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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 17 febbraio 2014, n. 7337

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Roma, con ordinanza del 17.5.2013 ha dichiarato l’inammissibilità, perché tardivo, dell’appello proposto dal difensore di F.M. avverso la sentenza pronunciata il 28.6.2011 dal Tribunale di Tivoli – Sezione Distaccata di Palestrina, con la quale il predetto era stato riconosciuto responsabile del reato di cui all’art. 10 bis d.lgs. 74/2000 (commesso il (omissis) ).
Osserva la Corte del merito che l’estratto contumaciale della sentenza era stato notificato all’imputato, per compiuta giacenza, il 25.7.2011, mentre il difensore aveva proposto appello con atto pervenuto in cancelleria, come da attestazione, il 6.12.2011, oltre il termine di 30 giorni di cui all’art. 585, commi 1, lett. b) e 2, lett. d) cod. proc. pen..
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, nominato con atto in calce all’impugnazione.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce l’inosservanza di norme processuali, rilevando che, dopo una prima notifica a mezzo posta all’imputato, rispetto alla quale veniva attestata la compiuta giacenza del plico, la cancelleria aveva proceduto ad una nuova notifica presso il difensore ai sensi dell’art. 161, comma 4 cod. proc. pen., eseguita il 15.11.2011.
Avendo quest’ultimo, con atto spedito il 30.11.2011 e ricevuto dalla cancelleria del giudice di prime cure il 6.12.2011, impugnato la sentenza, l’appello avrebbe dovuto quindi essere ritenuto tempestivo, anche in considerazione di quanto disposto dall’art. 585, comma 3 cod. proc. pen. e, segnatamente, del fatto che, essendo diversa la decorrenza dei termini per l’imputato ed il difensore, operava per entrambi il termine stabilito per il secondo, in quanto scadente per ultimo.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è inammissibile.
Occorre preliminarmente osservare che, dall’esame degli atti del procedimento, la cui consultazione è consentita a questa Corte in considerazione della natura processuale della censura sviluppata in ricorso, emerge quanto segue.
L’imputato risulta elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia Avv. Valerio CANNIZZARO, con studio in Roma, Via Novenio Bucchi, 7 come da verbale redatto dalla Guardia di Finanza di Tivoli il 26.5.2009.
Tutte le notifiche che hanno preceduto il giudizio di primo grado sono state infatti validamente eseguite presso il difensore domiciliatario.
La sentenza di primo grado, tuttavia, riporta erroneamente nell’intestazione l’indirizzo di residenza dell’imputato, senza indicazione del domicilio, dunque la notifica dell’estratto contumaciale andava effettuata anch’essa presso il domicilio eletto, cosicché la prima notifica per compiuta giacenza del 25.7.2011, eseguita presso la residenza dell’imputato e ritenuta determinante dalla Corte territoriale, non avrebbe dovuto avere luogo.
La cancelleria del Tribunale, verificato l’errore, come risulta evidente dall’annotazione a penna sulla sentenza, ha successivamente disposto la notifica presso il domicilio eletto, effettuata il 15.11.2011.
Non si tratta, dunque, come asserito in ricorso, di notifica effettuata ai sensi dell’art. 161, comma 4 cod. proc. pen., bensì dell’unica notificazione che avrebbe dovuto essere eseguita fin dall’inizio.
Dunque la decorrenza dei termini per l’impugnazione andava calcolata dal 15.11.2011.
4. La sentenza è stata emessa il 28.6.2011 con motivazione contestuale, come chiaramente indicato nella sentenza stessa e documentato dalla attestazione di deposito recante la medesima data del 28.6.2011.
Di tale circostanza non si è tuttavia avveduta la Corte territoriale, la quale, nell’effettuare il calcolo dei termini per l’impugnazione, ha fatto riferimento a quello di 30 giorni di cui all’art. 585, commi 1, lett. b) e 2, lett. d) cod. proc. pen., né è stata considerata dal difensore nella formulazione dei motivi di ricorso.
Dunque il termine per l’impugnazione della sentenza era quello di 15 giorni di cui all’art. 585, commi 1, lett. a).
5. La decorrenza di detti termini, considerata la contumacia dell’imputato, andava calcolata, riguardo a questi, secondo quanto più volte evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, tenendo conto della data di notificazione dell’estratto contumaciale e non da quella di lettura della sentenza, con motivazione contestuale, in udienza, applicando il medesimo principio anche alla decorrenza per il difensore, se munito di procura speciale, in forza di quanto disposto dall’art. 585, comma 3 cod. proc. pen. sulla unificazione dei termini di impugnazione in rapporto all’ultima scadenza (Sez. II n. 36938, 13 ottobre 2011; Sez. I n. 6043, 4 dicembre 1999; Sez. III n. 129, 14 febbraio 1992).
Il termine per l’impugnazione della sentenza di primo grado scadeva, pertanto, il 30.11.2011.
6. Ciò premesso, rileva il Collegio che, all’interno del fascicolo processuale, sono presenti più copie dell’impugnazione, una delle quali spedita per posta, che hanno indotto la Corte d’appello a richiedere chiarimenti alla cancelleria del Tribunale.
In particolare, in data 20.2.2013, rispondendo ad una richiesta proveniente dalla Corte territoriale, il funzionario di cancelleria del Tribunale attestava che l’atto di appello era pervenuto in una sola copia il 6.12.2011 e che, a richiesta della cancelleria del 7.12.2011, erano state richieste altre tre copie, pervenute il 23.12.2011.
La Corte di appello, nella persona del Presidente della Sezione, riscontrato che a f. 64 del fascicolo vi era un atto di appello con firma in originale, ma senza attestazione del deposito da parte della cancelleria e, a f. 68, una copia fotostatica, constatato che la precedente comunicazione non aveva chiarito quale fosse la data di presentazione dell’impugnazione, chiedeva alla cancelleria del Tribunale, con comunicazione del 24.11.2013, di attestare formalmente quale fosse l’appello originale.
La cancelleria del Tribunale rispondeva il 6.5.2013, attestando che l’atto era pervenuto per posta e conteneva la sottoscrizione del difensore in originale ed era quello a ff. 64. 65 e 66 del fascicolo.
7. Dall’esame degli atti, tuttavia, rileva il Collegio che l’attestazione della cancelleria suscita perplessità.
Effettivamente a f. 64 del fascicolo vi è un atto di appello recante la firma in originale del difensore ma privo dell’attestazione di deposito della cancelleria.
Tale atto, tuttavia, non può essere quello inviato per posta raccomandata, come riferito dalla cancelleria del Tribunale, perché, come palesemente emerge dalla ulteriore documentazione presente, per l’invio risulta essere stato effettuato il servizio “Posta Raccomandata online”, che, consentendo l’invio di raccomandate via internet, dal sito delle Poste Italiane, non permette, ovviamente, l’invio di un documento originale, potendo essere spedito con questo mezzo soltanto un testo appositamente scritto, ovvero un file in formato testo o immagine (.doc., docx, .xls, .xlsx, .txt, .rtf, .pdf, .tif, .jpg) che Poste Italiane provvede poi a stampare e recapitare al destinatario.
Ed, invero, a f. 68 del fascicolo vi è l’atto effettivamente inviato con detto mezzo, trattandosi, evidentemente, di stampa di un documento precedentemente predisposto, in quanto la sigla del difensore non è in originale.
Si rinviene inoltre nel fascicolo una nota del difensore, il quale trasmette, a seguito di richiesta della cancelleria a mezzo fax in data 7.12.2011 – che indica come ricevuta una sola copia dell’impugnazione – altre copie dell’appello che recano l’attestazione di deposito del 23.12.2011.
Unitamente alla richiesta della cancelleria vi è una nota manoscritta su foglio adesivo, con grafia identica a quella della richiesta via fax diretta al difensore, nella quale si parla di “copia” senza “firma dell’imputato contumace”.
Va altresì rilevato che, nell’originale del ricorso per cassazione, è stata allegata l’attestazione di spedizione con servizio “Raccomandata online” documentata anche dalla sigla ROL che precede il numero della spedizione.
8. Dall’esame della suddetta documentazione emerge dunque che, prima della scadenza del termine di quindici giorni decorrenti dal 15.11.2011 per proporre appello, al Tribunale non era pervenuto alcun atto in originale.
9. Quello spedito a mezzo posta “raccomandata online” il 30.11.2011 e giunto al Tribunale il 6.12.2011 era privo di sottoscrizione originale e pertanto, invalido.
Va rilevato, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare che la sottoscrizione dell’atto con il quale viene proposta l’impugnazione costituisce, anche per il difensore, un requisito formale indeclinabile dell’atto stesso, che ha natura di dichiarazione di volontà e produce importanti e immediati effetti processuali, i quali richiedono, già nel momento in cui viene posto in essere, la sua riferibilità in modo certo, attraverso una inequivoca assunzione di responsabilità, che solo la firma può dare, a uno dei soggetti legittimati (Sez. IV n. 38467, 22 novembre 2006, fattispecie relativa ad atto privo di sottoscrizione).
Si è inoltre esclusa, in più occasioni, l’ammissibilità dell’impugnazione presentata con modalità tali da non garantire certezza in ordine all’autenticità della provenienza e all’identità dell’impugnante, prendendo in considerazione l’invio mediante telegramma dettato per telefono, distinguendolo da quello spedito da un ufficio postale (Sez. II n. 10404, 15 marzo 2011; Sez. I n. 44660, 20 novembre 2009; Sez. II n. 3627, 30 gennaio 2006) e quello a mezzo telefax da parte del difensore (Sez. III n. 33873, 5 settembre 2007; Sez. II n.25967, 9 giugno 2004; Sez. I n. 1366, 5 giugno 1990) e del Pubblico Ministero (Sez. I n. 16776, 16 maggio 2006; Sez. IV n. 47959, 10 dicembre 2004; Sez. II n. 48234, 17 dicembre 2003) considerando questo ultimo mezzo come non contemplato dall’art. 583 cod. proc. pen., il quale prevede soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma.
Ciò posto, nella fattispecie in esame il mezzo utilizzato rientrava, sotto un profilo meramente formale, tra quelli ammessi dall’art. 583 cod. proc. pen. ma, si presentava, nella sostanza, privo di quelle garanzie di autenticità ed effettiva riferibilità all’impugnante inderogabilmente richieste, come nel caso, appena menzionato, del telegramma dettato telefonicamente.
Ed invero, la possibilità, consentita dal servizio di spedizione raccomandata “online”, di inviare un testo immediatamente redatto o allegare un file contenente un documento precedentemente predisposto non offre alcuna certezza in tal senso, potendosi inoltrare con tale mezzo qualsiasi documento formato utilizzando le molteplici possibilità che lo strumento informatico consente, dalla mera scansione di un documento originale da parte di chi materialmente ne dispone, formandone una copia digitale, alla creazione ex novo di un documento mediante unione di più file di testo o di immagine, fino alla apposizione, su un qualsiasi documento di testo, della immagine di una firma ottenuta mediante scansione di un originale.
L’unica garanzia offerta da questo sistema è data dalla necessaria registrazione al sito delle Poste Italiane per poter accedere al servizio, registrazione che richiede l’indicazione dei dati anagrafici e del codice fiscale, ma che consente di risalire soltanto al nominativo indicato per l’accesso al servizio, senza alcuna certezza che questo coincida con chi ha effettivamente provveduto alla spedizione (essendo sufficiente, una volta registrati, inserire il nome e la password assegnata) né, tanto meno, sulla provenienza ed originalità del documento.
10. Ritiene dunque il Collegio che i principi appena richiamati vadano confermati, conseguentemente affermando l’ulteriore principio secondo il quale, “la spedizione dell’impugnazione mediante raccomandata inviata con il mezzo telematico attraverso il servizio internet di posta raccomandata online, non consentendo la trasmissione dell’atto scritto in originale, in quanto si sostanzia nell’inoltro di un testo o un’immagine in formato digitale che le poste provvedono successivamente a stampare e recapitare al destinatario, deve ritenersi inidonea a soddisfare i requisiti di forma prescritti, a pena di inammissibilità, per la proposizione e la spedizione dell’atto d’impugnazione”.
Dunque l’atto di impugnazione pervenuto alla cancelleria del Tribunale non poteva ritenersi valido per le modalità con le quali era stato inoltrato e quelli successivamente prodotti in originale, come si è già detto, erano pervenuti dopo la scadenza del termine per proporre impugnazione.
11. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7 – 13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
Resta da aggiungere che il dubbio contenuto dell’attestazione rilasciata dalla cancelleria del tribunale con le modalità in precedenza descritte impone a questa Corte la trasmissione di copia della sentenza e di copia autentica del fascicolo processuale alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli per quanto eventualmente di competenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi copia della sentenza e copia autentica del fascicolo d’ufficio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli per le eventuali determinazioni di competenza.

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