvio nella medesima vicenda giudiziaria; la pronuncia di merito aveva errato nel ritenere una sostanziale continuita’ giuridica tra i vari gruppi parlamentari – sicche’ il successivo aveva risposto delle obbligazioni sorte con il precedente – ponendo a carico dell’ultimo gruppo parlamentare – e quindi del suo presidente – le obbligazioni assunte da soggetti diversi da quello evocato in giudizio e in tempi in cui, addirittura, il gruppo parlamentare non esisteva.
In tal modo era stato disatteso il principio di diritto su richiamato, secondo cui ciascun gruppo parlamentare non puo’ ritenersi prosecuzione o continuazione di un gruppo parlamentare della precedente legislatura e, in linea piu’ generale, si era trascurato di considerare che si e’ in presenza di soggetti giuridici diversi, sicche’ l’estinzione di uno di essi (ovvero di un gruppo parlamentare) non comporta alcun fenomeno di successione nel debito in capo al diverso soggetto, venuto a giuridica esistenza successivamente; pertanto – conclude il precedente citato – la diversita’ giuridica tra i diversi gruppi parlamentari e la reciproca autonomia escludono che il gruppo parlamentare da ultimo convenuto possa essere ritenuto responsabile di obbligazioni assunte dai gruppi parlamentari che lo hanno preceduto.
La sentenza qui impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi innanzi richiamati in quanto e’ pacifico che il Gruppo Parlamentare (OMISSIS) Senato della Repubblica, originariamente convenuto, si e’ costituito nella XV legislatura iniziata il 28 aprile 2006 e cessata il 28 aprile 2008, sicche’ risulta infondata la domanda avanzata dalla lavoratrice in relazione ad un rapporto di lavoro per un periodo antecedente, non potendosi estendere la responsabilita’ del gruppo parlamentare da ultimo costituito ad obbligazioni sorte in capo a soggetti distinti ed autonomi e, specularmente, non sussistendo alcuna obbligazione dell’associazione relativamente a periodi diversi (ovvero a periodi in cui la stessa non esisteva).
Orbene, una volta che l’interpretazione della regula iuris e’ stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice essa “ha anche vocazione di stabilita’, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (articolo 374 c.p.c.) e 2009 (articolo 360 bis c.p.c., n. 1)” (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011).
Invero il rafforzamento della funzione nomofilattica, attuato con strumenti processuali diretti a consolidare la “uniforme interpretazione della legge”, rappresenta, sul piano dei principi costituzionali, da una parte una piu’ piena realizzazione del principio di eguaglianza (articolo 3 Cost., comma 1) e d’altra parte indirettamente favorisce anche la ragionevole durata del processo (articolo 111 Cost., comma 2), perche’ e’ proprio la certezza del diritto e l’affidamento sulla tendenziale stabilita’ dei principi di diritto a rappresentare un forte argine deflativo del contenzioso (cfr. anche Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014; Cass. n. 17010 del 2014). In sintesi, il principio costituzionale per il quale il giudice e’ soggetto soltanto alla legge – e non ai precedenti – e’ necessariamente bilanciato dal principio di eguaglianza, che vuole tutti uguali davanti alla legge, coniugato con il principio della “unita’ del diritto oggettivo nazionale” (articolo 65 Ord. Giud.).
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