CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 17 marzo 2014, n. 6110

Svolgimento del processo

F.M.T., direttore generale della società Allianz Ras Tutela Giudiziaria, è stato licenziato per giusta causa con l’addebito di aver manifestato, con lettere del 9 giugno e dell’11 settembre 2003, a seguito di circolari emanate dal gruppo RAS, un “atteggiamento di radicale opposizione alle gerarchie e direttive aziendali e di messa in discussione della posizione e del ruolo della nostra società all’interno del Gruppo”. Il sig. T. ha impugnato il licenziamento chiedendo in via principale la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno, in via subordinata il pagamento dell’indennità di preavviso e il risarcimento dei danni. Il Tribunale adito ha rigettato la domanda; con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha riformato tale decisione affermando che il recesso dal rapporto con il dirigente non era sorretto da giusta causa, ma era tuttavia giustificato, ed ha quindi riconosciuto il diritto all’indennità di preavviso, ritenendo infondate le ulteriori pretese risarcitorie.
Il giudice dell’appello, analizzando il contenuto delle due circolari aziendali del 10 febbraio 2003 e del 30 maggio 2003, e delle due lettere inviate dal sig. T., ha escluso gli estremi della giusta causa perché il comportamento del dirigente si era esaurito nell’espressione di una critica e nella minaccia di far ricorso ad una compente autorità; ha affermato la giustificatezza del recesso in relazione alle modalità di reazione di T., definita “assolutamente oppositiva”, che concorrevano a porre il dirigente in rotta di collisione con la datrice di lavoro.
Avverso questa sentenza il sig. T. propone ricorso per cassazione con tre motivi. La società Allianz S.p.A. (già R.A.S. Tutela Giudiziaria S.p.a.) resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi. T. ha depositato controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. I ricorsi proposti avverso la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.
2. Il primo motivo del ricorso principale censura con la denuncia di insufficiente e contraddittoria motivazione la statuizione sulla legittimità del licenziamento intimato, ritenuto sorretto da “giustificatezza”, criticando in particolare la valutazione delle due circolari aziendali oggetto delle contestazioni di T., nonché del comportamento tenuto dalle parti.
2.1. Richiamati i poteri “esercitabili con firma singola” attribuiti al dirigente dal consiglio di amministrazione della RAS Tutela giudiziaria S.p.A., la parte ricorda che a seguito del progressivo riassetto organizzativo della società datrice di lavoro e della capogruppo RAS, la circolare da quest’ultima emanata il 10.2.2003 (che entrava in vigore alla stessa data solo per la società RAS ed altre del gruppo) aveva previsto limiti autorizzativi per spese oltre limiti definiti, per le quali richiedeva l’autorizzazione vincolante di unità specificatamente individuate oltre che dell’amministratore delegato di RAS. Una successiva missiva del 22 maggio 2003 del Presidente della capogruppo RAS aveva reso noto che la procedura stabilita sarebbe entrata in vigore anche per RAS Tutela Giudiziaria dal 1 giugno 2003. Una seconda circolare del 30 maggio 2003, diretta anche a detta società, specificava una procedura di redazione e diffusione di comunicati aziendali, subordinando la pubblicizzazione alla previa approvazione da parte di unità organizzative della capogruppo, e disponendo l’entrata in vigore del provvedimento dal 4 giugno 2003.
Con la sua lettera del 9 giugno 2003, indirizzata al Presidente di RAS Tutela Giudiziaria, il sig. T. aveva chiesto precisazioni sul contenuto del provvedimento, dichiarando che lo stesso comportava “di fatto un esautoramento” dei poteri conferiti al dirigente dal Consiglio di Amministrazione ed insiti nella sua qualifica di Direttore. Dopo una risposta interlocutoria del Presidente che rinviava ogni delucidazione al rientro di T. sul luogo di lavoro al termine di un periodo di malattia e di ferie, il dirigente inviò in data 11 settembre 2003 una missiva con cui affermava: «contesto formalmente la legittimità della circolare, che vanifica i poteri già conferitimi, in qualità di direttore generale della società. Il tenore della medesima circolare costituisce preordinato esautoramento di tutte le mie attribuzioni e pertanto la diffido all’ufficiale revoca della circolare ed alla conseguente reintegrazione nelle mie mansioni con avvertimento che, in difetto, sarò costretto a tutelare i miei interessi nelle opportune sedi».
2.2. Sulla base di queste circostanze, il ricorrente principale rileva l’erroneità dell’affermazione della sentenza impugnata secondo cui non sarebbe “chiara l’attualità della principale contestazione formulata dal T. nella sua lettera di giustificazioni” in ordine alla revoca dei poteri di firma singola, osservandosi tra l’altro che la questione dei poteri di firma risultava ancora in discussione nel mese di giugno in relazione ad una proposta inviata il 24 giugno 2003. Si afferma che la contestazione di T. era attuale, perché anche la seconda circolare era entrata in vigore con decorrenza dal 4 giugno; che la Corte territoriale non ha valutato il testo della circolare del 10 febbraio 2003, in cui era espressamente stabilita la regola della doppia firma, con disposizione vincolante anche per RAS Tutela Giudiziaria come previsto dalla missiva del 22 maggio 2003.
2.3. La Corte territoriale ha poi erroneamente considerato solo le contestazioni mosse dal T. in ordine alla prima circolare del 10 febbraio 2003, mentre il licenziamento risulta intimato a seguito e solo a causa delle contestazioni mosse alla seconda circolare del 30 maggio 2003 (ricorso p. 21).
3. Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione degli artt. 1362 ss. cod. civ. in relazione all’art.38 comma 8 del CCNL applicabile, nonché degli artt.2932 e 2396 cod. civ.
La parte contesta la sussistenza nella fattispecie, in relazione alla normativa collettiva invocata, di giustificati motivi di licenziamento che escludono la tutela contrattuale in caso di recesso del datore di lavoro. Si Invoca il principio secondo cui non integra tale fattispecie il comportamento del dirigente il quale, ritenendo pregiudicati i suoi diritti, anche in base ad una valutazione soggettiva purché non arbitraria e pretestuosa, ne chieda il ripristino; si sostiene che la condotta del T. costituì la legittima replica ad illecito comportamento datoriale, con la contestazione in ordine alla propria riduzione di poteri e la “civile richiesta di revoca” del provvedimento adottato dal datore di lavoro.
Il dirigente aveva il preciso dovere di evidenziare al Presidente del CdA di aver ricevuto un ordine da persona priva del relativo potere e l’inesistenza di delibere in proposito del CdA della RAS Tutela Giudiziaria. In proposito, il ricorrente principale richiama l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui “la presa di posizione” del sig. T. “era di per sé legittima e si fondava su argomenti giuridicamente sostenibili”.
4. Il terzo motivo dello stesso ricorso reca la rubrica «mancata conformità della sentenza di merito alla giurisprudenza della Suprema Corte e la conseguenza ammissibilità del presente ricorso ai sensi dell’art.360 bis cod. proc. civ.». Con esso si ripropongono, richiamando precedenti giurisprudenziali, le censure svolte nei mezzi precedenti.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta un vizio di motivazione della sentenza impugnata che ha escluso la configurabilità di una giusta causa di recesso.
La decisione viene criticata sul punto su cui nega che il sig. T. abbia posto in essere un atto di insubordinazione ed afferma anzi la legittimità della sua presa di posizione (con il rilievo già richiamato dal ricorrente principale: v. sopra sub 3).
In proposito si rilevano sia la gravità della “diffida” (n relazione al significato di questo termine) comunicata con la seconda lettera in data 11 settembre 2003 sia l’infondatezza dell’assunto relativo all`esautoramento di poteri e di attribuzioni”, contestandosi che i provvedimenti adottati comportassero una limitazione dei poteri del Direttore Generale della società, estranei alle logiche operative e gestionali cui si riferivano le circolari, che la società capogruppo poteva legittimamente adottare nei confronti della RAS Tutela Giudiziaria come nei confronti di ogni altra unità o società del gruppo.
6. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 2119 cod. civ., sostenendosi che la giusta causa di recesso, tale da non consentire la prosecuzione anche provvisoria dei rapporto, è ravvisabile nel caso di insubordinazione commessa dal dipendente che si rifiuti di ottemperare alle disposizioni impartite dal datore di lavoro.
7. li ricorso principale, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, non merita accoglimento.
La sentenza impugnata, dopo aver rilevato che la contestazione di direttive espresse dalla società a capo dei gruppo era stata formulata con l’assunto che i poteri conferiti al sig. T. dal CdA della sua società non potevano essere modificati per effetto di una direttiva proveniente da altro soggetto, ha affermato – con enunciazione ripresa da entrambe le parti, con critiche opposte – che “la presa di posizione era di per sé legittima e si fondava su argomenti giuridicamente sostenibili” ; che il dirigente non aveva mai minacciato di disattendere le circolari, né di fatto risulta avere mai posto in essere alcun comportamento in violazione delle stesse.
La Corte osserva che tali rilievi sono da riferire, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, alla confutazione dell’assunto della società appellata attinente alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, ma non contrastano con la valutazione del comportamento complessivo del dirigente (compiuta con l’analisi di entrambe le missive dallo stesso inviate) che denota, secondo la Corte territoriale, la radicale opposizione di T. (anche per le forme utilizzate per esprimerla) in insanabile contrasto con la consolidata posizione di accordo della datrice di lavoro con la capogruppo. La tesi, sviluppata nel secondo motivo del ricorso principale, secondo cui la contestazione di T. costituirebbe la “legittima replica ad illecito comportamento datoriale” è stata disattesa dal giudice dell’appello sul rilievo della compenetrazione tra le società del gruppo che spiegava e giustificava la diffusione delle disposizioni oggetto delle circolari ; si ricorda nella sentenza che un contratto di servizio stipulato tra la RAS Tutela Giudiziaria e la capogruppo affidava a questa seconda società la gestione amministrativa, compresa quella del personale, nonché gli adempimenti di carattere societario di competenza della prima società.
La sentenza impugnata sfugge dunque alle critiche mosse dalla difesa di T., posto che ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, può rilevare qualsiasi motivo, purché esso possa costituire la base per una motivazione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, a fronte dei quale non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del licenziamento in quanto riferito a circostanze idonee a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente (giurisprudenza costante: v. per tutte Cass. 27 agosto 2003 n. 12562, 19 agosto 2005 n. 17039, 10 aprile 2012 n. 5671).
Nella specie, questa valutazione (rimessa al giudice di merito) appare sorretta da congrua motivazione, in applicazione del principio sopra ricordato; né si rileva alcuna contraddizione tra tale apprezzamento e le ricordate considerazioni sulla legittimità della “presa di posizione” del sig. T. nei confronti della società.
8. Il ricorso incidentale, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, è ugualmente infondato. La società, svolgendo rilievi sull’apprezzamento della gravità del comportamento del dirigente, qualificabile come insubordinazione, per il rifiuto di ottemperare a disposizioni impartite, e rinnovando la propria contestazione della tesi di controparte (peraltro disattesa dalla Corte territoriale) sulla avvenuta limitazione dei poteri del Direttore Generale della società, propone in sostanza un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento espressi dal giudice di merito in ordine agli stessi elementi già apprezzati, attraverso una critica del risultato interpretativo raggiunto che si risolve solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte. La sentenza impugnata dà infatti conto con adeguata motivazione dell’inesistenza di una situazione tale da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, sul rilievo che il comportamento del dirigente si esauriva nell’espressione di una critica e nella minaccia di fare ricorso ad una competente autorità.
9. I ricorsi devono essere quindi respinti. Va disposta la compensazione delle spese del presente giudizio, in ragione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

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