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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV

SENTENZA 5 maggio 2014, n.18459

 

Ritenuto in fatto

 1. B.E. , B.F. , R.T. , Bu.Ma. , D.D. , M.G. e M.M. erano tratti a giudizio davanti al Tribunale di Lecco con l’accusa di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per aver cagionato la morte della piccola L.B. , il (omissis) .

Era accaduto che quest’ultima, entrata nell’area non recintata e non segnalata di un cantiere edile in (omissis) , riconducibile a vario titolo agli imputati, veniva a contatto con il cancello scorrevole, del peso di 250 kg, collocato a chiusura dell’unico accesso carraio, che, ribaltandosi, le cadeva addosso, cagionandole lesioni che ne determinavano, dopo poche ore, il decesso.

Ai predetti imputati veniva contestato di aver cooperato a causare l’evento, con le condotte per alcuni commissive per altri omissive che saranno appresso descritte, connotate da colpa sia generica che specifica.

2. Con sentenza del 22/2/2011 il Tribunale di Lecco riconosceva la penale responsabilità di tutti gli imputati e, per l’effetto, concesse le attenuanti generiche a B.E. , B.F. , R.T. , M.G. e M.M. – con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante per i B. e per M.G. e di prevalenza per R.T. – escluse invece le attenuanti generiche per B.M. e D.D. ed esclusa altresì per M.M. e Bu.Ma. la contestata aggravante, condannava gli imputati alle rispettive pene ritenute di giustizia nonché, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

Accertato in punto di fatto che la causa ultima del tragico evento era rappresentata dal ribaltamento di un cancello in metallo di accesso al cantiere, risultato fissato in modo precario e privo dei relativi fermi a fine corsa, rilevava il primo giudice che:

– la responsabilità del tragico incidente andava anzitutto riconosciuta in capo a M.G. , titolare dell’impresa individuale appaltatrice dei lavori di realizzazione e posa in opera del cancello, a titolo di colpa specifica per violazione della norma cautelare di cui all’art. 374 d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, che impone di mantenere le opere e le attrezzature destinate ad ambienti di lavoro, quale è certamente un cantiere, in buono stato di stabilità e ciò a tutela di tutte le persone, anche estranee al cantiere, che possono venire in contatto con il medesimo;

– quanto al M.M. , la sua responsabilità discendeva dall’avere egli sicuramente partecipato, quale esecutore materiale, all’attività di installazione della recinzione e del cancello, con addebito tuttavia di colpa generica e non anche della violazione della regola cautelare specifica a lui ascritta in imputazione;

– B.E. , B.F. e R.T. , in quanto proprietari dell’immobile e committenti dell’opera, in assenza della nomina di un responsabile dei lavori, avevano l’obbligo sanzionato dall’art. 3, comma 6, d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, di comunicare all’esecutore dei lavori, M.G. , il nominativo del coordinatore per l’esecuzione dei lavori; l’aver omesso tale comunicazione – secondo il Tribunale – “ha inciso nel determinismo del sinistro” poiché essa avrebbe “favorito l’attività di coordinamento di quest’ultimo e ancor prima avrebbe indotto M.G. a redigere un piano operativo di sicurezza in cui non sarebbero potute mancare, grazie all’opera dello stesso coordinatore, le prescrizioni indirizzate a prevenire il rischio di ribaltamento del cancello o quantomeno ad assicurare l’isolamento della fonte di pericolo”; inoltre, secondo il primo giudice, addebito di colpa specifica discendeva per i committenti dalla omessa verifica dell’adempimento, da parte del coordinatore per la sicurezza, degli obblighi sullo stesso gravanti con riferimento all’attività dell’impresa esecutrice e ad essi era altresì addebitabile l’omessa recinzione e segnalazione dell’area di cantiere;

– Bu.Ma. , quale direttore dei lavori nonché progettista del cancello, era da considerarsi tenuto a curare e verificare in modo costante e continuo le prescrizioni dirette alla delimitazione e alla segnalazione del cantiere; l’inadempimento di tale obbligo era pertanto a lui addebitabile a titolo di colpa generica, non potendosi invece lo stesso ritenere investito della norma cautelare di cui all’art. 8 d.lgs. n. 494/96, in quanto diretta ai datori di lavoro;

– D.D. , infine, quale coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione, e come tale tenuto alla redazione di un piano di sicurezza e coordinamento, era da ritenersi responsabile anzitutto per non aver considerato, in tale piano, i rischi provenienti dall’esterno ed inoltre per aver affrontato il problema della recinzione del cantiere e delle segnalazioni solo in relazione alla fase della sostituzione della recinzione preesistente con quella di cantiere, ma non nel momento ancor più critico della sostituzione della recinzione di cantiere con quella definitiva; era inoltre a lui addebitabile, secondo il Tribunale, l’omessa esecuzione di verifiche con maggior frequenza, senza che potesse attribuirsi rilievo alla dedotta mancata conoscenza del momento esatto dell’istallazione del cancello, essendo egli associato e collega di studio del Bu. , il che avrebbe dovuto imporgli maggiore attenzione, puntualità e frequenza nelle proprie attività di verifica.

3. Interposto gravame da parte di tutti gli imputati, tale sentenza era confermata dalla Corte d’Appello di Milano.

Ripercorsi i vari passaggi motivazionali della sentenza di primo grado, sottoposti a critica dagli appellanti, la Corte d’appello li faceva propri, confermandone la fondatezza.

4. Tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, per tramite dei rispettivi difensori.

4.1. La difesa degli imputati B.E. , B.F. e R.T. , con ricorsi separati, ma pienamente sovrapponibili, articola quattro distinti motivi.

4.1.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto infondata la tesi, già proposta in sede di gravame, secondo cui il cancello ricadeva in un’area in cui non dovevano svolgersi ulteriori lavori e da ritenersi pertanto estranea agli obblighi di recinzione e segnalazione il cui inadempimento era ad essi rimproverato.

Posto che il contrario convincimento sul punto del giudice a quo riposa sul duplice rilievo secondo cui il cancello non poteva considerarsi ultimato, dovendo essere ancora dotato di motorizzazione, e presentava vistose approssimazioni di funzionamento, si sostiene in ricorso che:

a) la prima affermazione è in contrasto con le prove acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, ricavandosi in particolare dalle deposizioni dei testi F. e B.L. che la successiva elettrificazione del cancello era prevista come una mera eventualità per il futuro e considerato inoltre che l’avvenuta ultimazione del cancello è riconosciuta anche dalla sentenza di primo grado, laddove si valorizza, in altro contesto argomentativo, la comunicazione di ultimazione dell’istallazione del cancello effettuata dal M.G. allo stesso B.L. ;

b) la seconda affermazione è profondamente illogica atteso che i vizi e difetti di funzionamento manifestati dal cancello sono profili che attengono ad un’opera completata, rispetto alla quale sorge la responsabilità del fornitore, con r conseguente venir meno a carico dei committenti degli obblighi loro imposti dalla normativa in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

4.1.2. Con il secondo motivo la difesa dei ricorrenti deduce vizio di contraddittorietà ed illogicità della motivazione laddove, in più parti, si sostiene, da un lato, che il pericolo determinato dalle approssimazioni e dai difetti di funzionamento del cancello era visibile o di immediata percezione e, dall’altro, viene escluso il concorso di colpa dei genitori ex art. 1227 cod. civ. per non essersi avveduti della situazione di pericolo.

Sotto altro profilo si rileva peraltro che tale affermazione contrasta con le indicazioni offerte sia dal perito che dal consulente tecnico secondo cui la situazione di pericolo non era percepibile da un non addetto ai lavori.

4.1.3. Con il terzo motivo la difesa deduce violazione di legge, per essere stata ritenuta la sussistenza della colpa in una situazione di inesigibilità della condotta richiesta ai committenti.

Si assume, in buona sostanza, che quest’ultima doveva nella specie considerarsi inesigibile, sia perché si trattava di opere commissionate ad un appaltatore e a ben due soggetti tecnici regolarmente iscritti all’albo, sia perché non poteva pretendersi un obbligo di attivazione immediata a seguito della notizia dell’avvenuto completamento dell’opera, non essendo stato peraltro accertato quando tale conoscenza fosse effettivamente intervenuta.

4.1.4. Con il quarto motivo si deduce infine vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio.

Si lamenta al riguardo l’omessa considerazione delle offerte risarcitorio formulate fin dall’udienza preliminare, culminate nell’offerta reale documentata all’udienza del 30/4/2012 avanti la Corte d’Appello.

4.2. In data 28 gennaio 2014 sono stati proposti dalla difesa, per tutti e tre detti imputati, i seguenti nuovi motivi.

4.2.1. Con un quinto motivo si deduce violazione degli art. 40, comma secondo, e 589 cod. pen. per avere il giudice a quo erroneamente individuato una posizione di garanzia in capo ai committenti in relazione all’evento dannoso verificatosi.

Posto che la fonte degli obblighi di cui si contesta l’inadempimento è indicata in imputazione negli artt. 3, commi 1 e 6, e 6, comma 2, d.lgs. n. 494/1996, si rileva che tale normativa trova applicazione solo nell’ambito relativo alla sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili, mentre non si rinviene alcuna disciplina relativa alla responsabilità del committente per la tutela del terzo.

Ciò del resto, secondo la difesa dei ricorrenti, risponde alla distribuzione di responsabilità nell’ambito del contratto di appalto, essendo questo caratterizzato dall’autonomia dell’appaltatore nell’organizzazione e nello svolgimento dell’opera, il quale pertanto deve considerarsi l’unico responsabile dei danni cagionati a terzi, non potendo nemmeno addebitarsi al committente una colpa da omessa supervisione sull’opera dell’appaltatore, essendo questo un potere riconosciuto nei rapporti interni con l’appaltatore, ma non un obbligo che il terzo può far valere nei suoi confronti a titolo di corresponsabilità (si cita al riguardo Sez. 4, n. 17049 del 14/04/2011, M. e altri, non mass. sul punto).

Si osserva infine che, stante l’assenza di norme giuridiche idonee a fondare per le ragioni suddette un obbligo di attivarsi per impedire l’evento, non potrebbe, in via sussidiaria, a tal fine attribuirsi rilievo a rapporti di mero fatto, ovvero alla sola possibilità materiale di impedire l’evento.

4.2.2. Con un sesto subordinato motivo la difesa dei ricorrenti deduce ancora violazione degli art. 40, comma secondo, e 589 cod. pen., rilevando che, quand’anche potesse individuarsi una posizione di garanzia in capo ai committenti, mancherebbe comunque nella fattispecie il presupposto dell’insorgere dell’obbligo che identifica tale posizione.

Posto infatti che l’obbligo di impedire l’evento sorge nel momento in cui l’obbligato viene a conoscenza e a contatto con la specifica situazione pericolosa, e posto ancora che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, non può esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, si rileva che, nella specie, il lasso di tempo intercorso tra la posa del cancello e l’evento mortale è stato troppo breve (24 ore) per poterne inferire un onere di attivazione del committente, tanto più che, come già dedotto con gli altri motivi di ricorso, la percepibilità del pericolo non era né agevole né immediata, ma richiedeva il possesso di particolari competenze tecniche.

4.2.3. Con un settimo motivo, in via ulteriormente gradata, si deduce ancora violazione di legge per essere stata affermata la penale responsabilità in mancanza di prova del nesso causale.

Premesso che, trattandosi di reato a forma libera, non trova applicazione l’art. 113 cod. pen., ma occorre provare che il comportamento asseritamente colposo sia stato da solo sufficiente a contribuire alla realizzazione dell’evento – e non in termini di mero aumento del rischio – e premesso altresì che il ragionamento probatorio avrebbe dovuto necessariamente passare attraverso un giudizio ipotetico controfattuale, si lamenta che in proposito la sentenza impugnata è apodittica e non argomentata, costituendo una “ricostruzione pindarica” ritenere che, se i committenti avessero nominato il responsabile dei lavori e avessero recintato l’area, l’evento non si sarebbe verificato.

4.2.4. Con un ottavo motivo si deduce infine violazione di legge per essere stata affermata la penale responsabilità in assenza della prova dell’elemento soggettivo del reato.

Si osserva che anche sul punto il ragionamento del giudice a quo è meramente ipotetico, mancando alcuna argomentazione idonea a dimostrare che le norme cautelari che si assumono violate intendessero escludere proprio l’evento poi verificatosi e che sia l’evento che la finalizzazione causale delle norme violate fossero prevedibili ex ante.

4.3. Con l’unico motivo di ricorso, M.G. , per mezzo del proprio difensore, deduce vizio di motivazione.

Posto che, come riconosciuto nella sentenza impugnata, il lavoro risultava ictu oculi non ultimato e che l’accesso al cantiere era vietato ai non addetti ai lavori, rileva che la responsabilità dell’evento doveva attribuirsi ai soggetti che dovevano ritenersi incaricati di provvedere alla recinzione del cantiere, quale certamente non poteva considerarsi il ricorrente, mero lavoratore autonomo, ma piuttosto il committente, il responsabile dei lavori, il coordinatore per la sicurezza, l’impresa principale destinataria del piano di sicurezza.

Ciò premesso, rileva che rimane inespresso il fondamento della sua affermata responsabilità, donde la censura di carenza e illogicità della motivazione.

Soggiunge al riguardo che, trattandosi di cantiere e lavori in corso, secondo la normativa antinfortunistica a lui competeva, in quanto lavoratore autonomo, soltanto l’obbligo di adeguarsi alle indicazioni fornite dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori. A tal riguardo, però, nessun rimprovero poteva essergli mosso, atteso che, come espressamente riconosciuto dai giudici d’appello, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori non ha mai dato indicazioni specifiche in materia di sicurezza, in relazione al montaggio del cancello.

4.4. M.M. , per ministero del proprio difensore, propone a sua volta ricorso sulla base di un’unica censura, con la quale deduce mancanza o manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte d’appello omesso di considerare che egli è intervenuto al solo fine di aiutare il padre a posizionare il cancello, non potendovi, per il peso, questi provvedere in modo autonomo.

Rileva al riguardo che, come riconosciuto anche dai funzionari dell’Asl, egli, non avendo alcuna competenza né dimestichezza rispetto a tale lavoro, non ha avuto alcun ruolo decisionale in merito alle modalità di costruzione e installazione del cancello, dovendosi pertanto ascrivere al padre ogni responsabilità in ordine alle scelte tecniche e organizzative.

4.5. Bu.Ma. deduce a fondamento del proprio ricorso sei motivi.

4.5.1. Con il primo deduce vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento all’affermazione della sussistenza di una posizione di garanzia in capo ad esso ricorrente, nonché della colpa e del nesso tra condotta colposa ed evento.

Con riferimento al primo profilo, rileva che non esiste, né i giudici di merito l’hanno indicata, una norma giuridica dalla quale possa trarsi l’esistenza di un obbligo a suo carico, quale progettista del manufatto e/o direttore dei lavori, di provvedere al controllo della correttezza del montaggio e della funzionalità del meccanismo, specie in relazione all’adozione di tutte le misure idonee a garantirne la sicurezza.

Soggiunge che, ove possa ipotizzarsi un riferimento a tal fine all’inosservanza di norme del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. edilizia), non viene in alcun modo spiegato in motivazione, né potrebbe esserlo, come l’evento de quo possa ricondursi ai rischi specifici che quella normativa mira a prevenire.

Osserva inoltre che, potendo a suo carico in astratto ipotizzarsi solo una condotta omissiva, in mancanza di una base normativa idonea a fondare l’obbligo giuridico di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod. pen., non è neppure ipotizzabile una colpa generica.

4.5.2. Con il secondo subordinato motivo si deduce vizio di motivazione con riguardo all’affermazione della sussistenza della condotta omissiva contestata (omessa recinzione e segnalazione dell’area di cantiere).

Premesso che alla data, 10 maggio 2007, in cui egli partecipò a un sopralluogo insieme con il fabbro incaricato dell’installazione del cancello, l’area risultava correttamente recintata e segnalata, e che solo successivamente, con la materiale installazione del cancello, i fabbri rimossero la recinzione e la segnalazione, rileva che l’obbligo in capo ad esso ricorrente di provvedere al loro ripristino viene in sentenza postulato erroneamente – in assenza di alcun fondamento normativo – ma anche in modo illogico, dal momento che proprio il cancello era destinato per sua natura a sostituire la recinzione preesistente, come del resto ritenuto dagli stessi giudici di merito.

Segnala al riguardo l’errore in cui incorre la sentenza di primo grado nell’affermare che egli avrebbe potuto e dovuto accorgersi del difetto di installazione del cancello in occasione del citato sopralluogo, essendo pacifico che in realtà detto sopralluogo è precedente alla installazione medesima.

Osserva ancora che, peraltro, ove l’addebito posto effettivamente a suo carico sia quello di non aver controllato e posto rimedio all’operato dei fabbri, in tal caso la condanna si rivelerebbe illegittima per difetto di correlazione con l’accusa e sarebbe in ogni caso priva di ogni base normativa, quanto all’ipotizzato obbligo inadempiuto.

4.5.3. Con il terzo motivo la difesa del Bu. deduce ancora, in via ulteriormente gradata, vizio di motivazione e violazione di legge in punto di nesso causale e prevedibilità dell’evento.

Rileva che, posto il carattere manifestamente negligente, imprudente e imperito della condotta degli installatori del cancello, la Corte avrebbe dovuto considerarla alla stregua di una causa sopravvenuta tale da interrompere il nesso causale, ovvero di un fattore assolutamente eccezionale ed imprevedibile, tale da escludere quantomeno la prevedibilità in concreto dell’evento, e quindi la colpa, con riferimento alla posizione del ricorrente.

4.5.4. Con il quarto motivo si deducono, in subordine, vizio di motivazione e violazione di legge penale in punto di riconoscimento dell’elemento soggettivo, in particolare con riferimento alla esigibilità della condotta ritenuta doverosa.

Assunta in ipotesi l’esistenza di un obbligo di controllo e di provvedere alla recinzione del cantiere, rileva il ricorrente che avrebbe dovuto considerarsi inesigibile un intervento da parte sua volto a rimediare alla situazione di pericolo, in un così breve tempo e in mancanza peraltro di alcun segnale d’allarme e di comunicazione dell’ultimazione del lavoro.

4.5.5. Con il quinto motivo si deduce violazione degli art. 62-bis e 133 cod. pen., nonché manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla commisurazione della pena.

Rileva che la motivazione della Corte territoriale sul punto fa esclusivo riferimento a profili afferenti in realtà all’an della responsabilità mentre non sono considerati lo stato di incensuratezza, la leale e corretta condotta processuale, l’obiettiva marginalità della sua posizione, l’essersi egli adoperato per il risarcimento del danno a mezzo della propria assicurazione.

Quanto poi alla dosimetria della pena, ne lamenta la incongruità in rapporto a quella, più bassa, inflitta a uno dei due installatori del cancello.

4.5.6. Con il sesto e ultimo motivo, il ricorrente infine deduce violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Lamenta che sul punto la Corte d’appello ha reso una motivazione apparente e comunque illogica, risultando incomprensibile il fondamento della valutazione prognostica della sussistenza del pericolo di nuove violazioni dello stesso genere, a tanto non potendo bastare il riferimento generico al livello di diligenza connesso alla sua qualifica.

Anche al riguardo lamenta che sono stati di contro trascurati specifici elementi rilevanti, quali l’incensuratezza, la condotta di vita anteatta e successiva, la natura meramente colposa del reato.

4.6. Anche D.D. articola a fondamento del proprio ricorso, proposto per ministero del medesimo difensore, sei motivi.

4.6.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione a fondamento dell’affermazione della sussistenza sia dei presupposti necessari per la configurabilità a suo carico di un obbligo di attivarsi per impedire l’evento, sia delle condotte omissive a lui contestate.

Posto che il M.G. non ha redatto alcun P.O.S. né avrebbe dovuto redigerlo, rileva che incomprensibile e frutto di evidente svista è l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui a lui sarebbero addebitabili la scorretta valutazione del piano redatto dal M. e il mancato rilievo delle carenze dello stesso.

In tal senso del resto si esprime in precedenza la sentenza impugnata, laddove rileva che il M. non era tenuto alla redazione del piano predetto, era stato messo in contatto solo con il B. progettista del cancello e non aveva avuto alcun rapporto con esso ricorrente, facendo da ciò discendere la responsabilità dei committenti, individuata proprio nella mancata comunicazione all’esecutore dei lavori del nominativo del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione.

Assume il ricorrente che da tali premesse si sarebbe dovuto pervenire all’affermazione della sua totale estraneità al fatto contestato, essendo peraltro pacifico che egli non è mai stato informato dell’accesso in cantiere dei fabbri per il montaggio del cancello, né ha partecipato al sopralluogo del 10 maggio 2007 effettuato prima e in funzione dell’installazione del manufatto.

Soggiunge che in modo illogico il giudice di primo grado fa ricorso ad una sorta di fungibilità dei compiti tra esso ricorrente e il Bu. , in quanto colleghi di studio, trattandosi di circostanza inidonea a trasferire dall’uno all’altro i distinti poteri e doveri propri delle rispettive figure.

4.6.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione della sussistenza di una posizione di garanzia in capo ad esso ricorrente, nonché della colpa e del nesso causale tra la condotta colposa ipotizzata e l’evento.

Assume infatti che, per quanto si voglia dilatare il contenuto degli obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori ex art. 5 d.lgs. 494/96, non vi si può ricomprendere il compito di verificare in cantiere, passo per passo, l’applicazione da parte dell’impresa esecutrice delle corrette procedure di lavoro in fase di montaggio del cancello scorrevole, atteso che così ragionando si finirebbe per gravare tale figura del dovere di controllare tutte le lavorazioni, anche per gli aspetti di specifica competenza della singola impresa esecutrice, nonché di rimediare ad ogni errore.

Rileva al riguardo che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, dai compiti a lui attribuiti quale coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, derivava a suo carico solo una funzione di vigilanza “alta”, non confondibile con quella operativa demandata al datore di lavoro, e che pertanto solo qualora l’infortunio fosse riconducibile a carenze organizzative generali poteva essere configurata una responsabilità a suo carico: ipotesi non ravvisabile nella specie, secondo il ricorrente, essendo l’incidente scaturito da uno sviluppo estemporaneo di uno specifico lavoro, affidato alla sfera di controllo dell’impresa individuale che aveva il compito di installare il cancello.

4.6.3. I restanti motivi, dal terzo al sesto, propongono censure in punto di nesso causale e prevedibilità dell’evento, esigibilità della condotta, mancata concessione delle attenuanti generiche, dosimetria della pena e sospensione condizionale della stessa, sostanzialmente sovrapponibili a quelle poste ad oggetto dei corrispondenti motivi di ricorso del Bu. , già sopra richiamate.

 Considerato in diritto

 5. Procedendo in ordine logico all’esame delle questioni poste dai ricorsi proposti da B.E. , B.F. e R.T. , congiuntamente esaminabili, deve anzitutto rilevarsi l’infondatezza di quella prospettata nel primo motivo.

5.1. La sentenza impugnata respinge infatti, definendola “inaccettabile”, la tesi dei detti imputati secondo cui il cancello al momento del sinistro era già ultimato, ancorché difettoso, e pertanto, non potendo considerarsi compreso nell’area in cui dovevano svolgersi ulteriori lavori, allo stesso non erano più riferibili gli obblighi di recinzione e segnalazione il cui inadempimento era ad essi rimproverato.

La Corte d’appello motiva ampiamente e in maniera adeguata il proprio convincimento sul punto, evidenziando le precarie condizioni in cui il cancello si trovava al momento dell’incidente e, in particolare, l’assenza della staffa di fine corsa e la apposizione di un “rudimentale” meccanismo di chiusura realizzato con un fil di ferro che – si nota efficacemente ai fini in questione, oltre che in modo logicamente coerente – “costituiva ad un tempo denuncia palese di provvisorietà e dispositivo di sicurezza inidoneo nell’apparenza e nella sostanza”.

Una tale motivazione, certamente non manifestamente illogica, resiste alle censure dei ricorrenti.

Queste, invero, sul punto si risolvono nella mera prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di prova che, lungi dal segnalare emergenze obiettive e univoche idonee a disarticolare il ragionamento del giudice di merito, si rivela essa stessa ben più debole e meno plausibile della ricostruzione da questo accolta, nella misura in cui fa leva essenzialmente sulla circostanza che, secondo quanto riferito da alcuni testi, l’installatore M.G. aveva comunicato ai committenti l’ultimazione dell’opera.

È da escludere infatti che una soggettiva rappresentazione dei fatti operata dall’esecutore dell’opera possa imporsi, ai fini in questione, sui dati oggettivi e fattuali pacifici posti a fondamento della diversa valutazione operata dal Tribunale e poi dalla Corte d’appello. In altre parole, non è certo perché l’autore dell’opera ha comunicato ai committenti di averla ultimata che la stessa poteva considerarsi tale, contro l’evidenza dei fatti, ai fini della individuazione della normativa applicabile.

Né in tal senso è ravvisabile alcuna contraddizione nel ragionamento del Tribunale, sul punto non modificato dalla Corte d’appello, per il fatto che nella sentenza di primo grado tale circostanza (ossia la comunicazione da parte di M.G. dell’ultimazione dei lavori effettuata il giorno prima del sinistro, presso l’officina della famiglia B. ) sia stata valorizzata ad altri fini.

È appena il caso di rilevare che in quella sede argomentativa è il fatto stesso della comunicazione, in sé e per sé considerata, non il fatto che ne era posto ad oggetto, a costituire base argomentativa del rilievo secondo cui l’obbligo di controllo e vigilanza in capo ai committenti – comunque affermato anche per altre considerazioni su cui più avanti si tornerà nell’esame degli altri motivi – proprio in ragione di quella comunicazione, vera o falsa che fosse la valutazione che essa sottendeva, avrebbe dovuto considerarsi se possibile più attuale e concreto.

5.2. Rimane conseguentemente confutato anche il secondo motivo di ricorso.

Ricondotti gli obblighi di vigilanza in capo ai committenti alla normativa antinfortunistica, nessun rilievo può assumere la considerazione che la situazione di pericolo non fosse percepibile ad un non addetto ai lavori.

Come correttamente rimarcato nelle sentenze di merito (vds. in particolare pag. 13 della sentenza d’appello), la mancata nomina di un responsabile dei lavori e la mancata promozione del contatto tra impresa esecutrice e coordinatore per l’esecuzione dei lavori ponevano gli stessi committenti nella posizione di diretti destinatari degli obblighi di vigilanza e verifica sull’operato della prima posti dalle norme richiamate, il cui inadempimento rileva nel caso di specie sia sotto il profilo causale che sotto quello della colpa, senza che lo stesso possa ritenersi scriminato (ben diversamente, è ovvio, dalla posizione dei terzi estranei, per sventura venuti a contatto con l’opera) dalla assenza di competenze tali da consentire di rendersi conto del pericolo incombente.

5.3. Un approfondimento, sia pur rapido e sintetico, di tali temi si impone in relazione alle censure mosse nel quinto motivo di ricorso (primo dei motivi aggiunti), congiuntamente esaminabili.

Il riferimento in essi contenuto alla giurisprudenza in tema di attribuzione della responsabilità nell’ambito del contratto d’appalto non è infatti pertinente, atteso che, come detto, l’omissione causalmente efficiente ascritta ai ricorrenti viene in sentenza ricondotta agli obblighi imposti al committente dalla normativa antinfortunistica, della cui applicabilità alla fattispecie non è dato dubitare per quanto già detto.

Al riguardo, giova rammentare che con il d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, di attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili – diversamente dalle altre fonti che compongono il quadro normativo di riferimento in tema di sicurezza nel lavoro (D.P.R. n. 547 del 1955, D.P.R. n. 164 del 1956, D.P.R. n. 302 del 1956, D.P.R. n. 303 del 1956, d.lgs. n. 626 del 1994), in relazione alle quali la giurisprudenza di legittimità in precedenza escludeva, anche nel contesto dell’attività cantieristica, che il committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionistiche verificatesi nell’approntamento del cantiere e nell’esecuzione dei lavori, salvo che non si ingerisse nell’esecuzione dei lavori o privasse l’appaltatore di autonomia tecnica o operativa nell’attuazione delle misure di prevenzione degli infortuni – la figura del committente trova esplicito riconoscimento e definizione (“il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata”: art. 2, comma 1, lett. b) e ne vengono esplicitati gli obblighi (art. 3).

L’individuazione di tale peculiare figura di garante è coerente con la complessiva configurazione del sistema di protezione in materia di sicurezza sul lavoro, che tende a connettere la sfera di responsabilità con il ruolo esercitato da alcune figure che tipicamente intervengono nell’ambito delle varie attività lavorative.

Normalmente la figura di vertice della sicurezza è costituita dal datore di lavoro che, come è noto, è individuato non solo nel titolare del rapporto di lavoro, ma anche nel soggetto che ha la responsabilità dell’impresa, ed è quindi chiamato a compiere le più importanti scelte di carattere economico, gestionale ed organizzativo e ne porta le connesse responsabilità.

È quindi razionale che, nel diverso contesto dell’attività cantieristica di cui qui si tratta, emerga anche la figura del committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta, finanzia l’opera.

Tale ruolo giustifica l’attribuzione di una sfera di responsabilità per ciò che riguarda la sicurezza e la conseguente assegnazione del ruolo di garante.

La legge, infatti, gli attribuisce alcuni obblighi sia nella fase progettuale che in quella esecutiva, destinati ad interagire e ad integrarsi con quelli di altre figure di garanti legali.

Questi infatti (in mancanza del responsabile dei lavori), nella fase di progettazione esecutiva dell’opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell’esecuzione del progetto e nell’organizzazione delle operazioni di cantiere, è tenuto – tra l’altro, per quel che maggiormente qui interessa – a:

attenersi ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’art. 3 d.lgs. n. 626 del 1994;

determinare la durata dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, al fine di permettere la pianificazione dell’esecuzione in condizioni di sicurezza (art. 3, comma 1);

valutare i documenti di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) e b) [ossia, il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 e il piano generale di sicurezza di cui all’art. 13 (la cui redazione grava sul coordinatore per la progettazione), nonché il fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell’allegato 2 al documento U.E. 260/5/93] (art. 3, comma 2);

designare il coordinatore per la progettazione, nei casi previsti dal comma 3;

comunicare alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi il nominativo del coordinatore per la progettazione e quello del coordinatore per l’esecuzione dei lavori (art. 3, comma 6);

verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare (comma 8).

Tra gli obblighi incombenti sul committente vi è anche l’obbligo di cooperazione, discendente dall’art. 7, comma 2, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (ed oggi dall’art. 26, comma 2, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), che si concreta anche nella comunicazione al coordinatore per la progettazione e al coordinatore per l’esecuzione, seconde le evenienze, dei nominativi delle imprese alle quali si appaltano i lavori, onde permettere a questi di adempiere ai compiti loro assegnati dalla legge (artt. 4 e 5 d.lgs. n. 494 del 1996; artt. 91 e 92 d.lgs. n. 81 del 2008).

Infine, l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 494 del 1996, costituisce chiaramente il committente quale garante dell’effettività dell’opera di coordinamento posta in capo ai coordinatori per la progettazione e per la esecuzione.

In forza di tale norma, la nomina di un coordinatore per l’esecuzione dei lavori non può esonerare da responsabilità il committente (o il responsabile dei lavori), né per ciò che riguarda la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo per la protezione dai rischi cui si è già fatto cenno, né – quel che maggiormente qui interessa – per ciò che attiene alla vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento dell’attività di coordinamento e controllo circa l’osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento.

Orbene, non può dubitarsi che una tale congerie di doveri imposti a carico del committente dalle norme menzionate (ora trasposte in termini coincidenti nel Testo unico per la sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), tanto più in quanto nel caso di specie non schermati dalla nomina di un responsabile dei lavori, configuri a carico degli stessi una posizione di garanzia rilevante ai fini della imputazione oggettiva anche ad essi, secondo lo schema della causalità omissiva, del tragico evento de quo.

In particolare, non può negarsi che proprio l’inosservanza dell’obbligo di mettere in contatto l’impresa esecutrice dei lavori di installazione del cancello con il coordinatore per l’esecuzione dei lavori – nell’una e nell’altra direzione imposto al committente, come detto, rispettivamente dall’art. 3, comma 6, d. lgs. 494/96 e dall’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 626 del 1994 (oggi art. 26, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008) – da un lato, abbia avuto significativa incidenza nella sequenza causale che ha condotto al tragico evento, come è possibile agevolmente cogliere, con giudizio controfattuale, ove si consideri che l’adempimento di un tale obbligo avrebbe potuto avere l’effetto di attivare e sollecitare l’uno e l’altro soggetto rispettivamente alla predisposizione di un piano operativo di sicurezza e al controllo della sua realizzazione e osservanza; dall’altro, ha indubbiamente reso particolarmente pregnante e cogente l’obbligo sussidiario di garanzia direttamente incombente sui committenti ai sensi del citato art. 6, comma 2, d.lgs. 494/96 in particolare per quel che riguarda la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento dell’attività di coordinamento e controllo circa l’osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento.

Pare evidente infatti che, se è vero, come appresso sarà detto, che la mancata comunicazione al coordinatore per l’esecuzione dei lavori del nominativo dell’imprèsa installatrice del pesante cancello non è motivo comunque di esonero da responsabilità per quest’ultimo, i cui obblighi in tema di coordinamento prescindono dall’assolvimento dei compiti di cooperazione attribuiti al committente, ciò però, lungi dal rendere senza conseguenze tale mancata cooperazione, ha semmai l’effetto di rendere più pressante e attuale per il committente l’obbligo di vigilanza sulle attività del coordinatore, costituendo essa stessa motivo di preallarme per il primo sul completo ed efficace svolgimento dei compiti su questo incombenti.

5.3.1. Né può di contro assumere rilievo che il tragico evento che si afferma essere conseguito alle omissioni dei committenti abbia riguardato terzi e non lavoratori impegnati nell’esecuzione delle opere commesse in appalto.

Secondo pacifico indirizzo, infatti, in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., nonché la perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi (v. Sez. 4, n. 23147 del 17/04/2012, De Lucchi, Rv. 253322; cfr. anche Sez. 4, n. 2383 del 10/11/2005, Losappio, Rv. 232916; Sez. 4, Sentenza n. 9616 del 19/03/1991, Di Fazio, Rv. 188214).

Nel caso di specie non è certamente predicabile un siffatto carattere di eccezionalità e atipicità della presenza della bambina e dei suoi genitori sui luoghi del tragico sinistro, attesa la mancanza (essa stessa oggetto di imputazione) di recinzione e segnalazione e la prossimità di edifici destinati a civile abitazione.

5.4. In ragione della illustrata impostazione del rapporto causale tra evento e condotta omissiva ascritta ai ricorrenti, si appalesano altresì infondati i motivi terzo e sesto di ricorso, congiuntamente esaminabili in quanto in entrambi si fa leva, in punto di fatto, sulla brevità del lasso di tempo intercorso tra la posa del cancello e l’evento mortale, sulla asserita incertezza probatoria del momento esatto in cui essi ricorrenti ebbero conoscenza della prima e, ancora, sulla affermata non agevole né immediata percepibilità del pericolo: elementi in ragione dei quali si deducono, da un lato, l’insussistenza (ovvero la non insorgenza) di un obbligo attuale e concreto idoneo a individuare una posizione di garanzia in capo ai committenti (sesto motivo) e, dall’altro, l’inesigibilità della condotta, sotto il profilo soggettivo (terzo motivo).

È evidente infatti che la tesi difensiva muove al riguardo, sotto entrambi i profili, da un presupposto errato, quello cioè che l’obbligo prevenzionale omesso riguardasse la fase conclusiva dell’appalto commesso per l’installazione del cancello. Come si è detto, invece, gli obblighi cui si riferisce l’omissione ritenuta causalmente efficiente nella determinazione del sinistro erano già sorti al momento stesso della conclusione dell’appalto; in tale prospettiva, quindi, non rileva il tempo intercorso tra il momento in cui l’appaltatore ha lasciato il cancello nelle condizioni descritte e la conoscenza che ne abbiano avuto i committenti.

Senza dire che, comunque, sul punto la sentenza impugnata svolge considerazioni non censurabili in questa sede in quanto intrinsecamente coerenti e non manifestamente illogiche, idonee a contrastare l’assunto dei ricorrenti anche nella sua premessa di fatto, evidenziando in particolare che proprio la prossimità (temporale) rispetto all’istallazione del manufatto avrebbe dovuto indurre il committente, più che in altri momenti, “ad una attenta verifica della funzionalità del manufatto stesso, con una scansione non frutto di un controllo continuo, ma di una verifica doverosa su una delle più significative fra le complessive realizzazione che essi avevano programmato” (v. sentenza d’appello, pag. 14).

Posto che, come già sopra accennato, l’intervenuta conoscenza della (presunta) ultimazione dell’opera viene nella sentenza di primo grado plausibilmente ricavata dalle dichiarazioni del teste (indicato dalla stessa difesa) B.L. , oltre che del coimputato M.G. , tale considerazione appare tutt’altro che manifestamente illogica, così come non illogico e pertanto nemmeno censurabile in questa sede appare il convincimento, pure espresso in sentenza, circa la possibilità di una “immediata percezione” del pericolo, proprio in ragione delle evidenziate condizioni del manufatto (e in particolare del “rudimentale meccanismo di chiusura realizzata col filo di ferro, per di più usurato e logoro” e della anomala dinamica di funzionamento del cancello).

Tale affermazione è sorretta da adeguata motivazione, bensì contrastata dai ricorrenti, con argomenti tuttavia (legati alla ravvisata contraddizione con la esclusione di un concorso di colpa dei genitori della piccola vittima e alle valutazioni sul punto svolte dal perito e dal consulente tecnico) che non appaiono idonei a manifestarne una intrinseca incoerenza e manifesta illogicità, atteso che la detta affermazione, da un lato, è basata su dati fattuali pacifici e considerazioni di senso comune di innegabile validità logica, dall’altro, è anche da correlarsi alla posizione di prossimità all’opera per i committenti sicuramente ben maggiore, quanto a interessi e connesse responsabilità, rispetto a quella di terzi ad essa estranei e tale dunque che del tutto coerentemente può al contempo affermarsi che il carattere di provvisorietà del presidio posto a fissaggio del cancello, il suo non corretto meccanismo di chiusura e la conseguente instabilità, ben potevano essere immediatamente percepite dai committenti e non da terzi estranei.

5.4. Conviene a questo punto esaminare, in ordine logico, il settimo motivo di ricorso con il quale, come detto, i ricorrenti contestano ancora la sussistenza di un nesso causale tra l’evento e la loro condotta, ravvisando violazione dell’art. 589 cod. pen., in relazione alla asserita impossibilità di configurare nella specie una cooperazione colposa ai sensi dell’art. 113 cod. pen., trattandosi di reato a forma libera, e alla conseguente necessità che il comportamento in ipotesi colposo ad essi ascritto sia stato da solo sufficiente a contribuire alla realizzazione dell’evento.

Anche tale motivo, alla luce delle considerazioni già svolte, si rivela privo di pregio.

Giova anzitutto rilevare che, se in dottrina si registrano ancora posizioni contrarie e comunque diversificate, la giurisprudenza di legittimità è ormai giunta da tempo a riconoscere la funzione incriminatrice dell’art. 113 cod. pen. (e non di mera modulazione di disciplina, nell’ambito segnato dal concorso di cause colpose indipendenti) e la sua applicabilità anche ai reati a forma libera (con riferimento ai quali si afferma che tale disposizione vale a rendere punibili condotte atipiche, agevolatrici, incomplete, di semplice partecipazione, che per assumere concludente significato hanno bisogno di coniugarsi con altre condotte: v. Sez. 4, n. 1786 del 02/12/2008 – dep. 16/01/2009, Tomaccio, Rv. 242566; Sez. 4, n. 1428 del 02/11/2011 – dep. 17/01/2012, Gallina, Rv. 252940; Sez. 4, n. 36280 del 21/06/2012, Forlani, Rv. 253566; Sez. 4, n. 43083 del 03/10/2013, Redondi e altro, Rv. 257197), precisandosi altresì che il collante richiesto tra le varie condotte per la configurazione della cooperazione è rappresentato dalla consapevolezza di dell’altrui condotta, non anche del suo contenuto specifico (è sufficiente, cioè, che il soggetto sappia che nel contesto in cui si inserisce la sua condotta omissiva operano anche altri soggetti), né del carattere colposo della stessa, quanto meno in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli (v. Sez. 4, n. 1786/2009, Tomaccio, cit.; Sez. 4, n. 26020 del 29/04/2009, Cipiccia, Rv. 243932; Sez. 4, n. 6215 del 10/12/2009 – dep. 16/02/2010, Pappadà e aa., Rv. 246420; Sez. 4, n. 1428/2012, Gallina, cit.; Sez. 4, n. 26239 del 19/03/2013, Gharby e aa., Rv. 255696).

Alla luce di tali principi la pronunzia di merito non appare censurabile per ciò che attiene all’applicazione dell’art. 113 cod. pen., non potendo dubitarsi della ricorrenza in concreto nella fattispecie di tutti i requisiti descritti per la configurabilità di un concorso qualificato nei termini suindicati.

Può peraltro notarsi che il ricorso a tale ipotesi normativa si rivela ultroneo rispetto alle esigenze qualificatorio poste dalla fattispecie, non potendo invero dubitarsi – alla stregua delle considerazioni svolte nei paragrafi che precedono -nemmeno della tipicità della condotta omissiva ascritta ai ricorrenti (discendente dalla evidenziata posizione di garanzia loro attribuibile) e della sua autonoma efficacia causale rispetto all’evento, e della conseguente possibilità di configurare con riferimento ad essa (oltre che alle altre ritenute in sentenza) un concorso di condotte colpose indipendenti, già come tale pienamente sussumibile anche nella previsione di cui all’art. 41 cod. pen., senza alcun riflesso pratico per quel che riguarda l’affermazione della penale responsabilità e il trattamento sanzionatorio.

5.5. È altresì infondato l’ottavo motivo di ricorso (quarto motivo aggiunto) con cui si deduce, come detto, vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato omissivo colposo attribuito.

La colpa, specifica, addebitata ai ricorrenti discende, in re ipsa, dalla accertata violazione degli obblighi ad essi imposti dalle viste norme antinfortunistiche, afferendo invece propriamente all’elemento oggettivo l’accertamento dell’efficacia eziologica di tale violazione (sia secondo il criterio della causalità della colpa, sia in relazione alla rilevanza del comportamento alternativo lecito): accertamento, come visto, nella specie incensurabilmente motivato nelle sentenze di merito, non potendo dubitarsi né che i doveri specifici imposti ai committenti sono certamente intesi a prevenire situazioni di pericolo quale quella tragicamente sviluppatasi, né che il loro adempimento nella situazione data avrebbe concorso ad alzare nettamente la soglia di attenzione su un pericolo evidente quale quello rappresentato dal cancello nelle descritte condizioni di anomalo funzionamento e precaria stabilità ed avrebbe quindi, con elevato grado di probabilità logica, contribuito ad impedire l’evento.

Può allo stesso modo ritenersi, in re ipsa, e dunque implicitamente motivata, anche la prevedibilità ex ante dell’evento, questa dovendo ovviamente rapportarsi non alle concrete e specifiche modalità dell’evento effettivamente realizzatosi, ma alla serie finale del meccanismo causale che l’ha determinato (caduta del cancello addosso ad una persona): evento in tal senso certamente prevedibile non potendo dubitarsi che lo stesso rientrasse tra i rischi che le norme violate miravano a prevenire (c.d. concretizzazione del rischio).

5.6. Sono, infine, infondate anche le censure che i ricorrenti dedicano al trattamento sanzionatorio (secondo motivo).

È al riguardo appena il caso di rammentare che, per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità sul tema, così come per quanto riguarda la concessione delle attenuanti generiche, la giurisprudenza di questa Corte ammette anche la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” v. Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583), precisando che “la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale” (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).

In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel caso in esame, la quantificazione della pena sia frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che comunque si esponga a censura di vizio di motivazione, avendo i giudici di merito ampiamente e specificamente motivato sul punto facendo in particolare riferimento alla gravità del reato e mostrando di tenere in considerazione anche altri parametri dettati dalla norma, non essendo ovviamente necessario che si dia specifica motivazione del peso attribuito a ciascuno di essi.

6. Passando quindi all’esame del ricorso proposto da M.G. , se ne deve rilevare l’infondatezza.

Non sussiste infatti il dedotto vizio di motivazione, avendo la Corte d’appello dato adeguatamente conto del proprio convincimento in ordine alla affermata responsabilità penale del prevenuto, in particolare evidenziando che le descritte condizioni del cancello sono direttamente imputabili al fatto proprio dell’installatore ed altresì espressamente escludendo, alla stregua delle emergenze istruttorie, che le cause della sua instabilità potessero essere attribuite a intervento di terzi e che le rilevate anomale dinamiche di funzionamento fossero “diverse da quelle che muovevano dalle caratteristiche con cui era stato montato e con cui era stato reso funzionante”.

La corte territoriale ha altresì compiutamente illustrato il profilo di colpa, specifica e generica, ascrivibile all’imputato, rilevando che “è dovere dell’installatore consegnare un manufatto completo e sicuro, o in alternativa concorrere a mettere in atto tutte quelle misure di protezione e di segnalazione che siano idonee a significare che il manufatto non è ancora completamente eseguito e va considerato alla stregua di una lavorazione di cantiere ancora in essere”.

Ha infine specificamente preso in esame la tesi difensiva dell’imputato (secondo cui era previsto che nessuno dovesse accedere al cantiere e la legatura col fil di ferro poteva essere adeguatamente gestita dagli operatori e dal personale lavorante, che sapeva come manovrarlo), rilevando che sia l’uno che l’altro asserto sono rimasti privi di alcuna prova e che le aspettative in proposito nutrite dall’imputato “alle soglie del weekend… apparivano di ben remota forza tranquillizzante”.

A fronte di un tale puntuale ed esaustivo impianto argomentativo, le censure mosse dal ricorrente si rivelano inconducenti e comunque infondate, risolvendosi esse in buona sostanza – incontestata, ma anzi espressamente confermata, l’evidenza della provvisorietà della sistemazione del cancello e la non ultimazione del lavoro – nel rilievo dell’esclusiva efficacia causale del fatto attribuibile ad altri soggetti e segnatamente della omessa recinzione del cantiere. Rilievo però, all’evidenza, privo di fondamento, essendo quelli richiamati fattori causali meramente concorrenti che non elidono l’efficacia causale della condotta colposa del prevenuto rispetto al tragico evento ad essa semplicemente aggiungendosi, con carattere di equivalenza ai sensi e per gli effetti dell’art. 41 cod. pen..

7. È infondato anche il ricorso di M.M. , pure esso proposto in ragione di asserito ma inesistente vizio motivazionale in punto di affermazione della responsabilità penale.

Con motivazione congrua e logicamente coerente, infatti, la Corte d’appello ha disatteso la tesi difensiva secondo cui egli avrebbe dovuto considerarsi estraneo al fatto addebitato essendosi limitato al trasporto dei manufatti e all’installazione sotto la direzione e le direttive del padre (M.G. ), il quale decideva da solo come occorreva montare e mettere in sicurezza il cancello, rilevando che, sul piano oggettivo, è comunque indubitabile il suo contributo e, quanto all’elemento soggettivo, che “rispetto alle evidenti carenze statiche che potevano apprezzarsi una volta terminato il lavoro, egli aveva il dovere di concorrere attivamente ad una più attenta valutazione della situazione”.

A fronte di tale rilievo, le censure in questa sede svolte dal ricorrente si risolvono in buona sostanza nella mera riproposizione della stessa tesi difensiva già motivatamente disattesa dalla Corte d’appello, formulata con l’accentuazione di aspetti (quali il carattere meramente esecutivo del suo contributo, risoltosi nella mera collaborazione offerta al padre che non avrebbe potuto attendere da solo al trasporto e alla collocazione del pesante manufatto, con assenza di alcun potere decisionale) implicitamente considerati nella richiamata motivazione della corte d’appello e ai quali comunque non può attribuirsi rilievo logico tale da scardinare la tenuta logica del suo nucleo argomentativo.

Questo infatti ruota essenzialmente sulla considerazione per cui la precarietà e l’assoluta inadeguatezza dei rudimentali sistemi adottati per fermare il cancello (filo di ferro) erano di tale evidenza da non poter sfuggire all’imputato: rilievo, questo, fondato su regole di esperienza che possono certamente considerarsi patrimonio comune, comunque presumibile in capo anche un mero collaboratore manuale, e che come tale resiste all’obiezione in esame, rendendola del tutto irrilevante. L’assenza di alcun potere decisionale o gestorio nella esecuzione del lavoro, non avrebbe infatti potuto né dovuto impedire all’imputato di avvedersi e segnalare la pericolosità della precaria sistemazione.

8. Venendo quindi ai ricorsi proposti da Bu.Ma. e D.D. , si procederà di seguito all’esame separato dei primi due motivi del ricorso proposto dal primo, successivamente a quello dei primi due motivi del ricorso proposto dal secondo, per procedere quindi alla congiunta disamina dei restanti quattro motivi dell’uno e dell’altro ricorso, in quanto come detto prospettanti questioni sostanzialmente sovrapponibili.

8.1. È infondato il primo motivo proposto dalla difesa del Bu. .

Se è vero, infatti, che il ruolo di progettista del cancello non può di per sé considerarsi fonte di una posizione di garanzia cui riferire la condotta omissiva penalmente rilevante attribuitagli, nessuna norma imponendo infatti al progettista di un’opera di seguirne e controllarne la sua concreta esecuzione in modo conforme al progetto e in condizioni di sicurezza, non altrettanto può dirsi se si considera la qualifica di direttore dei lavori al contempo pacificamente rivestita dall’imputato nell’occorso.

Al riguardo, se deve certamente ammettersi che la figura del direttore dei lavori è estranea alla disciplina prevenzionistica, non comportando essa, automaticamente, la responsabilità per la sicurezza sul lavoro (v. Sez. 4, n. 12993 del 25/06/1999, Galeotti D, Rv. 215165; Sez. 4, n. 36398 del 23/05/2013, Mungiguerra e aa., non mass. sul punto), resta nondimeno individuabile in capo allo stesso l’obbligo di esercitare un’oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie (quale pur sempre deve considerarsi anche l’installazione del cancello in questione, tanto più in quanto compreso nell’ambito di un più ampio intervento di ristrutturazione edilizia) ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d’ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell’assuntore dei lavori, rinunciando all’incarico ricevuto (Sez. 4, n. 18445 del 21/02/2008, Strazzanti, Rv. 240157).

Tale obbligo trova fondamento nell’art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 che, in materia edilizia, pone a carico del direttore dei lavori una posizione di garanzia in merito alla regolare esecuzione dei lavori, che lo rende responsabile, anche nei confronti dei terzi, dei danni derivanti dall’esecuzione dell’opera in difformità delle prescrizioni contenute nel permesso di costruire (cfr., oltre al precedente dianzi citato, Sez. 4, n. 10905 del 27/11/2013 – dep. 06/03/2014, Fiala e a., non massimata).

Le sentenze di merito, nel caso qui esaminato, si conformano a tali principi, avendo da un lato escluso, nei confronti del Bu. , l’applicabilità dell’aggravante della violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 589, comma 2, cod. pen.), dall’altro focalizzato correttamente il profilo di colpa ad esso addebitato nell’omesso accertamento della conformità delle modalità di esecuzione alle regole della tecnica e nella mancata attiva vigilanza su tutte le fasi esecutive dell’opera (v. pag. 25 della sentenza di primo grado e pag. 15 della sentenza d’appello).

8.2. Così correttamente delineati la condotta omissiva attribuita al ricorrente e il profilo di colpa allo stesso addebitato, rimane confutato anche il secondo motivo di ricorso, palesandosi, da un lato, non pertinente e comunque irrilevante il rilievo secondo cui egli ebbe a partecipare a un sopralluogo due giorni prima del sinistro quando l’area risultava correttamente recintata e segnalata e il cancello non era stato ancora installato (posto che, come detto, ciò che si addebita all’imputato è, per l’appunto, di non aver seguito con maggiore costanza e attenzione le concrete fasi di esecuzione dell’opera, controllandone la corrispondenza al progetto e la funzionalità), dall’altro, infondata, sotto tale profilo, la subordinata censura di difetto di correlazione con l’accusa, oltre che di infondatezza in diritto della detta impostazione.

In proposito, è sufficiente rilevare che, nel capo d’imputazione, il fatto ascritto all’imputato risulta sufficientemente delineato in modo tale da ricomprendere – al di là del riferimento, poi correttamente giudicato infondato, alla violazione dell’art. 8 d.lgs. 494/96 e del piano operativo di sicurezza dell’appaltante – comunque il riferimento al ruolo avuto nella vicenda di “progettista e direttore dei lavori” e alla connessa accusa di aver in tale veste determinato “le condizioni per il verificarsi della morte di L.B. ” a causa della caduta del cancello scorrevole, con addebito di colpa specifica derivante anche dalla violazione delle prescrizioni previste dal permesso di costruire oltre che di colpa generica: in termini, pertanto, perfettamente corrispondenti al reato ritenuto in sentenza.

8.2.1. Può comunque al riguardo ad abundantiam aggiungersi che, ove anche potesse ritenersi sussistente il dedotto scarto tra accusa e sentenza, lo stesso si rivelerebbe nel caso concreto privo di conseguenze processuali.

Deve al riguardo osservarsi, infatti, che la giurisprudenza di legittimità si ispira, nel verificare la mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, al principio secondo cui il parametro che consente di verificare, nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato, l’esistenza della violazione del principio in questione, è costituito dal rispetto del diritto di difesa nel senso che l’imputato deve avere avuto, in concreto, la possibilità di difendersi dall’addebito contestatogli.

Si ha dunque il rispetto del principio nei casi in cui della violazione poi ritenuta in sentenza si sia trattato nelle varie fasi del processo ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato ad evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (si vedano in questo senso, Sez. 4, n. 10103 del 15/01/2007, Granata, Rv. 236099; Sez. 2, n. 46242 23/11/2005, Mignatta, Rv. 232774; Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005, Tucci, Rv. 232973; n. 47365 del 10/11/2005, Codini, Rv. 233182; n. 41663 del 25/10/2005, Canonizzo, Rv. 232423; n. 38818 del 4/5/2005, De Bona, Rv. 232427; Sez. 1, n. 4655 del 10/12/2004, Addis, Rv. 230771).

Naturalmente non deve trattarsi di fatto completamente diverso ed eterogeneo in cui l’imputazione venga immutata nei suoi elementi essenziali (v. Sez. 1, n. 6302 del 14/04/1999, Iacovone; Sez. 6, n. 2642del 14/01/1999, Catone).

È inoltre indiscusso che, se effettivamente verificatasi, la nullità, è di ordine generale a regime intermedio e deve essere dedotta nei limiti previsti dagli artt. 180 e 182 cod. proc. pen. (in questo senso v. Sez. 2, n. 19585 del 17/05/2006, Antonuccio, Rv. 234199; Sez. 4, n. 14180 del 29/11/2005, Pelle, Rv. 233952; Sez. 5, n. 44008 del 28/09/2005, Di Benedetto, Rv. 232805).

Orbene, nella specie, posto che come detto il fatto addebitato risulta delineato nei suoi presupposti oggettivi e soggettivi già nella sentenza di primo

grado, non risulta che alcuna specifica censura di nullità sia stata dedotta con l’appello, dovendosi pertanto la stessa, quand’anche sussistente (il che però per quanto detto va escluso), ritenersi sanata ai sensi dell’art. 182 cod. proc. pen..

8.3. Passando quindi all’esame dei primi due motivi di ricorso di D.D. , se ne deve altresì rilevare l’infondatezza.

Entrambi in buona sostanza sono volti a contestare – sotto il profilo della asserita violazione di legge e del vizio motivazionale – il convincimento espresso in sentenza circa l’esistenza di un obbligo concreto e attuale in capo allo stesso di impedire l’evento e ciò in ragione: della mancata redazione da parte dell’impresa esecutrice dei lavori di installazione del cancello (che peraltro non ne aveva l’obbligo) di alcun piano operativo di sicurezza e della conseguente impossibilità di muovere a lui alcun rimprovero per aver omesso di valutare un piano inesistente; ancor prima, del fatto che egli non era stato messo in contatto con l’impresa esecutrice dei lavori, né era stato informato dell’accesso in cantiere dei fabbri; del contenuto degli obblighi a lui imposti quale coordinatore per l’esecuzione dei lavori ex art. 5 d.lgs. 494/96, che gli attribuiscono solo una funzione di vigilanza alta, idonea a fondare una sua responsabilità solo per carenze organizzative generali e dalla quale, invece, non può farsi discendere un obbligo di verificare in cantiere, passo passo, l’applicazione delle corrette procedure di lavoro in fase di montaggio del cancello.

Tali censure si rivelano inidonee a infirmare la complessiva validità logica e la correttezza in punto di diritto delle argomentazioni svolte nelle sentenze di merito a fondamento della ritenuta responsabilità del ricorrente.

Premesso che, nella specie, siccome pacificamente emergente dagli atti, il D. rivestiva la duplice qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione dei lavori nel cantiere, giova rammentare che da tali incarichi discendeva a suo carico l’obbligo di: redigere il piano di sicurezza e di coordinamento ed il fascicolo delle informazioni per la prevenzione e la protezione dai rischi (art. 4 d.lgs. 494/96); coordinare e controllare l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza redatto dal datore di lavoro dell’impresa esecutrice; organizzare la cooperazione ed il coordinamento delle attività all’interno del cantiere; infine segnalare al committente o al responsabile dei lavori le inosservanze delle disposizioni di legge riferite ai datori di lavoro o ai lavoratori autonomi (art. 5).

Orbene – al di là di alcuni riferimenti contenuti nella sentenza d’appello, in effetti imprecisi ma meramente aggiuntivi e ininfluenti, a un compito operativo di minuta vigilanza delle lavorazioni e all’omesso esame del “POS redatto dal M. ”, in realtà già secondo l’imputazione, inesistente – ciò che fondatamente può rimproverarsi al D. , e che nelle sentenze di merito risulta anche incontestatamente accertato e addebitato (v. pagg. 26-30 della sentenza di primo grado), è non già di aver omesso di seguire passo passo le singole fasi della installazione del cancello, né di avvedersi di una contingente e imprevedibile specifica inosservanza del piano di coordinamento e sicurezza da parte dell’impresa esecutrice, ma proprio di aver omesso di provvedere a una completa e puntuale predisposizione di tale piano e/o al suo aggiornamento in modo da comprendere anche tale specifica attività, così come prescritto dall’art. 12 d.lgs. cit., con ciò venendo meno all’adempimento degli obblighi di vigilanza, ancorché alta, connessi al suo ruolo.

Né può fondatamente sostenersi che l’insorgenza in concreto di tali obblighi presupponesse la comunicazione da parte dei committenti del nominativo dell’impresa esecutrice dei lavori di installazione del cancello scorrevole.

L’omissione da parte dei committenti di tale comunicazione può infatti certamente rilevare, come si è visto, quale fattore causale concorrente addebitabile agli stessi committenti, ma non vale certo a esonerare il coordinatore per la sicurezza dall’obbligo predetto, ben potendo e dovendo egli autonomamente accertarsi, attraverso l’esame del progetto esecutivo dell’opera realizzanda, della natura e consistenza di tutte le opere progettate e delle conseguenti necessità operative di coordinamento, in modo da garantire la sicurezza di tutte le operazioni.

Nella sentenza impugnata, tanto più se letta unitamente a quella di primo grado (dalla quale la motivazione ben può considerarsi integrata per il noto principio della c.d. doppia conforme) risulta peraltro espressamente evidenziato che, nel caso di specie: a) il coordinatore per la sicurezza aveva, per sua stessa ammissione, consapevolezza della previsione del cancello tra le opere in progetto; b) egli non poteva non avere contezza del fatto che alla sua installazione ormai ci si stesse di fatto avviando, considerato lo stato di avanzamento dei lavori; c) di più, egli era presumibilmente consapevole del progetto esecutivo del cancello nonché della ditta incaricata, avuto riguardo alla accertata contitolarità al D. ed al Bu. del medesimo studio tecnico associato e considerato che tale circostanza e lo stretto rapporto di colleganza da essa desunto sono risultati fonte di conoscenze comuni, al D. e al Bu. , relative ad altri momenti dell’attività del cantiere e alle sottostanti vicende negoziali e sono stati anche confermati da alcuni testi (vds. pag. 29 della sentenza di primo grado).

Tutti e tre tali assunti risultano sorretti da argomenti di forza logica bensì decrescente ma tuttavia per ciascuno di essi valida e tale da resistere alle censure del ricorrente, le quali in particolare, con riferimento all’ultimo degli argomenti, si rivelano non pertinenti nella misura in cui si appuntano sulla impossibilità di confondere i diversi ruoli e posizioni giuridiche rivestiti nella vicenda dal D. e dal Bu. , laddove il loro stretto (e incontestato) rapporto di colleganza è plausibilmente valorizzato in sentenza al diverso fine di desumerne prova della consapevolezza da parte del primo del progetto redatto dal primo e della ditta con cui, per esso, lo stesso si era già messo in contatto.

In ogni caso, vale in questa sede rilevare che già solo i primi due argomenti impiegati nelle sentenze di merito (sopra riassunti alle lettere a e b), anche indipendentemente dal terzo, valgono da soli a sorreggere ampiamente sul piano logico l’affermazione della insorgenza, attuale e concreta, in capo al ricorrente della posizione di garanzia che giustifica l’imputazione allo stesso, secondo rapporto di causalità omissiva, dell’evento de quo.

È appena il caso poi di rilevare che è indubitabile la sussistenza di una efficacia causale diretta della violazione della regola cautelare inosservata rispetto al tragico evento verificatosi, essendo di tutta evidenza che la predisposizione di un piano di sicurezza esteso anche alla lavorazione in questione avrebbe del tutto verosimilmente impedito che il manufatto fosse lasciato nelle condizioni di assoluta precarietà e, al contempo, di agevole accessibilità a chiunque, nelle quali si è tragicamente trovato ad essere.

8.4. Procedendo quindi al congiunto esame degli altri quattro motivi dei ricorsi Bu. e D. , come detto sovrapponibili, deve rilevarsi anzitutto, con riferimento al primo di essi (terzo nell’ordine ad esso assegnato in entrambi) che la sentenza impugnata non incorre in vizio di motivazione, né in violazione di legge per aver considerato equivalenti, ai sensi e agli effetti dell’art. 41 cod. pen., le condotte concorrenti e in particolare per non aver attribuito al fatto dell’impresa esecutrice, in quanto connotata da negligenza, imprudenza e imperizia talmente gravi da costituire fattore eccezionale e imprevedibile, rilevanza di causa esclusiva dell’evento.

Senza che metta conto in questa sede ripercorrere le varie teorie sulla causalità sorte proprio al fine di definire il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (art. 41, comma secondo, cod. pen.), è sufficiente nella specie rilevare che tale nozione non può certamente attagliarsi alla condotta commissiva dei fabbri installatori, in rapporto ai fattori causali -preesistenti e simultanei – costituiti dalle condotte omissive del Bu. e del D. , per la semplice ed evidente ragione che proprio a prevenire le conseguenze dannose e i pericoli derivanti da una esecuzione ancorché macroscopicamente inaccorta e negligente, sul piano della sicurezza, dell’opera a quelli affidata sono volti gli obblighi rispettivamente posti a carico dell’uno e dell’altro.

In altre parole, quella evenienza non può ritenersi fattore imprevedibile ed estraneo alla serie causale nella quale si inseriscono le condotte omissive dei ricorrenti di che trattasi, proprio perché al contrario la previsione di simili sempre possibili accadimenti, legati agli immanenti limiti e alla fallibilità umana, è alla base della prescrizione degli obblighi posti a carico di questi ultimi, i quali altrimenti, se si potesse sempre far affidamento sulla condotta perfettamente accorta e diligente degli altri operatori, non avrebbero in gran parte motivo di essere.

8.5. Alla luce delle osservazioni svolte, per l’uno e l’altro ricorrente, circa il fondamento e l’oggetto degli obblighi violati (v. supra, rispettivamente, par. 8.1 e par. 8.3) rimane implicitamente confutato anche il quarto motivo dei ricorsi in esame, con cui si deducono vizio di motivazione e violazione di legge in punto di elemento soggettivo, per non avere il giudice a quo considerato l’inesigibilità della condotta, in ragione del breve lasso di tempo intercorso tra l’installazione del cancello e l’evento e della mancata comunicazione dell’ultimazione dell’opera.

Anche in tal caso, così come si è detto per i ricorrenti B. e R. , tale censura omette di considerare che in realtà il sorgere degli obblighi inadempiuti non può essere collocato temporalmente in prossimità della fase finale di installazione del cancello, ma molto prima, identificandosi con il momento stesso in cui i ricorrenti hanno assunto gli incarichi rispettivamente di direttore dei lavori e di coordinatore per la sicurezza nella fase di progettazione e di esecuzione o, al più, nel momento in cui gli stessi hanno assunto consapevolezza dell’approssimarsi dell’opera di installazione del cancello, come detto collocabile in epoca certamente anteriore a quello dell’inizio della fase esecutiva.

8.6. Richiamate, in relazione alle doglianze in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche e di dosimetria della pena, le considerazioni già svolte in ordine alla analoga censura svolta dai ricorrenti B.E. , B.F. e R.T. , estensibili anche alle analoghe censure svolte con il quinto motivo dei ricorsi Bu. e D. , quanto infine all’ultima censura, con cui entrambi deducono carenza motivazionale in punto di mancata concessione della sospensione condizionale della pena, se ne deve altresì rilevare l’infondatezza.

In proposito giova rammentare che, secondo incontrastata interpretazione, come la valutazione della determinazione della pena, anche la concessione o meno dei benefici (attenuanti, sospensione condizionale, non menzione) è frutto di una valutazione discrezionale del giudice di merito, che va certamente esplicitata in sentenza ma che è insindacabile in sede di legittimità, ove la motivazione non palesi manifesta illogicità.

Il giudice, in particolare, nell’esercizio del relativo potere, è tenuto a formulare la prognosi, positiva o negativa, di ravvedimento ex art. 164, primo comma, cod. pen., con riferimento ai parametri, da tale norma espressamente richiamati, di cui all’art. 133 cod. pen.. Si precisa tuttavia che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi indicati da tale disposizione, ma soltanto quelli – sia positivi, ai fini della prognosi favorevole, sia negativi – ritenuti prevalenti (Sez. 1, Sentenza n. 4136 del 26/02/1993, P.G. Mil. in proc. Sinesi, Rv. 193735).

Nel caso di specie risultano rispettati gli esposti requisiti motivazionali, avendo la Corte d’appello, e prima ancora in senso conforme il Tribunale, espressamente motivato per entrambi gli imputati il proprio convincimento negativo circa la possibilità di formulare una favorevole prognosi di ravvedimento ai sensi dell’art. 164 cod. pen..

Una tale valutazione non può considerarsi contraddetta dalla natura colposa del reato, non potendosi a priori escludere sul piano logico, per tal genere di reati, la possibilità di formulare la prognosi richiesta dalla norma, in rapporto al prevedibile modello di diligenza cui il soggetto ispirerà la la propria condotta, in particolare nello specifico ambito professionale considerato.

Per il resto la motivazione, per entrambi incentrata sulla considerazione della gravità della colpa palesata dalla condotta omissiva, in rapporto al grado di diligenza richiesto dalla professione esercitata, non può ritenersi manifestamente illogica e si rivela pertanto insindacabile in questa sede.

9. In definitiva, per le esposte considerazioni, tutti i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo.

 P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.000,00 a favore di Ri.Gi. e Ma.Cl. e in complessivi Euro 3.000,00 a favore di Ri.Pa. e L.M.C. , oltre, per entrambi, accessori come per legge.

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