Illegittimo il licenziamento della lavoratrice madre per la chiusura di un reparto.
Sentenza 28 settembre 2017, n. 22720
Data udienza 3 maggio 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12349/2015 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), giunta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 926/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 6/11/2014 R.G.N. 906/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/05/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 926/2014 la Corte d’appello di L’Aquila, respingendo l’appello principale e quello incidentale, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato il 4 dicembre 2009 ad (OMISSIS), durante la gravidanza, da (OMISSIS) s.p.a. nel corso di una procedura di licenziamento collettivo e condannato la datrice di lavoro a corrispondere alla lavoratrice, in luogo della reintegrazione, l’indennita’ sostitutiva pari a 15 mensilita’ della retribuzione globale di fatto ed ulteriori cinque mensilita’ a titolo di risarcimento del danno, oltre accessori.
La Corte territoriale, ricordati i contenuti del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 54, come modificato dal Decreto Legislativo n. 115 del 2003, ha affermato che il licenziamento era vietato posto lo stato di gravidanza della lavoratrice alla data del 4 dicembre 2009 e che era insussistente il presupposto escludente il divieto, costituito dalla cessazione dell’intera attivita’ imprenditoriale.
Avverso la sentenza d’appello ricorre per cassazione (OMISSIS) s.p.a. con unico motivo illustrato da memoria. Resiste (OMISSIS) con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il motivo di ricorso si deduce, contemporaneamente, violazione e o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 54, ed omesso esame circa il fatto decisivo dell’effettiva cessazione dell’attivita’ aziendale. In sostanza, la societa’ ricorrente afferma che la Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere integrata la condizione della cessazione dell’attivita’ dell’azienda posto che erano stati licenziati, a seguito della procedura di mobilita’ iniziata con comunicazione dell’8 giugno 2009, i dipendenti del sito di l’Aquila tra i quali si trovava la (OMISSIS). La condizione legittimante l’esenzione dal divieto di licenziamento valeva anche laddove, come nel caso di specie, si era verificata la chiusura del solo reparto di contact center – dotato di autonomia funzionale – presso cui prestava attivita’ la lavoratrice in gravidanza, ai sensi del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 54, comma 3, lettera b). Ad avviso della ricorrente, inoltre, dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 115 del 2003, non poteva dirsi sussistente alcun divieto assoluto di licenziamento della lavoratrice madre a seguito di procedura di mobilita’.
2. Alla disamina del motivo va premesso che a seguito della sentenza n. 61 del 1991 della Corte Costituzionale non puo’ essere messo in discussione che il licenziamento della lavoratrice madre, al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge, e’ nullo e non meramente privo di temporanea inefficacia; da cio’ discende che la tecnica di intimazione del licenziamento di (OMISSIS), caratterizzata dalla intimazione durante la gravidanza e con previsione di efficacia differita ad epoca successiva al compimento del primo anno di vita del figlio, non vale a modificare i tratti essenziali della fattispecie normativa e del relativo quadro sanzionatorio giacche’ attraverso tale espediente risulta di fatto frustrato lo scopo di tutelare il diritto alla serenita’ della gestazione che la Corte Costituzionale con la pronuncia suddetta ha posto a fondamento della pronuncia di della L. 30 dicembre 1971, n. 1204, articolo 2, nella parte in cui prevedeva la temporanea inefficacia anziche’ la nullita’ del licenziamento intimato alla donna lavoratrice nel periodo di gestazione e di puerperio.
3. Dunque, il quadro normativo al cui interno va collocata la concreta fattispecie in esame va riferito, essenzialmente, al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, articolo 54, decreto contenente il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’, a norma della L. 8 marzo 2000, n. 53, articolo 15”. Tale norma, proveniente, quanto al licenziamento, dalla L. 30 dicembre 1971, n. 1204, articolo 2, dopo aver ribadito, nei commi 1 e 2, il divieto di licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza al compimento di un anno di eta’ del figlio, con le eccezioni di cui al comma 3, tra le quali quella relativa alla “cessazione dell’attivita’ dell’azienda cui essa e’ addetta”, contiene al comma 4, una disposizione del seguente tenore:
“Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non puo’ essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attivita’ dell’azienda o del reparto cui essa e’ addetta, sempreche’ il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non puo’ altresi’ essere collocata in mobilita’ a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni”. Nel successivo Decreto 23 aprile 2003, n. 115 – emanato ai sensi della Legge Delega 8 marzo 2000, n. 53, articolo 15, comma 3, come modificato dalla L. 16 gennaio 2003, n. 3, articolo 54 (che aveva prorogato fino a due anni l’originario termine di un anno assegnato al Governo dalla L. n. 53 del 2000, articolo 15, comma 3, per procedere all’eventuale emanazione, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al comma 1, di disposizioni correttive del testo unico) -, l’articolo 4, comma 2, ha inserito nel Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 54, comma 4, dopo le ultime parole, le seguenti: “salva l’ipotesi di collocamento in mobilita’ a seguito della cessazione dell’attivita’ dell’azienda di cui al comma 3, lettera b)”.
4. Per effetto di tale modifica, il testo dell’articolo 54, comma 4, seconda parte, e’ divenuto il seguente: “La lavoratrice non puo’ altresi’ essere collocata in mobilita’ a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l’ipotesi di collocamento in mobilita’ a seguito della cessazione dell’attivita’ dell’azienda di cui al comma 3, lettera b)”. Tale formulazione richiede di precisare se la cessazione dell’attivita’ dell’azienda possa anche riferirsi al solo reparto presso cui la dipendente prestava la propria attivita’. E’ questa, peraltro, la tesi della societa’ ricorrente.
[……..segue pag. successiva]
Leave a Reply