Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 novembre 2017, n. 27224. All’avvocato iscritto all’albo che è anche insegnante part-time la cassa può negare indennità di maternità se questa è già stata corrisposta dal Miur

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3. La formulazione della norma appare del tutto chiara ed univoca e non consente una interpretazione diversa dall’impossibilita’ di godere del trattamento previsto dall’articolo 70 nel caso in cui la richiedente goda gia’ di una prestazione di altro ente in quanto, diversamente opinando, la disposizione sarebbe inutiliter data e non avrebbe alcuna utilita’; l’argomento per cui l’articolo 70 non implicherebbe alcun divieto di cumulo tra prestazioni erogate da piu’ enti per lo stesso titolo e’ privo di pregio in quanto l’articolo 70 definisce i termini della prestazione, mentre l’articolo 71 regola in dettaglio le condizioni di erogazione tra le quali, in particolare, che si documenti – attraverso una autocertificazione – l’insussistenza di prestazioni per la maternita’ gia’ concessi in virtu’ di diversi rapporti assicurativi.
4. Infine non possono condividersi i dubbi di legittimita’ costituzionale della norma in discorso, una volta interpretata alla luce del suo univoco significato letterale e sistematico, in relazione all’articolo 3 Cost. e articolo 31 Cost., comma 2, (ed anche in riferimento agli articoli 32 e 37 Cost.), posto che la giurisprudenza costituzionale ha precisato che l’indennita’ di maternita’ “serve ad assicurare alla madre lavoratrice la possibilita’ di vivere questa fase della sua esistenza senza una radicale riduzione del tenore di vita che il suo lavoro le ha consentito di raggiungere e ad evitare che alla maternita’ si ricolleghi una stato di bisogno economico” (Corte cost. nn. 1/1987, n. 276/88, n. 332/88, n. 61/91, n. 132/91, n, 423/95; n. 3/98), ma che l’orientamento della Corte delle leggi cosi’ come ricostruito nello stesso provvedimento impugnato parla di una “radicale” riduzione del tenore dello vita, nonche’ di uno stato di bisogno, situazioni che quindi certamente non coincidono automaticamente con una determinazione dell’indennita’ in una misura ridotta rispetto alla precedente retribuzione goduta prima dello stato di gravidanza. Lo stesso concetto di “tenore di vita” (cfr. sentenza n. 3/1998) non e’ sovrapponibile a quello di livello retributivo goduto in senso stretto, essendo valutabile nel suo complesso e tenuto conto di plurimi elementi di giudizio.
5. Peraltro, non e’ neppure automaticamente estensibile al caso in esame la giurisprudenza formatasi in gran parte in ordine alle prestazioni di maternita’ godute in relazione ad una singola professione o ad un singolo rapporto di lavoro autonomo o subordinato, poiche’, nel presente giudizio, si discute del vantato cumulo tra prestazioni per maternita’ provenienti da enti diversi per tipologie di lavoro diverso (professionale e di dipendenza pubblica).
6. Si deve anche ricordare che questa Corte, in relazione proprio all’indennita’ di maternita’ dovuta alle libere professioniste, ha osservato che la determinazione del sistema indennitario “rientra nella discrezionalita’ del legislatore che e’ libero di modulare diversamente nel tempo e a seconda delle categorie di lavoratrici madri, il livello di tutela della maternita’ con misure di sostegno legate a fattori di variabilita’ incidenti ora sulla salvaguardia del livello di reddito delle fruitrici dell’indennita’ ora ad esigenze di bilancio, tenuto conto dell’incidenza quantitativa delle erogazioni che, per quanto riguarda la professione legale, e’ mutata rispetto ai primi anni di applicazione della legge” (Cass. n. 22023/2010).
7. L’evoluzione della medesima normativa in esame per effetto della L. n. 289 del 2003 mostra peraltro, essendo stata introdotta una misura massima per le l’indennita’ di maternita’ in favore delle libere professioniste, la mancanza di correlazione stretta tra livelli retributivi goduti (e contributi erogati) e la misura della prestazione di maternita’. Infine, la considerazione per cui la lavoratrice in concreto abbia subito una riduzione molto sensibile del tenore di vita precedentemente goduto in quanto ha ottenuto la sola prestazione a carico dell’INPDAP in relazione ad un rapporto part-time, non appare risolutiva per decidere la presente controversia in quanto cio’ e’ avvenuto per scelta della stessa ricorrente che non ha optato per il trattamento offerto dalla Cassa, ma per quello dell’ente di previdenza pubblico, senza quindi usufruire degli ingenti (secondo la difesa della lavoratrice) contributi professionali versati. Ma questa conseguenza e’ stato il frutto di una decisione della stessa lavoratrice che – secondo la decisione impugnata – ha presentato domanda alla Cassa dopo aver gia’ ottenuto il trattamento INPDAP e quindi senza una preventiva informazione sulla normativa del settore che avrebbe, con ogni probabilita’, evitato questa penalizzante soluzione.
8. Si deve quindi cassare la sentenza impugnata e, non necessitando la controversia ulteriori approfondimenti istruttori, puo’ decidersi la causa nel merito con il rigetto della domanda.
9. Stante l’assenza di precedenti di legittimita’ all’epoca di proposizione del ricorso, sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Dichiara compensate le spese dell’intero processo.

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