Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 7 aprile 2014, n. 15492
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Oristano ha confermato quella emessa dal Giudice di pace di Oristano con la quale F.R. era stata condannata alla pena di euro 200 di multa nonché al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno in favore della parte civile, con previsione di una provvisionale immediatamente esecutiva, in quanto ritenuta colpevole del reato di lesioni personali colpose in danno di J.M..
Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, il 19.6.2006 J.M. era stata ferita al labbro dal cane di piccola taglia che l’imputata teneva nella borsa portata al braccio, allorché ella aveva avvicinato il viso al cane. La condotta imprudente della J.M. è stata ritenuta inidonea ad escludere la responsabilità dell’imputata perché questa aveva custodito l’animale senza le debite cautele e la dovuta diligenza, tenuto altresì conto delle previsioni dell’ordinanza del 3 ottobre 2005 del Ministero della salute, in forza della quale al proprietario o detentore di cani si impone l’obbligo di applicare la museruola e il guinzaglio quando si trovino in luogo pubblico o aperto al pubblico; ed inoltre perché portando il cane nella borsa a tracolla consentiva all’animale di essere più vicino al viso delle persone mentre veniva limitata la possibilità di un pieno controllo sui movimenti del medesimo.
2. Ricorre per cassazione l’imputata lamentando violazione di legge e vizio motivazionale. In primo luogo censura la violazione dell’articolo 521 cod. proc pen. perché la sentenza impugnata ha rinvenuto la colpa dell’imputata nella violazione delle prescrizioni dell’ordinanza ministeriale già menzionata; in secondo luogo rileva che il comportamento di J.M. costituisce l’unica causa del fatto realizzatosi, avendo questa imprudentemente infilato il viso nell’apertura della borsa portata a tracolla dalla F.; questa, a sua volta, non ha posto in essere alcuna negligenza né avrebbe potuto evitare il fatto, posto che tanto la museruola che il guinzaglio non potevano essere adottati in ragione del contenimento del cane all’interno della borsa.
Considerato in diritto
3. In via preliminare deve essere esplicitato che il reato ascritto alla F. non è prescritto. Il termine ordinario di prescrizione è pari ad anni sei, essendo stato quello commesso il 19.6.2006; quello massimo è pari a sette anni e sei mesi. Risulta tuttavia un periodo di sospensione del termine di prescrizione pari a centoventi giorni, con l’effetto di differimento del termine di prescrizione dal 19.12.2013 al 19.4.2014.
4. Orbene, le doglianze proposte dalla F. sono manifestamente infondate.
Vale rammentare che il principio di correlazione tra imputazione e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma solo nel caso in cui la contestazione venga mutata in relazione ai suoi elementi essenziali, in modo da determinare incertezza e pregiudicare l’esercizio del diritto di difesa (ex multis, Sez. 3, n. 41478 del 04/10/2012 – dep. 24/10/2012, Stagnoli, Rv. 253871).
È da osservare che non si vede in cosa consista la lamentata violazione dell’articolo 521 cod. proc. pen., posto che alla imputata era stato contestato di aver provocato una lesione personale alla persona offesa, determinata da un graffio del cane al labbro superiore della medesima, tenendo una condotta caratterizzata da mancanza di diligenza e da omessa custodia del cane. Il giudizio della Corte di Appello non ha ridescritto la dinamica del fatto, asserendo – come vorrebbe la ricorrente – che si era trattato di un morso e non di un graffio. L’esposizione delle risultanze istruttorie fatta dalla Corte distrettuale contempla un solo riferimento alle modalità di produzione della lesione, ed è laddove richiama la deposizione U., nella quale il teste riferisce di aver immaginato che la J. era stata graffiata dal cane. In altri termini, la Corte di Appello non ricostruisce l’accaduto in termini alternativi a quelli della contestazione elevata. Ma, a ben vedere, si tratta di un aspetto del tutto irrilevante, perché – ed anche qui si deve dissentire dalla ricorrente – neppure incidente sulla individuazione delle regole cautelari ritenute violate, posto che quella si fonda sulla accertata inadeguata custodia del cane, valutata come tale anche alla luce delle prescrizioni poste dalla ricordata ordinanza ministeriale.
Peraltro, mette conto ribadire che la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. importa nullità della sentenza solo ove sia stato leso il diritto di difesa; di talchè il ricorso che miri a veder annullata la sentenza impugnata in ragione di quella violazione deve esplicare in quale guisa si sia realizzata la menzionata lesione del diritto di difesa, pena la specificità dei ricorso. Nel caso che occupa l’esponente si è limitato a prospettare la incoerenza tra fatto contestato e fatto ritenuto, senza nemmeno allegare il pregiudizio subito dalle prerogative difensive dell’imputata.
Quanto alla incidenza causale della condotta di J.M., correttamente la Corte di Appello ha ritenuto questa imprudente ma non assolutamente imprevedibile, risultando conforme a massima di esperienza che la presenza di un cane può sollecitare l’attenzione e l’interesse delle persone, sicché si impone – e ciò a prescindere da qualsivoglia prescrizione specifica – ove si intenda condurre l’animale in ambienti ove è prevedibile il contatto con persone, l’adozione di quelle cautele che assicurino che queste non riportino danni in conseguenza delle possibili reazioni dell’animale.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
5. Segue alla inammissibilità del ricorso, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
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