assegno divorzile

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza   4 aprile 2014, n. 7982

Ritenuto in fatto

1.- P.L. propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Catania con la quale era stato pronunciato lo scioglimento del suo matrimonio con L.M.L. , con obbligo a suo carico di corrispondere alla ex moglie un assegno mensile di Euro 600,00. Secondo l’appellante, non vi sarebbe stata una reale sproporzione tra le posizioni economiche delle parti, in quanto la sua dichiarazione dei redditi del 2004, utilizzata dal Tribunale per affermarla, comprendeva indennità da lui riscosse in relazione alla carica di assessore comunale, ricoperta ben quindici anni dopo la separazione, e poi cessata, mentre la L. godeva di un reddito annuo di Euro 30000,00 ed era proprietaria dell’appartamento nel quale viveva.
2. – La Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 23 giugno 2009, rigettò il gravame, ritenendo che la documentazione prodotta avesse confermato il divario tra le posizioni economiche delle parti. Premesso che la indennità di assessore non poteva avere alcuna rilevanza nel giudizio, in quanto risalente ad epoca di gran lunga successiva alla separazione dei coniugi, e quindi inidonea a costituire una aspettativa di vita e di introiti futuri del P. , la Corte osservò che, anche a prescindere da tale indennità, la situazione economica delle parti era comunque sproporzionata, avendo costantemente l’appellante goduto di un reddito elevato, a fronte della pensione di insegnante che costituiva il reddito della L. .
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre il P. sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso la L. . Le parti hanno depositato memorie.

Considerato in diritto

1. – Con l’unico, complesso motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma sesto, della legge n. 898 del 1970. La Corte di merito, pur avendo espressamente affermato che, nella determinazione dei redditi dell’attuale ricorrente ai fini della comparazione delle condizioni economiche delle parti, non andava considerata la indennità relativa alla carica di assessore provinciale ricoperta dallo stesso dal 2003 al 2006, e cioè in epoca di gran lunga successiva alla sua separazione dalla L. , sicché tale indennità non era collegabile alle aspettative maturate nel corso della vita coniugale, avrebbe poi finito per computarla nella concreta quantificazione dei redditi del P. . Si denuncia, inoltre, la svista in cui il giudice di secondo grado sarebbe incorso con riferimento alla valutazione dei redditi percepiti dallo stesso P. nel 2000, calcolato in Euro anziché in lire. Errati sarebbero ancora i calcoli con riguardo agli scostamenti tra i redditi percepiti dalle parti nel 1999, mentre, con riferimento alla differenza riscontrata tra gli stessi negli anni 2000 e 2001, si rileva che la somma di un milione di lire mensili non varrebbe ad assicurare un più alto tenore di vita alle parti. Inoltre, la corresponsione dell’assegno da parte del P. alla L. comporterebbe una più larga disponibilità economica della seconda rispetto al primo.
La illustrazione della censura si conclude, i sensi dell’art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile nella specie ratione temporis, con la precisazione dei fatti sui quali si è secondo il ricorrente verificata l’omessa e contraddittoria motivazione e con la formulazione del quesito di diritto che seguono; “L’avere considerato nella determinazione del reddito del P. l’indennità di carica di assessore provinciale, che era aleatoria, temporanea, non incidente sul reddito futuro, e, soprattutto, non costituiva una aspettativa del pregresso rapporto di coniugio conclusosi oltre quindici anni prima”; “Dica la Corte se il deterioramento delle condizioni economiche previsto dall’art. 5 della legge n. 898/1970 per il riconoscimento dell’assegno divorzile deve essere “apprezzabile”, comportando la perdita della “classe sociale” acquisita, e se ciò si realizza allorquando tra i redditi mensili dei coniugi esiste una “considerevole” differenza ma non già quando gli stessi si differenzino di Euro 1000,00/2000,00; e dica ancora se l’art. 5 della L. 898/70, al fine della tutela del coniuge debole economicamente, richieda la perfetta parificazione dei redditi ovvero, come si ritiene, un mero contributo atto a limitare la notevole sproporzione, che comunque contabilmente rimane”.
2. – La censura è inammissibile per inadeguatezza del momento di sintesi relativo alla asserita omissione e contraddittorietà della motivazione e del quesito di diritto.
2.1. Ed invero, sotto il primo profilo, l’affermazione che la Corte di merito avrebbe considerato nella determinazione del reddito del P. la indennità di carica da lui goduta quale assessore provinciale non è esatta, avendo, al contrario, espressamente il giudice di secondo grado escluso la rilevanza, ai fini del giudizio di cui si tratta, di detta indennità, avuto riguardo alla circostanza che essa è riferibile ad un periodo di gran lunga successivo (circa quindici anni)alla separazione personale dei coniugi, e non costituiva, pertanto, una aspettativa di vita e di introiti futuri da parte della L. .
Alla stregua di una tale precisazione, l’eventuale computo, nella concreta quantificazione dell’assegno divorzile, della indennità di cui si tratta costituirebbe, se mai, errore revocatorio, non denunciabile nella presente sede.
2.2. – Quanto al secondo profilo, la inadeguatezza del quesito risulta dalla sua inconferenza rispetto al caso di specie, in cui la Corte di merito ha effettuato una valutazione comparativa della rispettiva situazione economica dei coniugi, traendone la conclusione di una “sproporzione” a svantaggio della L. che rendeva necessaria la integrazione del suo reddito, avuto riguardo alla posizione economica del P. .
3. – Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico del ricorrente, con distrazione a favore dell’avv. Claudio Longhitano Napoli, dichiaratosi antistatario.
4. – Non sussistono, invece, le condizioni per l’accoglimento della richiesta della controricorrente di risarcimento dei danni per lite temeraria ai sensi degli artt. 96 e 385 cod.proc.civ., non risultando che la parte soccombente abbia agito con mala fede o colpa grave.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Claudio Longhitano Napoli, dichiaratosi antistatario. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

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