La massima
Nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sull’imprenditore risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica
Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza n. 41191 del 22 ottobre 2012
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Macerata, sezione distaccata di Civitanova Marche, con sentenza del 14 giugno 2010, dichiarava C.P. M. colpevole del reato di cui all’art. 590 cod. pen., nella sua qualità di direttore dell’Iper di Montebello S.p.a, per avere colposamente cagionato lesioni gravi alla lavoratrice F. J., adibendola all’utilizzo di una macchina sega ossi, senza effettuare una adeguata formazione della dipendente riguardante i dispositivi di sicurezza. Il Tribunale, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, condannava l’imputato alla pena di Euro 200,00 di multa.
2. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 13.10.2011, confermava la sentenza di primo grado.
Il Collegio, nel censire i motivi di doglianza dedotti dall’appellante, rilevava che correttamente il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta presentata dalla difesa di assunzione del teste D., ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., in considerazione della ampia istruzione svolta e della esauriente deposizione resa dalla stessa parte offesa, sul punto relativamente al quale la parte invocava l’escussione dell’ulteriore teste. La Corte distrettuale rilevava pure l’insussistenza dei presupposti per far luogo alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale. La Corte d’Appello considerava poi che la dinamica del fatto risultava pacificamente accertata, nei seguenti termini: la F., durante le operazioni di taglio di alcune bistecche, aveva urtato, con il secondo dito della mano sinistra, la lama in movimento, riportando le refertate lesioni; ciò in quanto, prima di iniziare l’operazione, l’addetta non aveva regolato il listello di protezione della lama.
Il Collegio osservava che l’infortunio sarebbe stato evitabile con l’impiego corretto dei dispositivi di protezione presenti sulla macchina sega ossi di cui si tratta. Ciò chiarito, la Corte di Appello sottolineava che risultava accertato che la donna, all’epoca dell’infortunio, lavorava presso il reparto macelleria da circa tre mesi; che il corso di formazione organizzato dall’ipermercato aveva avuto una durata inferiore a quella prevista; e che, in particolare, non era stata erogata la formazione specifica, relativa al corretto utilizzo della macchina sega ossi. Sul punto, la Corte di Appello evidenziava che la parte offesa aveva riferito che anche altri dipendenti utilizzavano la macchina sega ossa senza usare i dispositivi di sicurezza; e che nessuno degli addetti era mai stato richiamato, per l’utilizzo non corretto della macchina segatrice.
3. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione C.P.M., a mezzo del difensore, deducendo, con il primo motivo, la mancata assunzione di prova decisiva ed il vizio motivazionale.
La parte rileva che la Corte di Appello ha omesso di motivare il rigetto della doglianza afferente al mancato accoglimento, da parte del primo giudice, della richiesta avanzata dalla difesa ai sensi dell’art. 507, cod. proc. pen., di escussione del teste D.. Oltre a ciò, la parte assume che la Corte distrettuale neppure abbia chiarito le ragioni del rigetto della richiesta avanzata dalla difesa, di dare corso al rinnovo dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’art. 603, cod. proc. pen., al fine di procedere alla escussione del predetto testimone. L’esponente osserva, al riguardo, che la stessa parte offesa, nel corso della propria deposizione, aveva menzionato il D., quale diretto superiore, al quale era demandata la formazione pratica dei dipendenti neo assunti. Il ricorrente rileva che la contestazione concernente la mancata formazione della dipendente riguarda sia la formazione teorica che la formazione pratica; e ritiene che, mentre per la formazione teorica è stato escusso il teste D.G., per quanto riguarda la formazione pratica l’istruttoria è stata deficitaria, non essendo stato escusso il teste D.. La parte assume che la difesa è stata in grado di individuare il predetto teste solo dopo l’istruttoria dibattimentale; e ribadisce che l’esame del Domenichini risultava necessario ai fini del decidere, diversamente da quanto affermato dalla Corte di Appello, potendo il teste riferire sulla formazione pratica erogata ai dipendenti.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce il difetto motivazionale ed il travisamento delle risultanze istruttorie.
La parte ritiene che l’infortunio si sia verificato per il comportamento abnorme della lavoratrice, la quale ha ammesso, nel corso della istruttoria, di avere svolto attività lavorativa, nel medesimo periodo in cui era addetta al reparto macelleria dell’Iper, in orario notturno presso uno stabilimento balneare. L’esponente rileva che la parte offesa non ha recepito le informazioni fornite dal datore di lavoro ai nuovi assunti, a causa della richiamata circostanza; ed assume che l’infortunio sia stato causato, in realtà, dal fatto che la lavoratrice non ebbe a prestare adeguata attenzione alle direttive imposte. Parte ricorrente confuta poi il contenuto della deposizione resa dalla lavoratrice; e ribadisce che l’evento lesivo fu determinato dalla utilizzazione impropria della macchina sega ossa, ad opera della dipendente. Rileva che se l’imputato avesse saputo che la F. svolgeva la richiamata attività notturna, non avrebbe adibito la lavoratrice al reparto macelleria.
L’esponente censura poi le argomentazioni espresse dai giudici di merito, in riferimento alla valutazione relativa alla inadeguatezza della formazione erogata dall’imputato per quanto riguarda i dispositivi di sicurezza; si duole, altresì, del compiuto apprezzamento della deposizione resa dalla teste A., rispetto alle sommarie informazioni rese da C. e P., con riferimento alle modalità di utilizzo del macchinario di cui si tratta. La parte ribadisce che l’evento lesivo si sia verificato a causa del comportamento posto in essere dalla persona offesa, la quale neppure è stata in grado, nel corso del giudizio, di ricostruire le modalità dell’infortunio occorsole.
Motivi della decisione
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1 Soffermandosi sulle censure affidate al primo motivo di ricorso, si osserva che trattasi di doglianze manifestamente infondate.
Con riferimento alla mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per cassazione, si osserva che questa Suprema Corte ha chiarito che la doglianza può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495 cod. proc. pen., comma 2, sicchè il motivo non può essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte – come nel caso di specie – attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4177 del 27.10.2003, dep. 04.02.2004, Rv. 227103).
Del pari manifestamente infondata risulta la doglianza afferente al mancato rinnovo dell’istruttoria dibattimentale. Occorre, al riguardo, osservare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito: che il vigente codice di rito penale pone una presunzione di completezza dell’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado; che la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento, in sede di appello, ha carattere eccezionale e può essere disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti; e che solo la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6379 del 17/03/1999, dep. 21/05/1999, Rv. 213403).
Nell’alveo dell’orientamento interpretativo ora richiamato, la Suprema Corte ha poi affermato che l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione del giudice di appello, tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto dell’ammessa rinnovazione, presenti una struttura argomentativa che evidenzi – per il caso di mancata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e logica valutazione in punto di responsabilità (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 40496 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245009).
Pertanto, la motivazione espressa dalla Corte di Appello, nel rigettare la richiesta di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale, stante l’insussistenza dei relativi presupposti, attesa la completezza del quadro istruttorie, rispetto al tema di prova, risulta immune dalle dedotte censure.
4.2 Con il secondo motivo la parte confuta il compiuto apprezzamento, da parte dei giudici di merito, del contenuto delle deposizioni rese dalla persona offesa e da altri testi; e rileva che l’infortunio ebbe a verificarsi a causa della condotta abnorme posta in essere dalla medesima lavoratrice.
Trattasi di rilievi inammissibili.
Giova rilevare che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito; e che non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30.04.1997, dep. 02.07.1997, Rv. 207945).
Sul punto, la Corte regolatrice ha chiarito che anche dopo la modifica dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109).
Occorre, poi, evidenziare che La Corte di Appello ha correttamente considerato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della possibile negligenza con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni; e che la responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa solo in presenza di un comportamento del lavoratore del tutto imprevedibile, tale da presentare i caratteri della eccezionalità rispetto al procedimento lavorativo.
Invero, le considerazioni svolte dalla Corte territoriale si collocano nell’alveo dell’orientamento espresso ripetutamente da questa Suprema Corte di Cassazione, in riferimento alla valenza esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore, rispetto al soggetto che versa in posizione di garanzia.
Si è, infatti, chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sull’imprenditore risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass. Sez. 4, sentenza n. 8676, del 14.06.1996, dep. 24.09.1996, Rv. 206012; Cass., Sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. 20.03.2000, Rv. 215686; Cass. Sez. 4, sentenza n. 12115 del 3.06.1999, dep. 22.10.1999, Rv. 214999). La Suprema Corte ha pure osservato che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore – come certamente è avvenuto nel caso di specie – che abbia compiuto un’operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007 Rv. 236109).
4.3 Neppure può trovare accoglimento la richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato ex art. 590, cod. pen., estinto per prescrizione. Il delitto per il quale oggi si procede è stato commesso in data 16.08.2004, di talchè il termine prescrizionale massimo, da individuarsi in anni sette e mesi sei, sarebbe venuto a maturazione il 16.02.2012, cioè a dire successivamente rispetto alla sentenza della Corte di Appello, resa in data 13.10.2011.
Trova, quindi, applicazione il principio affermato da questa Corte a Sezioni Unite, per quel che attiene alla prescrizione che verrebbe a maturare in epoca successiva alla sentenza impugnata, a mente del quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Cass. Sez. U, Sentenza n. 32 del 22.11.2000, dep. 21.12.2000, Rv. 217266).
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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