Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 20 febbraio 2015, n. 3479

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido – rel. Presidente
Dott. VENUTI Pietro – Consigliere
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10810/2012 proposto da:

(OMISSIS) S.R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 17/02/2012 R.G. N.258/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/2014 dal Consigliere Dott. GUIDO VIDIRI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20 maggio 2010 il Tribunale di Torino rigettava il ricorso proposto nei confronti della s.r.l. (OMISSIS) da (OMISSIS), che aveva chiesto di dichiarasi la illegittimita’ del licenziamento intimatogli per giusta causa con lettera del 15 giugno 2009 con consequenziale condanna della societa’ al pagamento della indennita’ di cui alla Legge n. 604 del 1966, articolo 8, e della indennita’ di mancato preavviso ai sensi della contrattazione nazionale del settore commercio.
Su gravame del (OMISSIS), la Corte d’appello di Torino, in riforma della impugnata sentenza, dichiarava la illegittimita’ del suddetto licenziamento e condannava la societa’ al pagamento di una indennita’ di sei mensilita’ della ultima retribuzione globale di fatto oltre euro 6.362,00 a titolo di indennita’ sostitutiva del preavviso oltre rivalutazione ed interessi. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava che il primo giudice aveva errato nel ritenere ingiustificati gli utilizzi della carta di credito e del telepass di cui il ricorrente si era avvalso.
Avverso tale sentenza la societa’ propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con tre motivi del ricorso la societa’ denunzia sotto numerosi e differenziati profili la violazione e falsa applicazione di norme di legge (violazione e falsa applicazione del disposto dell’articolo 2697 c.c., sulla distribuzione dell’onere della prova tra le parti del giudizio; violazione e falsa applicazione del disposto degli articoli 112 e 342 c.p.c., nonche’ del disposto dell’articolo 2729 c.c.). In sintesi la s.r.l. (OMISSIS) lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente reputato che fosse un onere su di essa gravante provare che la carta di credito aziendale ed il telepass non fossero in “uso promiscuo” e che il dipendente non potesse quindi utilizzarli senza obbligo di rendiconto per l’acquisto del carburante e per il pagamento dei pedaggi nel caso di uso in proprio dell’autovettura.
E nella stessa ottica la suddetta societa’ rimarca che il giudice d’appello aveva inopinatamente e di sua iniziativa reputato che la concessione in uso dell’autovettura e la assenza di puntuali controlli sui giustificativi di spesa potessero valere come autorizzazione implicita al dipendente dell’uso della carta di credito (per l’acquisto di carburanti) e del telepass (per il pagamento di pedaggi) anche in caso di uso privato dell’autovettura.
Per concludere la societa’ addebita alla Corte territoriale di avere fondato la propria decisione su elementi (presuntivi) palesemente contraddittori che invece, se unitariamente esaminati, avrebbero dovuto condurre il giudicante a conclusioni diametralmente opposte a quelle cui era giunto. I tre motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro stretta connessione sul versante logico-giuridico, non possono trovare accoglimento…
Ai fini di un ordinato iter argomentativo risultano opportune alcune preliminari considerazioni.
Per quanto ancora interessa in questa sede di legittimita’ vanno rimarcate preliminarmente le ragioni per le quali la Corte territoriale non ha condiviso le argomentazioni poste a base dalla sentenza di primo grado.
Ed invero una volta autorizzato l’uso privato dell’autovettura di servizio da parte della societa’ ed una volta reputate altresi’ insussistenti le contestazioni concernenti le violazioni dell’obbligo di compilare sempre e comunque le “lettere di incarico” al fine di rendere controllabili la fondatezza delle richieste di rimborso spese, il giudice di primo grado – ha precisato la Corte territoriale – era poi incorso in un evidente salto logico quando nella sua decisione aveva concluso – senza alcun valido riscontro probatorio ne’ scritto ne’ orale – che incombeva invece sul (OMISSIS) l’obbligo di giustificare l’uso privato del mezzo solo per le spese relative al telepass per le quali soltanto il lavoratore era tenuto a rimborsare alla societa’ gli esborsi non strettamente collegati all’esercizio della attivita’ lavorativa, diversamente di quanto avveniva per le spese di altro genere. E che la sentenza impugnata non potesse essere condivisa derivava dalle dichiarazioni dei testi escussi, i quali avevano smentito che in relazione all’uso del telepass fosse stato imposto l’obbligo di un rimborso o di un semplice rendiconto, non diversamente del resto da quanto accadeva per il consumo del carburante e piu’ in generale per l’utilizzo della autovettura aziendale.
Cio’ premesso, le censure in cui si articola il ricorso non risultano capaci di scalfire la fondatezza delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della impugnata sentenza in quanto le suddette censure sono prive della necessaria specificita’ e per di piu’ risultano non conferenti con i passaggi motivazionali della impugnata decisione della Corte torinese, perche’ finiscono per tradursi in una richiesta di nuovi accertamenti dei fatti di causa ed in un ulteriore esame delle risultanze processuali, il che non e’ consentito in sede di giudizio di cassazione.
Ma al di la’ della gia’ indicate ragioni di inammissibilita’ i motivi del ricorso non possono trovare accoglimento anche per altre considerazioni. Ed infatti, contrariamente a quanto denunziato dalla societa’ ricorrente, non puo’ addursi che la sentenza impugnata abbia fatto errata applicazione degli articoli 2697 e 2729 c.c., o che sia incorsa nel vizio di cui al disposto dell’articolo 112 c.p.c., perche’ il giudice dell’appello ha supportato la sua decisione non sulla base di mere presunzione ma su risultanze ritualmente acquisite al processo e sulla deposizione dei testi escussi che hanno costituito una prova capace di smentire l’assunto della societa’, consentendo alla Corte territoriale, senza incorrere nel denunziato vizio di ultrapetizione, di ritenere provate le ragioni del (OMISSIS), con il consequenziale effetto di determinare il rigetto del presente ricorso per cassazione.
La societa’, per essere rimasta soccombente, va pertanto condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, ed in euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *