Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 22 luglio 2015, n. 31955
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Napoli, con ordinanza del 21/10/2013 ha respinto la domanda di revoca dell’ordine di demolizione disposto con sentenza del Pretore di Pozzuoli del 21/3/1994, irrevocabile il 13/6/1996 e concernente un “manufatto composto di piano seminterrato e piano terra, primo piano con pilastri e solaio di copertura” a destinazione produttiva (commerciale – uffici) edificato ex novo in zona sottoposta a vincolo ambientale, ordine ribadito con ingiunzione a demolire emessa dalla Procura Generale e notificato a D.G.V. il 5/3/2012.
Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso tramite il proprio difensore di fiducia, sulla base di motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quando disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che il giudice dell’esecuzione avrebbe erroneamente considerato che i cinque titoli abilitativi in sanatoria rilasciati ai sensi della legge 724/1994 siano stati illegittimamente emanati in quanto concernenti un unico manufatto di volumetria eccedente il limite di 750 metri cubi fissato dalla legge, limite che, in ragione del combinato disposto dell’art. 36, comma 16 della legge 724/1994 e dell’art. 34, comma 7 della legge 47/1985, non sarebbe operante con riferimento agli immobili ad uso non abitativo, secondo l’interpretazione offerta dalla Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2241/UL del 17/6/1995 e dalla sentenza n. 9598/2012 di questa Terza Sezione.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, osservando che la giurisprudenza richiamata dalla Corte territoriale sarebbe inconferente rispetto ad altra che giustificherebbe la presentazione, da parte dello stesso soggetto, di più domande di condono edilizio.
4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, rilevando che la Corte d’appello, nel considerare l’eccedenza del limite volumetrico, avrebbe erroneamente computato nella volumetria complessiva anche il piano interrato.
5. Inoltre, con separato atto, datato 9/1/2013, formulava un ulteriore motivo di censura del provvedimento impugnato, deducendo la carenza di motivazione riguardo alla ritenuta applicabilità del limite volumetrico agli immobili a destinazione diversa da quella abitativa, non avendo il giudice dell’esecuzione fornito argomentazioni atte a superare l’indirizzo interpretativo fissato dalla già menzionata sentenza n. 9598/2012.
Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo di ricorso concerne l’applicabilità o meno del limite volumetrico di 750 metri cubi di cui alla legge 724/1994 anche agli immobili aventi destinazione non residenziale.
La Legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante “Misure di razionalizzazione delle finanza pubblica”, nell’introdurre il secondo condono edilizio, prevedendo l’applicabilità delle disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 come ulteriormente modificate dalla stessa legge, alle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, ha stabilito anche (art. 39, comma 1), quale ulteriore condizione rispetto al limite temporale, che la sanatoria poteva riguardare quegli immobili che non avessero comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, specificando ulteriormente che tali disposizioni trovavano applicazione anche per le opere abusive realizzate entro il termine predetto relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria.
La Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2241/UL del 17/6/1995, richiamata in ricorso, ha affermato che il limite volumetrico per l’ammissibilità della sanatoria si applicherebbe alle costruzioni abusive a carattere residenziale e non a quelle destinate ad altri usi, in quanto l’art. 39 stabilisce, nel comma 16, che “all’oblazione calcolata ai sensi del presente articolo continuano ad applicarsi le riduzioni di cui all’articolo 34, terzo, quarto e settimo comma della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ovvero, anche in deroga ai limiti di cubatura di cui al comma 1 del presente articolo, le riduzioni di cui al settimo comma dello stesso articolo 34”, il quale riguarda le modalità di calcolo dell’importo dell’oblazione per gli immobili non residenziale in rapporto alla loro superficie o alla loro destinazione.
Ad ulteriore sostegno di tale interpretazione, che la ricorrente condivide, viene richiamata in ricorso una decisione di questa Sezione (Sez. 3, n. 9598 del 9/2/2012, Buondonno, Rv. 252364), ove si è affermato, riproponendo la medesime argomentazioni riportate nella circolare e con specifico richiamo alla legge 724/1994, che dal combinato disposto dell’art. 39, comma 16 della legge medesima e dell’art. 34, comma 7 legge 47/1985 il limite volumetrico dei 750 me. si applica solo alle costruzioni residenziali.
Una simile conclusione, tuttavia, non è condivisibile.
2. Per ciò che concerne la circolare, va preliminarmente ribadito quanto già affermato con riferimento ad analogo provvedimento del 2005, relativo al condono edilizio del 2003 (circolare ministeriale n. 2699 del 7 dicembre 2005) e, cioè, che la circolare interpretativa è atto interno alla P.A., che si risolve in un mero ausilio ermeneutico e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, poiché non può comunque porsi in contrasto con l’evidenza del dato normativo (Sez. 3, n. 25170 del 13/6/2012, La Mura, Rv. 252771; Sez. 3, n. 6619 del 7/2/2012, Zampano, Rv. 252541).
3. Per ciò che concerne, invece, il richiamo alla precedente pronuncia di questa Sezione, osserva il Collegio che le conclusioni cui la stessa è pervenuta non possono essere qui recepite, in quanto fondate su una lettura della legge 724/1994 che, sebbene condivisa, in alcuni casi, anche dalla giurisprudenza amministrativa, si fonda su un orientamento che gli stessi giudici amministrativi hanno ormai abbandonato e dal quale si è anche motivatamente discostata, con argomentazioni pienamente condivisibili, anche la giurisprudenza civile di questa Corte.
In particolare, il Consiglio di Stato (Sez. V n. 3098 del 23/6/2008), oltre ad escludere ogni efficacia vincolante della circolare ministeriale, ha posto l’attenzione su un dato rilevante, rappresentato dal tenore letterale dell’art. 39, comma 1, legge 724/1994, il quale, nell’individuare gli immobili oggetto di sanatoria, non opera alcuna distinzione in relazione alla destinazione degli stessi, ammettendo il superamento del limite volumetrico solo nel caso di annullamento della concessione edilizia.
I giudici amministrativi, inoltre, hanno pure rilevato che la possibilità di pagare l’oblazione anche con riferimento a cubature maggiori, in relazione ad immobili con destinazione non residenziale, si giustifica esclusivamente per il fatto che, in tal modo, si può determinare l’estinzione di alcuni reati edilizi, secondo quanto stabilito dall’art. 38, comma 2 della legge 47/1985, contenuto nel capo IV della legge stessa, che l’art. 39, comma 1, legge 724/1994 richiama e che, pervenendo a diverse conclusioni, gli abusi relativi ad immobili non residenziali dovrebbero ritenersi sanabili indipendentemente dalla volumetria ed in contrasto con quanto stabilito, sempre in materia di condono, anche da provvedimenti legislativi successivi (art. 32, comma 25 del D.L. 30.9.2003).
In altra decisione, sempre il Consiglio di Stato (Sez. V n. 4416 del 17/9/2008), ha rilevato come non possa ammettersi un condono privo di limiti quantitativi, ricordando come la Corte Costituzionale (28luglio 1995, n. 416; 12 settembre 1995, n. 427; 23 luglio 1996, n. 302; 17 luglio 1996, n. 256) abbia posto in evidenza come le norme sul condono abbiano carattere del tutto eccezionale e siano, pertanto, particolarmente soggette al limite di ragionevolezza) e che la esclusione di ogni limite quantitativo alla condonabilità degli edifici industriali trasformerebbe l’art. 39 della legge 724/1994 da disposizione di eccezione a disposizione di rottura incondizionata del controllo edilizio passato.
4. La lettura delle disposizioni richiamate offerta dal giudice amministrativo pare al Collegio pienamente condivisibile.
Sarebbe del tutto irragionevole, infatti, ritenere indiscriminatamente condonabili gli immobili a destinazione non residenziale, spesso di rilevante impatto sul territorio, sotto diversi profili, ponendo invece limiti rigorosi in termini di volumetria per quelli ad uso abitativo e non si spiegherebbe, inoltre, per quale motivo una simile distinzione non sia stata operata dal legislatore direttamente nel primo comma dell’art. 39, prevedendo, invece, tale distinguo attraverso un involuto riferimento nelle disposizioni riguardanti il calcolo dell’oblazione.
Invero, avuto riguardo al tenore letterale delle disposizioni richiamate, è evidente che l’art. 39, comma 1 pone il limite volumetrico per tutte le opere abusive, indipendentemente dalla loro destinazione, mentre il comma 16 del medesimo articolo, il quale a sua volta richiama l’art. 34, comma 7 legge 47/1985, disciplina esclusivamente il calcolo dell’oblazione e la deroga alla volumetria è giustificata dai motivi indicati dalla giurisprudenza amministrativa e dei quali si è detto in precedenza.
A conclusioni analoghe è pervenuta, come si è già accennato, una decisione della Prima Sezione Civile di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 4640 del 26/2/2009, Rv. 607037) nella quale si è osservato come “la dizione adoperata dal primo comma del più volte menzionato art. 39, e la manifesta intenzione ivi espressa dal legislatore di porre un limite inderogabile, di carattere generale, alla sanabilità degli abusi edilizi, ricollegando detto limite all’oggettiva entità dell’abuso e, di conseguenza, all’entità della lesione da esso inferta ai valori espressi dalla normativa urbanistica a tutela di un interesse pubblico preminente, inducono senz’altro ad escludere un’interpretazione della norma che vada al di là di quanto in essa enunciato e sia tesa a circoscriverne la portata ai soli edifici a destinazione residenziale”, rilevando, inoltre, che la deroga di cui all’art. 39, comma 16 concerne esclusivamente l’oblazione e la sua misura e non anche la sanatoria, richiamando, quindi e condividendo le menzionate pronunce del giudice amministrativo.
5. Ritiene pertanto il Collegio di affermare il principio secondo il quale ai fini del perfezionamento del condono edilizio di cui alla legge 724/1994, il limite volumetrico di 750 metri cubi previsto dall’art. 39, comma 1 è applicabile a tutte le opere, senza alcuna distinzione tra residenziali e non residenziali.
Sulla base di quanto appena affermato, dunque, anche per le opere oggetto dell’ordinanza impugnata opera il limite di volumetria, a nulla rilevando la loro destinazione ad uso non residenziale.
6. Va aggiunto, poi, con riferimento al secondo motivo di ricorso, che il mancato rispetto del limite di cubatura è stato correttamente valutato dal giudice dell’esecuzione sulla base della volumetria complessiva del manufatto (che viene indicata in me 432 per ciascun piano) indipendentemente dal numero delle istanze di condono presentate (risultando, nel caso specifico, rilasciati 5 diversi titoli abilitativi in sanatoria in favore del medesimo soggetto) avendo questa Corte ripetutamente escluso la possibilità di aggirare il limite volumetrico mediante il fittizio frazionamento dell’immobile (cfr. Sez. 3, n. 12353 del 2/10/2013 (dep. 2014), Cantiello, Rv. 259292Sez. 3, n. 9598 del 9/2/2012, Buondonno, Rv. 252364, cit.; Sez. 3, n. 33796 del 23/06/2005, Brigante, Rv. 232481; Sez. 3, n. 20161 del 19/4/2005, Merra, Rv. 231643; Sez. 3, n. 10500 del 2/7/1998, San Martino G, Rv. 211856).
7. Del tutto inconferente risulta, inoltre, la ulteriore censura formulata nel terzo motivo di ricorso e concernente la computazione, nella volumetria complessiva dell’edificio, del piano definito “interrato”, in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.
In disparte le circostanze che, avuto riguardo alla volumetria indicata per ciascun piano, il limite di 750 metri cubi risulterebbe comunque superato e che, nella descrizione del manufatto riportata nell’ordinanza impugnata e sopra ricordata l’edificio non risulta avere alcun piano interrato, va rilevato che la stessa ricorrente evidenzia come la richiamata decisione del giudice amministrativo (Cons. Stato Sez. VI n. 400 dell’1/2/2010) si riferisca a locali interrati usati saltuariamente ovvero adibiti ad usi complementari, dei quali non vi è traccia alcuna nella descrizione ricordata né in altre parti dell’ordinanza o del ricorso, unici atti ai quali questa Corte ha accesso.
8. Parimenti infondata risulta, infine, la censura formulata nel motivo di ricorso aggiunto del 9/1/2013, atteso che il giudice dell’esecuzione ha correttamente presupposto che il limite volumetrico di cui si è ripetutamente detto vada applicato indipendentemente dalla destinazione dell’immobile abusivo del quale si richiede la sanatoria, come si ricava dal tenore dell’ordinanza impugnata e non vi era dunque alcun obbligo, a fronte di tale inequivoca scelta interpretativa, di confutare espressamente eventuali orientamenti di segno contrario.
La motivazione del provvedimento impugnato, dunque, non presenta alcuna lacuna degna di rilievo in questa sede.
9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Leave a Reply