maltrattamenti-violenza

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 6 febbraio 2014, n. 5768

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 30.5.2013 il Tribunale del Riesame di Caltanissetta ha rigettato il riesame proposto da L.P. avverso l’ordinanza con cui in data 12.4.2013 il Giudice per le Indagini Preliminari di Gela aveva disposto nei confronti dello stesso la custodia cautelare in carcere, ordinanza eseguita il 6.5.2013.
Il L. diveniva destinatario della misura custodiale in quanto indagato per due episodi di violenza sessuale aggravata commessi in danno di C.E. , il (omissis) ed il secondo nella notte tra il X e il (omissis) e, in relazione al secondo episodio, le correlate lesioni gravi.
Tutto prendeva le mosse dalla denuncia sporta da C.E. il (omissis) nei confronti di L.P. . La donna riferiva di aver instaurato con l’uomo una relazione sentimentale a partire dal (omissis) , che era andata avanti nei mesi successivi con alti e bassi ma che lei aveva deciso di troncare circa 20 giorni prima della denuncia a causa del temperamento irruento del L. . La C. narrava di un episodio di violenza sessuale a suo dire subita una ventina di giorni prima (trasfusa nella contestazione di cui al capo a), che si era consumata presso l’abitazione della denunciante, ove la stessa si trovava insieme al compagno. Ad un certo punto questi avrebbe preteso un rapporto sessuale nel quale la donna avrebbe dovuto sottostare alle sue richieste particolari e, alla contrarietà di lei, lui avrebbe insistito in maniera violenta, riuscendo nell’intento. Aggiungeva di essere stata nell’occasione percossa in tutte le parti del corpo, particolarmente alla testa, di non essere riuscita a opporre resistenza all’uomo a causa della notevole forza da questi impressa.
Successivamente la C. aveva a suo dire chiesto a L. di andarsene da casa sua, ma, invano e, del resto, lei aveva evitato di insistere temendo una sua nuova reazione aggressiva. La mattina dopo lui se n’era andato e lei gli aveva detto che la loro storia da quel momento sarebbe terminata.
La C. riferiva invece che dopo le festività pasquali L. si era fatto risentire, passandogli al telefono anche la madre, dicendole che di lì a breve sarebbe rientrato a XXXX (dove L. svolgeva l’attività di medico presso il locale nosocomio) e sarebbe andato a trovarla, cosa in effetti era accaduto il (omissis) . In tale occasione l’uomo, dopo avere contattato la donna al telefono, era andato a casa sua e le aveva fatto capire che aveva buoni propositi promettendole di rifuggire da nuovi comportamenti e atteggiamenti aggressivi nei suoi confronti.
La C. , a suo dire, a quel punto l’aveva fatto rimanere a casa ed avevano passato la serata e la giornata successiva in maniera tranquilla. La sera seguente, tuttavia, si sarebbe registrata la seconda violenza denunciata (trasfusa al capo di imputazione sub b): il L. , infatti, improvvisamente aveva preteso un rapporto sessuale, cui lei aveva manifestato la sua contrarietà, ma l’uomo, noncurante del suo rifiuto, le aveva tolto i vestiti imponendosi con la forza.
La donna raccontava di una sua persistente opposizione, di essere stata picchiata e minacciata di morte, che l’uomo le aveva stretto il collo come per soffocarla, bloccandole la pancia tanto da non farla respirare e colpendola alla tempia, riuscendo così nel suo intento, nonostante lei gridasse e cercasse di farlo desistere.
Alla fine, secondo quanto denunciato, la C. aveva ceduto alle pretese dell’uomo rifugiandosi successivamente nella stanza da letto.
La donna riferiva di non aver chiamato la polizia per vergogna, ma di avere tentato, invano dato l’orario, di contattare un’amica, Co.Sa. . Aveva poi a suo dire tentato di convincere il L. ad andare via con degli sms, ma lui era rimasto sino al giorno dopo.
La donna riferiva ancora che il giorno seguente l’uomo, dopo averla “torturata psicologicamente” da dietro la porta, dicendole che era una disadattata, incapace di fare sesso e di mandare avanti relazioni affettive, era andato via e nella stessa mattinata le aveva fatto recapitare delle piante.
La donna riferiva che della relazione con il L. erano a conoscenza i familiari e la Co. , alla quale aveva a suo dire raccontato dello strano comportamento dell’uomo e anche di un altro episodio dalla stessa subita, risalente al (omissis) .
La denunciante riferiva poi di essersi recata al pronto soccorso lo stesso giorno della denuncia avendo sofferto il giorno precedente di un mal di testa persistente.
Alla denuncia allegava una certificazione medica relativa ad un accesso al pronto soccorso alle 11.06 per riferita aggressione all’esito del quale le veniva refertata una “cervicalgia post traumatica, lieve contusione cranica, trauma terzo dito mano sinistra, ecchimosi alla regione toracica, al braccio sinistro e radice naso, zigomo destro e regione labiale sinistra, ecchimosi alla regione addominale bassa” con prognosi di giorni 3.
Nel corso della stesura della denuncia la C. riceveva sul proprio telefono svariate chiamate, cui non rispondeva, e riferiva che le stesse provenivano dal L. , circostanza che veniva fatta oggetto di una specifica annotazione di P.G..
Il giorno successivo la C. presentava un seguito di denuncia, nella quale specificava ulteriormente quanto avvenuto il …, precisando che L. era un esperto in arti marziali e sapeva, per averglielo riferito lei stessa, che anni addietro aveva riportato gravi lesioni di origine traumatica alla testa, a causa delle quali era stata sottoposto ad intervento chirurgico di asportazione di masse emorragiche cerebrali.
In quella sede la C. produceva ulteriore documentazione medica, relativa alla visita ginecologica cui si era sottoposta lo stesso … alle ore 21.52, riferendo di aver subito una violenza sessuale all’esito della quale le veniva riscontrata una zona di ecchimosi a livello della forchetta vulvare.
La C. tornava al pronto soccorso il (omissis) alle 19.31 (il Tribunale del riesame da atto esserci in atti il relativo referto) e le venivano nell’occasione diagnosticato un “trauma cranico con ematoma sub epidurale, frontopa – rietale e parietale”.
2. Il L. ricorre per la cassazione del provvedimento a mezzo del suo difensore deducendo:
a. nullità del provvedimento impugnato per erronea applicazione della legge e per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità e per mancanza o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. b) c) ed e) del codice di rito, in relazione alla violazione dell’art. 309 co. 5-10 cod. proc. pen..
Le censure difensive sul punto riguardano in primis il rigetto da parte del tribunale del riesame della richiesta di perdita di efficacia della misura cautelare in considerazione della violazione dell’articolo 309 co. 5-10 cod. proc. pen..
Nello specifico la difesa aveva eccepito la mancata trasmissione dei tabulati telefonici attestanti i contatti tra l’indagato e la persona offesa, la cartella clinica della persona offesa, le registrazioni effettuate dalla figlia della C. , nonché i testi degli sms intercorsi tra i due principali soggetti interessati nell’ambito della vicenda giudiziaria.
Il Tribunale del riesame aveva disatteso tale richiesta, motivando circa la necessità da parte dell’indagato di dover fornire la prova che l’atto non trasmesso, contenesse elementi a lui favorevoli, riportando la giurisprudenza di legittimità sul punto.
Il ricorrente si duole di avere eccepito la mancata trasmissione degli atti non solo sotto il profilo degli elementi favorevoli all’indagato, ma sotto quello di elementi posti a base dell’ordinanza di custodia cautelare e su cui il tribunale della libertà, in mancanza di tali atti, non poteva effettuare un adeguato controllo sia nel merito che anche solo di tipo formale. Viene richiamata in proposito la giurisprudenza di legittimità in materia di violazione dell’articolo 309, co. 5, cod. proc. pen., in caso di mancata trasmissione al tribunale del riesame di atti trasmessi al gip a supporto della richiesta di misura cautelare.
Secondo il ricorrente la giurisprudenza riportata dal tribunale del riesame non si riferisce dunque alla censura difensiva relativa alla perdita di efficacia della misura ex articolo 309 co. 5 cod. proc. pen..
Ciò in quanto il tribunale avrebbe erroneamente ritenuto trattarsi di elementi favorevoli all’indagato non trasmessi, non avvedendosi che i tabulati telefonici, la cartella clinica e gli sms intercorsi tra le parti erano stati valutati dal giudice della cautela e posti a fondamento dell’applicazione della misura, sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Il tribunale quindi si sarebbe erroneamente riferito alla violazione dell’articolo 292 cod. proc. pen. e non certo alla violazione dell’articolo 309 cod. proc. pen. così come denunciata dalla difesa.
Ritiene ancora il ricorrente che se il collegio avesse valutato i tabulati telefonici, certamente avrebbe potuto notare diverse distonie nel racconto della persona offesa.
In particolare si sarebbe potuto evincere come a partire dal 14 marzo si siano registrate numerose telefonate in entrata e in uscita dal telefono della C. verso quello del L. , così come numerosi sms, a dimostrazione che vi fossero continui contatti tra i due soggetti. Anche le cartelle cliniche e le registrazioni, poi, ad avviso del ricorrente, dovevano essere specifico oggetto di deliberazione da parte del collegio, dovendo di contro inammissibilmente ritenersi che sia solo sufficiente asserire delle cose senza necessità alcuna che le stesse vengano controllate riscontrate.
b. Nullità del provvedimento impugnato per erronea applicazione della legge e per manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. b) c) ed e) del codice di rito, in relazione alla violazione degli art. 273-274 cod. proc. pen..
Il ricorrente lamenta che il compendio indiziario relativo alla contestazione in esame non appare munito dei requisiti di gravità e concordanza richiesti dal codice di rito per l’applicazione del mantenimento della misura custodiate.
L’ordinanza gravata si presenterebbe in tal senso fortemente carente sotto l’aspetto motivazionale, ed acriticamente ripetitiva delle tesi d’accusa poste a base del titolo custodiate in esame, senza alcuna riflessione critica sull’argomentazioni prospettate dalla difesa.
Il ricorrente si duole soprattutto che la piattaforma indiziaria si identificherebbe specularmente nelle sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, C.E. , nonostante la stessa non abbia mai reso una ricostruzione dettagliata degli episodi criminosi asseritamente subiti.
A tal proposito la difesa rappresenta quella che a suo avviso sarebbe una violazione di legge, consistita nell’omesso controllo circa la credibilità soggettiva e oggettiva delle stesse dichiarazioni, sotto il profilo della spontaneità, della linearità, della coerenza ricostruttiva, parametri indicati da questa Corte, nonché nella illogicità della motivazione dei passaggi che ritengono provata la sussistenza del compendio indiziario a carico di L.P. .
Secondo il ricorrente la motivazione del tribunale del riesame appare illogica e fallace, allorquando ritiene che possano spiegarsi o abbiano una ricostruzione alternativa le imprecisioni, le inesattezze rese dalla persona offesa nei suoi racconti, nonché i vuoti narrativi circa le fasi salienti dell’aggressione. Si tratta, secondo la tesi prospettata dal ricorrente, di passaggi assolutamente importanti e determinanti che in quanto tali non consentono non possono essere colmati e giustificati dalla motivazione del tribunale della libertà, che in quanto arrisicata su tali vuoti, si appaleserebbe logica e infondata.
Il ricorrente si sofferma su quelli che sono i passaggi della motivazione del tribunale del riesame in relazione ai singoli episodi e su quelle che vengono prospettate come contraddizioni e inverosimiglianze nella ricostruzione fornita dalla parte lesa e dai testi d’accusa.
Secondo il ricorrente in motivazione il collegio arriva addirittura a travisare il dato probatorio, ritenendo che il rapporto sia iniziato con il consenso della donna per scaturire poi in un rapporto non più consenziente. In particolare, ci si duole del peso dato dal tribunale del riesame in motivazione alle dichiarazioni di Co.Sa. e G.R. , così come a quelle di G.G. , mentre sono state completamente pretermesse dalla motivazione dell’ordinanza le dichiarazioni dell’indagato e di sua madre.
Il L. contesta, infine, le esigenze cautelari e l’idoneità della misura.
Il ricorrente chiede pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato con eventuale rinvio a diverso collegio giudicante.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato.
2. Quanto al primo motivo di doglianza, l’esame degli atti e dell’ordinanza resa dal GIP non consente di ritenere provato, come deduce il ricorrente, che il giudice che ha emesso la misura avesse a propria disposizione i tabulati telefonici attestanti i contatti tra l’indagato e la persona offesa, la cartella clinica della persona offesa, le registrazioni effettuate dalla figlia della C. , nonché i testi degli sms intercorsi tra i due principali soggetti interessati nell’ambito della vicenda giudiziaria.
Di certo le risultanze di tali atti non sono state utilizzate nella motivazione del provvedimento (cfr. pag. 6 dell’ordinanza del GIP), se non attraverso elementi desumibili dalle sommarie informazioni acquisite dalle persone informate dei fatti e dalla stessa parte lesa. E nemmeno risultano tali atti, per quello che è dato di verificare a questa Corte, tra quelli trasmessi al GIP. Né tantomeno il ricorrente ha provato cosa diversa, dovendo in ogni caso anche i fatti processuali essere oggetto di prova.
3. Anche il secondo motivo di ricorso è poi infondato.
Va ricordato sul punto che Questa Corte Suprema è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8 marzo 2012, Lupo, rv. 252178).
In altra pronuncia, che pure si condivide, si è sottolineato che, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (sez. 4, n. 26992 del 29.5.2013, rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6.7.2007, Cuccaro e altri, rv. 237475);
Spetta dunque a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
Compete a questa Corte, dunque, esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Questa Corte di legittimità, ancora di recente ha peraltro ribadito come la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non sia omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (sez. 5 n. 36079 del 5.6.2012).
Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati.
In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen..
Ciò lo si desume con chiarezza dal fatto che l’art. 273, comma Ibis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi (così univocamente questa Corte, ex plurimis Sez. 2, n. 26764 del 15.3.2013, Ruga, rv. 256731; sez. 6 n. 7793 del 5.2.2013, Rossi, rv. 255053; sez. 4 n. 18859 del 14.2.2013, Superbo, rv. 255928).
Se questi sono i canoni ermeneutici cui questa Corte di legittimità è ancorata, va rilevato che nel caso all’odierno esame non risulta essersi verificata né violazione di legge e nemmeno vizio di motivazione rilevante ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen..
La motivazione del Tribunale del riesame è stata prospettata in concreto e diffusamente in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto all’affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
4. Il ricorrente si è limitato ad offrire una propria lettura degli esiti delle indagini preliminari, con particolare riferimento alle dichiarazioni testimoniali della persona offesa e alla valenza da attribuire a quelle che reputa essere contraddizioni in cui la stessa è incorsa.
Ma il Tribunale del Riesame di Caltanissetta fornisce un’interpretazione dei fatti assolutamente coerente e logica. E sottolinea per come la verifica delle dichiarazioni della parte offesa “non si può prescindere dal contesto nel quale si collocano le dichiarazioni da vagliare, il quale consente di spiegare, a parere del tribunale, le lamentate imprecisioni ed inesattezze della narrazione, oltre che alcuni dei comportamenti tenuti dalla persona offesa”.
Dirimente – spiegano i giudici nisseni nella motivazione – appare la circostanza per cui le denunciate violenze sono state perpetrate nell’ambito di un rapporto sentimentale già avviato e caratterizzato, per quanto evincentesi dalle sommarie informazioni assunte ma anche dall’atteggiamento tenuto dal L. successivamente alla denuncia e al ricovero della C. , da un elevato grado di conflittualità, ma allo stesso tempo di attrazione e dipendenza reciproche, nonché di sudditanza della C. rispetto all’uomo.
Viene dato conto e vengono vagliate criticamente, nell’articolata motivazione (cfr. pagg. 6 e ss.), le dichiarazioni assunte nella fase delle indagini preliminare, a cominciare da quelle assolutamente di rilievo di Co.Sa. e di G.G. , figlia della persona offesa, spiegando in chiave assolutamente logica la ritenuta ragione per cui la C. avrebbe riallacciato i rapporti con il L. pur a seguito della prima violenza risalente al marzo sia il fatto che la donna non abbia immediatamente denunciato le violenze subite, le quali, stando alle emergenze investigative, apparivano costituire lo sconfinamento di una relazione sessuale ordinariamente caratterizzata da pratiche violente, certamente volute dal L. , ma verosimilmente accettate, sino ad un certo punto, dalla persona offesa.
Il quadro delineato nel provvedimento impugnato, in maniera logica e coerente, è quello di una violenza perpetrata nell’ambito di un rapporto inizialmente consensuale. In tal senso viene spiegato il dato della mancata descrizione, da parte della persona offesa, della fase di asportazione dei vestiti.
Viene sul punto ricordata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui integra il reato di violenza sessuale la condotta di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto, ciò in quanto il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità (sez. 3, n. 4532 dell’11.12.2007, Bonavita, rv. 238987).
In altra pronuncia è stato poi condivisibilmente sottolineato come in tema di reati contro la libertà sessuale, il consenso iniziale all’atto sessuale non è sufficiente quando quest’ultimo si trasformi, “in itinere”, in atto violento, consumando il rapporto con forme e modalità non volute dalla vittima. (Sez. 3, n. 39428 del 21.9.2007; Ortiz Mejia, rv. 39428).
La natura dei rapporti tra i due soggetti coinvolti giustifica e rende credibile, inoltre, per il tribunale del riesame, il sentimento di vergogna della donna, dalla stessa più volte esternato per spiegare la tardiva assunzione della decisione di denunciare i fatti e spiega altresì il fatto che nel medesimo arco temporale la C. abbia contattato la madre del L. .
5. In ultimo va rilevato che il ricorrente contesta la sussistenza delle esigenze cautelari e l’idoneità della misura, ma pare essere una richiesta più che una censura della motivazione.
Va ricordato che nel sistema processualpenalistico vigente, così come non è conferita a questa Corte di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi, non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate.
Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.
È pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di misure cautelari, il pericolo di reiterazione criminosa vada valutato in ragione delle modalità e circostanze del fatto e della personalità dell’imputato (cfr. per tutte questa sez. 3, n. 14846 del 5.3.2009, PM in Proc. Pincheira, rv. 243464, fattispecie di misura cautelare applicata per il delitto di violenza sessuale ai danni di un minore, in cui la Corte ha annullato per illogicità e contraddittorietà della motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che, nell’attenuare la misura cautelare, aveva sostenuto che essendo la condotta delittuosa collegata ad un solo soggetto passivo, non appariva verosimile che il reo potesse reiterarla in danno di altre persone).
Più precisamente, la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all’art. 274 comma primo lett. c) cod. proc. pen., deve essere desunta sia dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, che dalla personalità dell’imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti concreti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati (Sez. 4, Sentenza n. 37566 del 01/04/2004 Cc. dep. 23/09/2004 Rv. 229141).
È stato, tuttavia, in più occasioni, anche condivisibilmente sottolineato come nulla impedisca di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere.
In altri termini, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell’agente (cfr., ex plurimis, sez. 2 n. 35476/07).
Nello specifico, è stato di recente più volte affermato come ai fini dell’individuazione dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lettera c), cod. proc. pen., il giudice possa porre a base della valutazione della personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravità del medesimo (sez. 1 n. 8534 del 9.1.2013, Liuzzi, rv. 254928; sez. 5 n. 35265 del 12.3.2013, Castelliti, rv. 255763).
Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame ha motivato in modo più che esauriente il suo provvedimento in ordine alle esigenze cautelari e alla idoneità della misura della custodia in carcere in aderenza ai suddetti principi di diritto laddove, attraverso un percorso logico assolutamente privo di incongruenze o contraddittorietà, ha considerato in particolar modo il comportamento particolarmente violento tenuto dal L. dopo il ricovero della C. .
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

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