Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza del 15 novembre 2012, n. 44830
Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Martina Franca, ha affermato la penale responsabilità degli imputati in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo in danno di A.V. ; e li ha altresì condannati, unitamente al responsabile civile, al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello che ha concesso le attenuanti generiche ed ha ridotto la pena.
Secondo quanto ritenuto dei giudici di merito, la vittima era affetta da obesità, diabete e patologie cardiache ed era soggetto a gravi apnee notturne. In conseguenza, venne programmato ed eseguito presso l’Ospedale di (…) intervento chirurgico di by pass bilio-intestinale. Tuttavia difettò la predisposizione ed attuazione di misure atte a fronteggiare il pericolo di crisi respiratoria, tipico di tale genere di intervento. In conseguenza, sopraggiunse coma respiratorio che, nonostante il ricovero in altra struttura con rianimazione, determinò la morte a distanza di quattro giorni dall’atto chirurgico. Ai medici componenti della equipe chirurgica è stato attribuito l’addebito di non aver governato adeguatamente il rischio in questione che, invece, avrebbe potuto essere adeguatamente fronteggiato con la predisposizione di adeguate misure di monitoraggio ed intervento rianimatorio. In particolare, il N. rivestiva la qualifica di primo operatore chirurgico; il L. quella di seconda operatore chirurgico e direttore del reparto di chirurgia, mentre il F. era l’anestesista rianimatore.
3. Ricorrono per cassazione gli imputati.
3.1 L.S. deduce vizio della motivazione per ciò che attiene all’affermazione di responsabilità. Si espone che il ricorrente era secondo operatore chirurgico; che l’evento letale si è verificato nella fase post operatoria per sopravvenuta insufficienza respiratoria; che è stato ritenuto addebito colposo nei confronti di tutti i sanitari, assumendo che la morte sarebbe stata evitata attraverso un accurato monitoraggio nel corso di tale fase. Se ne deve desumere che nessun addebito può essere mosso all’imputato che non ha avuto alcun ruolo nella fase ridetta; e che subito dopo il termine dell’operazione è stato coinvolto, quale primo operatore, in altri atti chirurgici. Il monitoraggio della fase post operatoria costituisce prerogativa dello specialista rianimatore nei cui confronti gli altri sanitari sono legittimati ad esercitare affidamento, come ripetutamele ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità.
3.2 N.A. deduce tre motivi.
3.2.1 Con il primo motivo si assume che nella originaria imputazione era mosso addebito di carattere commissivo consistito nell’effettuazione di una operazione chirurgica che tuttavia non poteva ritenersi urgente, necessaria o comunque indispensabile e di averla altresì eseguita imprudentemente in quanto il nosocomio di (…) non era dotato di adeguate strutture. Il giudice di primo grado ha tuttavia ha affermato la responsabilità in relazione ad una condotta di tipo omissivo. La questione della mancanza di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza era stata tempestivamente dedotta quale violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen. senza che la Corte d’appello abbia espresso alcun apprezzamento in proposito.
3.2.2 Con il secondo motivo si prospetta la genericità del capo d’imputazione. Si assume che la questione era stata proposta fin dall’inizio del procedimento e che già il primo giudice ha dato atto in sentenza della vaghezza della contestazione, dopo aver tuttavia immotivatamente rigettato la questione preliminare a suo tempo proposta. La Corte d’appello, nel rigettare la medesima questione, ha incoerentemente ammesso che la formulazione dell’accusa era infelice e contraddittoria.
3.2.2 Col terzo motivo si censura la logicità della motivazione. I giudici hanno individuato la causa della morte in una insufficienza respiratoria verificatasi nella fase post operatoria e non per ciò che attiene all’esecuzione dell’intervento chirurgico, in relazione al quale non sono stati individuati profili di colpa. In base al principio di affidamento, in conseguenza, il chirurgo poteva confidare che l’anestesista, deputato al governo della fase successiva all’intervento chirurgico monitorasse adeguatamente la condizione del paziente adottando le iniziative appropriate per garantire una rianimazione immediata. Nel caso di specie si era nell’ambito di divisione orizzontale del lavoro tra specialisti, nel quale si configurano competenze settoriali che limitano la sfera di responsabilità di ciascuno. Nella fase del cosiddetto risveglio del paziente dalla narcosi la responsabilità dell’anestesista è esclusiva, a meno che l’evoluzione successiva all’operazione non si manifesti anomala emergendo situazione di pericolo per il paziente, con conseguente obbligo di intervento anche a carico del chirurgo. Nel caso di specie, al contrario il risveglio post operatorio fu giudicato ottimo ed il paziente fece rientro in reparto prima che si verificassero i primi dolori addominali.
3.3 F.L. deduce quattro motivi.
3.3.1 Con il primo motivo si lamenta che la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza dell’8 marzo 2011 per il giudizio d’appello è avvenuta in data 18 febbraio 2011 e pertanto senza l’osservanza del termine di 20 giorni a comparire previsto dall’art. 601 comma 5, cod. proc. pen. proc. In assenza del difensore, il giudice, rilevata la carenza del termine, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della notificazione, che è assoluta ed insanabile essendo afferente all’assistenza ed alla rappresentanza. Tale nullità è sanata solo nel caso in cui il difensore compaia dimostrando di voler rinunziare all’osservanza del termine.
3.3.2 Con il secondo motivo si prospetta violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen in considerazione della genericità della capo di imputazione e della sua inesattezza: è stata infatti enunciata condotta commissiva, mentre affermazione di responsabilità è avvenuta alla stregua di un comportamento omissivo. È mancata quindi la correlazione tra accusa e sentenza.
3.3.3. Con il terzo motivo si prospetta illogicità della motivazione, giacché la pronunzia da atto di fatti e circostanze incongruenti con l’affermazione di responsabilità. Si censura in particolare la mancata individuazione di una causa certa dell’evento letale. L’imputato ha inoltre prestato servizio fino a alle 14.00 ed ha assistito il paziente che era ancora in vita. Terminato il proprio turno è intervenuto altro anestesista, nei cui confronti avrebbe dovuto essere semmai rivolto l’addebito colposo.
3.3.4 Con il quarto motivo si censura la motivazione per ciò che attiene al nesso causale. Si assume che la pronunzia ha omesso di appurare se tra la condotta contestata e l’evento vi fosse un nesso di causalità certo. La Corte di merito ha ritenuto la necessità di intubazione del paziente che peraltro è avvenuta, sicché l’apparato argomentativo appare illogico.
4. I ricorsi sono manifestamente infondati.
4.1 Per ciò che riguarda l’eccezione afferente alla data di notificazione per l’udienza dibattimentale avanzata dal F. col primo motivo di ricorso, è sufficiente rammentare che, alla stregua di costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di giudizio di appello, l’inosservanza del termine minimo di venti giorni, stabilito dall’art. 601, comma quinto, cod. proc. pen., per la notifica dell’avviso al difensore, non integra una nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell’art. 178, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., e 179 cod. proc. pen., ma una nullità relativa che deve essere dedotta nel termine di cui all’art. 491 cod. proc. pen., con la conseguenza che la relativa eccezione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità (Da ultimo cass. 5, 18/2/2009, Rv. 243614; Cass. 6, 10/3/2009, Rv. 244174). Dunque, la questione viene tardivamente prospettata per la prima volta davanti a questa Suprema corte.
4.1 Quanto ai diversi motivi afferenti alla contestazione dell’accusa (3.2.1; 3.2.2; 3.3.2) occorre considerare che la pronunzia reca un apprezzamento chiaro e palesemente immune da censure: l’evento letale si è verificato a causa della mancata predisposizione ed attuazione di apprestamenti volti a fronteggiare la crisi respiratoria che costituisce un rischio tipico in presenza delle caratteristiche personali del paziente e delle peculiarità dell’intervento chirurgico eseguito. Il capo di imputazione, si assume, da conto di ambedue le trascuratezze che hanno fondato la responsabilità: l’omissione afferente alla predisposizione di strumenti di monitoraggio e di intervento rianimatorio; l’indifferenza al rischio, manifestatasi nella mancanza di attenzione anche minima nel seguire il decorso postoperatorio. Tale apprezzamento è pienamente aderente alla struttura della contestazione, nella quale si fa riferimento alla superficialità e trascuratezza nella predisposizione delle attrezzature per il monitoraggio e la gestione delle complicanze respiratorie, nonché alla ingiustificata insufficienza e tardività dell’intervento per fronteggiare la crisi sopraggiunta dopo l’intervento.
4.2 Per ciò che attiene all’affermazione di responsabilità la sentenza prende in esame analiticamente tutte le possibili cause di morte ipotizzabili alla stregua delle informazioni fattuali scientifiche disponibili; e perviene alla argomentata conclusione che l’evento letale fu la conseguenza di una drammatica crisi respiratoria che insorse poco dopo la fine dell’intervento, quando il paziente era già rientrato in reparto. L’A. , nonostante il rischio respiratorio cui era soggetto, non era sottoposto ad alcun monitoraggio né ad osservazione, con la conseguenza che la insorgenza della grave crisi fu infine constatata dai familiari che lanciarono l’allarme. In conseguenza, le pratiche rianimatorie, consistito nel massaggio cardiaco, furono tardive ed inadeguate; sicché non fu risolutivo, in relazione al comma insorto, il trasferimento in altro nosocomio. Il monitoraggio appropriato del paziente, anche con strumentazione portatile e banale, avrebbe consentito di rilevare i primi segni di crisi e così di tempestivamente intubare il paziente, operazione che avrebbe certamente evitato l’evento letale.
La pronunzia ritiene che la drammatica trascuratezza manifestatasi nella gestione del caso sia addebitatole a tutti sanitari. Si era infatti in presenza di un rischio grave e macroscopico, di cui si sarebbe dovuto adeguatamente tenere conto nella programmazione dell’atto chirurgico. Nell’eventualità che si fosse voluto eseguire l’intervento pur in assenza di sala di rianimazione, sarebbe stata necessaria l’attuazione di un monitoraggio comunque accurato che, invece nella specie difetta completamente, tanto che il paziente venne sostanzialmente affidato ai familiari in reparto senza monitoraggio né osservazione.
Tale grave ed ingiustificata trascuratezza coinvolge, secondo la Corte d’appello, in primo luogo la responsabilità del primo operatore chirurgico che era capo della equipe. Analogo addebito può essere mosso al secondo operatore, che oltre ad essere coinvolto nell’intervento, era anche il direttore del reparto e quindi direttamente chiamato alla gestione dei profili organizzativi. Infine, secondo il giudice di merito, si configura pure la responsabilità dell’anestesista su cui gravavano specifiche incombenze connesse al ruolo ed alla competenza. In ogni caso, il rischio era grave quanto evidente, sicché coinvolgeva senza meno le competenze professionali afferenti a ciascuna delle figure professionali in esame.
Tale diffuso apprezzamento appare del tutto immune da vizi logici e pienamente aderente ai più consolidati principi in tema di lavoro in equipe e di affidamento. Invero, secondo quanto persuasivamente ritenuto dal giudice di merito, il rischio respiratorio era davvero macroscopico, palpabile alla stregua delle più elementari conoscenze mediche. Esso doveva essere particolarmente evidente per il rianimatore, ma non poteva in alcun modo sfuggire ai due chirurghi componenti dell’equipe. La platealità della situazione avrebbe dovuto indurre indistintamente i tre sanitari a programmare adeguatamente la fase postoperatoria ed a fronteggiare con misure appropriate i rischi tipici. Invece il caso pone in luce un atteggiamento gravemente trascurato, che fonda senza incertezze l’addebito colposo che riguarda pure il secondo operatore chirurgo, non solo per il suo ruolo specifico, ma anche per la generale responsabilità gestionale connessa all’incarico di dirigente del reparto.
Pure immune da censure è la valutazione sul nesso causale: si considera persuasivamente, anche alla stregua delle valutazioni medicolegali, che un attento monitoraggio e la predisposizione dei appropriate misure avrebbe consentito di fronteggiate in modo risolutivo la complicanza insorta. Per contro, il grave ritardo degli interventi pregiudicò irreversibilmente l’esito delle terapie, conducendo all’evento letale.
I gravami sono quindi inammissibili. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro 1.000 ciascuno, a titolo di sanzione pecuniaria, non emergendo ragioni di esonero.
Gli imputati vanno altresì condannati alla rifusione delle spese di parte civile che appare congruo liquidare in Euro 4.000,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende; oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge.
Depositata in Cancelleria il 15.11.2012
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