iva

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria
sentenza 12 febbraio 2014, n. 3142

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente
Dott. MELONI Marina – Consigliere
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26828 – 2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’ (OMISSIS), che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA;
– intimato –
Nonche’ da:
(OMISSIS) SPA in persona dell’Amministratore Delegato pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta delega a margine;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 96/2009 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE, depositata il 22/09/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta alla memoria;
uditi per il controricorrente gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno chiesto l’inammissibilita’;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale che ha concluso per il rinvio in attesa decisione Sezioni Unite in subordine rigetto del ricorso principale assorbito ricorso incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di verifica generale svolta nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. veniva redatto il PVC notificato il 20.12.2005 con il quale si contestava alla societa’ la emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – aventi ad oggetto il trasferimento o la concessione di licenze per l’accesso a banche dati informatiche relative ad opere d’arte – nell’ambito di un complesso sistema frodatorio riconducibile allo schema delle frodi carosello che vedeva coinvolte numerose societa’.
L’avviso di rettifica notificato il 27.12.2005, avente ad oggetto il recupero della indebita detrazione IVA relativa all’anno 2000, veniva opposto dalla societa’ che risultava vittoriosa in entrambi i gradi di giudizio.
Con sentenza n. 22.9.2009 n. 96 la Commissione tributaria della regione Toscana:
a) rilevava che la Amministrazione non aveva osservato il termine dilatorio di gg. 60 per la emissione dell’atto impositivo, previsto dalla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 a tutela del diritto di difesa del contribuente, termine da ritenersi perentorio che, in difetto di alcuna valida motivazione sulle ragioni di urgenza, determinava la nullita’ dell’avviso di accertamento;
b) riteneva comunque sfornito di prova l’assunto dell’Ufficio finanziario non essendo stato dimostrato che la societa’ aveva partecipato alla organizzazione criminosa, ovvero era a conoscenza o avrebbe dovuto conoscere che le operazioni dalla stessa poste in essere o che le altre operazioni a monte ed valle realizzate nella catena di cessioni erano inserite in un meccanismo volto ad evadere la imposta, mentre, per contro, la contribuente aveva dimostrato di aver effettivamente ceduto le licenze alle societa’ svizzere acquirenti, a condizioni contrattuali ed economiche in linea con quelle praticate nel settore, e non presentava anomalie nella propria situazione economica – finanziaria.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo quattro mezzi.
Ha resistito la societa’ con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a due mezzi.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I primi tre motivi con i quali la Agenzia fiscale censura la sentenza di appello in ordine alla statuizione che ha dichiarato la nullita’ dell’avviso di accertamento per violazione del termine dilatorio di giorni 60 dalla consegna al contribuente del processo verbale di chiusura delle operazioni stabilito dalla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 per la notifica dell’avviso di accertamento, debbono essere esaminati congiuntamente per ragioni di oggettiva connessione.
2. La sentenza di appello dopo aver individuato il fondamento della norma tributaria nell’attuazione del principio di cooperazione e dopo aver ravvisato la “ratio legis” della stessa nel consentire al contribuente di comunicare, all’esito della verifica, osservazioni e richieste onde fornire all’Ufficio finanziario ulteriori informazioni e chiarimenti ai fini della corretta ponderazione della fondatezza e correttezza dei rilievi da effettuare nell’atto positivo, ovvero ai fini di sollecitare una composizione stragiudiziale della vertenza, “con l’obiettivo di un complessivo risparmio di tempo e risorse per gli uffici e per il contribuente”, ha riconosciuto natura perentoria al termine ivi indicato in considerazione della espressa derogabilita’ dello stesso esclusivamente in caso di “particolare e motivata urgenza”. Tanto premesso i Giudici di appello hanno ritenuto di non poter ravvisare il presupposto derogatorio del termine dilatorio nella imminente scadenza del termine di decadenza stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 57, comma 1 per la notifica dell’avviso di accertamento (e’ incontestato e risulta dalla sentenza e dagli delle parti che: le operazioni di verifica generale sono iniziate in data 1.6.2005 con riferimento all’anno d’imposta 2003 e successivamente sono state estese anche agli anni 2000 – 2002 e 2004; le operazioni sono state chiuse in data 20.12.2005 con la notifica del PVC alla societa’ contribuente; l’avviso di rettifica della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno 2000 e’ stato notificato il successivo 27.12.2005; il termine di decadenza – “entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui e’ stata presentata la dichiarazione” – , previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 57, comma 1 – nel testo vigente ratione temporis – , veniva a scadere il 31 dicembre 2005 e dunque in data anteriore al decorso del termine dilatorio dei 60 giorni), circostanza allegata dall’Ufficio finanziario fin dal primo grado di giudizio, affermando che non potevano ricadere sul contribuente le conseguenze della inerzia della Pubblica Amministrazione che, pur avendo a disposizione diversi anni, aveva effettuato la verifica in prossimita’ della scadenza del termine di decadenza per l’esercizio della potesta’ impositiva, tanto piu’ che la eventualita’ in questione era stata oggetto di specifica considerazione nella circolare n. 250400 del 17.8.2000 nella quale si raccomandava ai direttori che avevano disposto la verifica a concludere le operazioni in anticipo di quattro mesi sulla scadenza dei termini legali.
3. La Agenzia fiscale impugna tale statuizione per vizio di “error in judicando” ritenendo errata la interpretazione della norma tributaria resa dalla CTR e deducendo: – che la sanzione di nullita’ dell’avviso di accertamento per inosservanza del termine di cui alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 non era espressamente prevista da alcuna norma, diversamente dalla analoga ipotesi disciplinata dal Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 16 nell’ambito del procedimento di irrogazione delle sanzioni pecuniarie per violazioni tributarie, mentre relativamente all’avviso di accertamento o di rettifica in materia IVA, l’unica nullita’ comminata dalla legge era quella introdotta dal Decreto Legislativo 26 gennaio 2001, n. 32 – che aveva aggiunto il comma 5 al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 56 – concernente l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo limitatamente peraltro alla sola indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che avevano determinato la pretesa. Aggiunge la Agenzia ricorrente che la interpretazione della CTR non tiene conto che nell’ordinamento tributario si rinvengono numerose ipotesi in cui gli accertamenti vengono svolti senza previsione dell’obbligo di anticipazione alla fase amministrativa il contraddittorio con il contribuente (accertamenti parziali notificati sulla base di informazioni e segnalazioni di evasione d’imposta provenienti da verifiche condotte nei confronti di soggetti terzi) e che in ogni caso la violazione del termine dilatorio in questione non rientrerebbe tra le ipotesi di nullita’ dell’atto amministrativo previste dalla Legge n. 241 del 1990, articolo 21 septies.
– che non essendo classificabile la inosservanza del termine dilatorio come vizio di nullita’ dell’atto (secondo il paradigma di cui alla Legge n. 241 del 1990, articolo 21 septies), si versa al piu’ in un vizio di annullabilita’ per violazione di norma sul procedimento, la cui rilevanza, giusta la previsione della Legge n. 241 del 1990, articolo 21 octies, comma 2 rimane subordinata in presenza di atti vincolati – qual e’ l’accertamento tributario – alla verifica della lesione sostanziale dell’interesse che il termine dilatorio intende tutelare e che nel caso di specie non sussisteva e non era stata neppure allegata dalla societa’ che si era limitata a lamentare genericamente la negazione del “diritto di svolgere le proprie osservazioni e deduzioni difensive” senza specificare in concreto quale effettivo pregiudizio avesse subito dalla mancata osservanza del termine;
– che la valutazione di merito sulla insussistenza del presupposto della urgenza – quale condizione giustificativa della inosservanza del termine espressamente prevista dalla norma – compiuta dalla CTR non corrispondeva ed anzi eludeva l’esigenza primaria dell’ordinamento tributario che imponeva alla Amministrazione finanziaria di attuare attraverso l’azione impositiva il principio di capacita’ contributiva, rendendo indisponibili le pretese fiscali, con la conseguenza che l’imminente scadenza del termine di decadenza per l’esercizio della potesta’ di accertamento doveva qualificarsi come particolare ragione di urgenza “in re ipsa” che non necessitava di ulteriori motivazioni (come nelle ipotesi di adozione di misure cautelari, pericoli di perdita del credito erariale, potenziale pericolosita’ fiscale del contribuente).
4. La eccezione di inammissibilita’ dei primi tre motivi di ricorso in quanto inconferenti rispetto alla “ratio decidendi” sottesa alla pronuncia di appello, individuata dalla societa’ resistente nel difetto di formale espressa motivazione nell’atto impositivo del presupposto della urgenza, va respinta per le ragioni di seguito esposte nella trattazione dei motivi del ricorso principale.
5. I motivi debbono ritenersi infondati.
6. la Legge 27 luglio 2000, n. 212, articolo 12 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), rubricato Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, dispone, al comma 7, che: “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente puo’ comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non puo’ essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui al testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, articolo 34 si applicano le disposizioni del Decreto Legislativo 8 novembre 1990, n. 374, articolo 11” (l’ultimo periodo e’ stato introdotto dal Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 92 convertito in Legge n. 27 del 2012).
Il contrasto emerso dalle pronunce della quinta sezione di questa Corte in ordine all’effetto invalidante sull’avviso di accertamento o di rettifica prodotto dalla inosservanza della prescrizione legislativa (all’indirizzo giurisprudenziale che escludeva tale invalidita’, in assenza di specifica norma comminatoria della sanzione di nullita’ dell’atto impositivo emesso “ante tempus” si contrapponeva l’orientamento giurisprudenziale che, in difetto di specifica indicazione nell’atto delle ragioni di urgenza che non consentivano il rispetto del termine dilatorio, derivava tale nullita’ dalle norme tributarie – Legge n. 212 del 2000, articolo 7 come attuato in relazione alle singole leggi d’imposta dal Decreto Legislativo n. 32 del 2001 – che imponevano a pena di nullita’ l’obbligo di motivazione degli atti impositivi e piu’ in generale dal combinato disposto dalla Legge n. 241 del 1990, articolo 3 e 21 septies) ha trovato risoluzione nella recente sentenza resa a SS.UU. in data 29.7.2013 n. 18184 che ha puntualizzato come la norma tributaria in questione costituisca concreta attuazione dei principi di collaborazione e buona fede che vanno considerati diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialita’ dell’Amministrazione, di capacita’ contributiva e di ragionevolezza (articoli 97, 53 e 3 Cost.), derivando “ineludibilmente dal sistema ordinamentale comunitario e nazionale” la sanzione di invalidita’ – pur non espressamente prevista dalla norma – dell’atto tributario, in quanto emanato in difformita’ dal modello legale ed inficiato da vizio di legittimita’ “di particolare gravita’, in considerazione della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve”, funzione che deve essere individuata nella duplice esigenza di garanzia del contribuente (il quale deve essere posto in grado di partecipare al procedimento, formulando le proprie osservazioni e gli opportuni chiarimenti) e di efficienza dell’azione amministrativa (evitando alla PA di formulare, inutilmente, rilievi e pretese che attraverso la mera collaborazione del contribuente potrebbero risultare del tutto infondati).
Le SS.UU. hanno peraltro chiarito che il vizio di legittimita’ in questione sottende non una mera difformita’ dallo schema formale del procedimento, ma un vizio di natura sostanziale che rimane integrato, non in conseguenza della omessa “formale indicazione” nel provvedimento delle ragioni di urgenza che non consentono il rispetto del termine, ma a causa della “effettiva inesistenza” di tali ragioni derogatorie, considerate quindi come presupposto di fatto esterno al provvedimento impositivo (e dunque estraneo agli elementi essenziali al perfezionamento dell’atto e specificamente alla motivazione che deve fondare la pretesa fiscale), dovendo pertanto essere risolte le eventuali contestazioni in ordine alla sussistenza del presupposto della “particolare urgenza” sul piano dell’accertamento giudiziale, essendo in tal caso onerata la PA – che non abbia gia’ indicato nell’atto dette ragioni – , a fronte dello specifico motivo di ricorso del contribuente, della allegazione e dimostrazione della effettiva esistenza, al tempo della notifica dell’avviso di accertamento o rettifica, di specifici motivi di urgenza, in difetto della quale l’atto impositivo deve essere annullato in quanto affetto dal vizio di legittimita’ denunciato.
7. L’impostazione seguita nella sentenza della SS.UU. tiene espressamente conto degli specifici riferimenti tratti dalla giurisprudenza comunitaria secondo cui “il rispetto dei diritti di difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo” (cfr. Corte giustizia 18.12.2008, causa C – 349/07, Soprope’; id. 22.10.2013, causa C – 276/12, Sabou), ne segue che “i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione” (cfr. Corte di giustizia 24.10.1996, causa C – 32/95 P, Lisrestal; id. 21.9.2000, causa C – 462/98 P, Mediocurso; id. 12.12.2002, causa C – 395/00, Cipriani; id. Soprope’, cit.; id. Sabou, cit.). Opportunamente il Giudice di Lussemburgo ha precisato che “Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalita’. Trattandosi dell’attuazione del principio in parola e, piu’ in particolare, dei termini per esercitare i diritti della difesa, si deve precisare che, qualora non siano fissati dal diritto comunitario, come nella causa principale, essi rientrano nella sfera del diritto nazionale purche’, da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili, e, dall’altro, non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario” (cfr. Corte giustizia 18.12.2008, causa C – 349/07, Soprope’, punto 38; id. 10.9.2013, causa C – 383/13, G. e R.; id. 22.10.2013 causa C – 276/12, Sabou).
8. Se, pertanto, deve ritenersi infondata la censura mossa alla sentenza di appello dalla parte ricorrente, formulata in relazione all’elemento testuale della mancanza di una espressa sanzione legislativa della nullita’ dell’atto impositivo, in quanto la mancanza di una specifica previsione di invalidita’ dell’atto tributario emesso “ante tempus” non impedisce di pervenire in via interpretativa (utilizzando la categoria dogmatica delle nullita’ virtuali) ad individuare nell’ordinamento giuridico tributario – quale risultante del sistema plurimo delle fonti di produzione normativa – , in relazione alla indicata violazione, un vizio di invalidita’ dell’atto impositivo per contrasto con norma imperativa (Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7) volta a dare diretta attuazione ad un principio generale comunitario inderogabile (nonche’ ai principi costituzionali indicati negli articoli 3, 53 e 97 Cost.), osserva il Collegio che del pari infondato e’ l’argomento di censura del primo motivo di ricorso con il quale la Agenzia fiscale prospetta la contraddittorieta’ della sanzione di invalidita’ per violazione del termine dilatorio in relazione al potere attribuito agli Uffici finanziari di eseguire accertamenti “parziali” (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, comma 5; Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41 bis) ai quali non trova applicazione la norma tributaria in questione e che consentono invece la notifica dell’avviso senza previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente.
9. Al riguardo appare opportuno eliminare immediatamente ogni equivoco in ordine ad una generalizzata estensione del “contraddittorio c.d. preventivo” a qualsiasi fase del procedimento tributario. In proposito occorre richiamare gli argomenti esposti da questa Corte nel precedente Sez. 5, Sentenza n. 14026 del 03/08/2012, che appare opportuno trascrivere di seguito, e che hanno per specifico oggetto la partecipazione del soggetto contribuente alla fase istruttoria in senso stretto del procedimento di accertamento impositivo : “……l’assunto…..secondo cui dovrebbe ascriversi ai principi generali dell’ordinamento giuridico l’anticipazione del contraddittorio gia’ nella fase preliminare di acquisizione dei dati ed informazioni da sottoporre a verifica ai fini dell’eventuale attivazione del potere di accertamento tributario…………. non sembra, infatti, poter prescindere dalla differente posizione che il privato viene ad assumere rispetto alla PA nel processo giudiziario e nelle procedure di tipo giustiziale, da un lato, e nel procedimento amministrativo, dall’altro, e dalla diversa esigenza cui il contraddittorio assolve nel processo e nel procedimento amministrativo. Occorre, infatti, distinguere il principio del contraddittorio inteso come espressione del diritto di difesa nel processo – declinato nel duplice senso di contrapposizione argomentativa alle tesi sostenute dal parte avversa e di deduzione e partecipazione alla formazione della prova – , dall’intervento del privato nel procedimento amministrativo, inteso invece come facolta’ di introduzione di ulteriori elementi in fatto e diritto a completamento della fattispecie concreta sulla quale la e’ chiamata a provvedere in funzione dell’attuazione dell’interesse pubblico, e dunque come “collaborazione” del privato – nella fase istruttoria – diretta all’acquisizione di tutti gli elementi conoscitivi e valutativi indispensabili all’esercizio della potesta’ autoritativa.
Il principio del contraddittorio – che trova la sua massima applicazione nel giudizio – postula la equiordinazione delle parti contrapposte e la necessita’ di un soggetto terzo che garantisca la “parita’ delle armi” fin dalla fase preliminare della introduzione dei fatti rilevanti che costituiscono il caso controverso e, successivamente, anche nel corso della acquisizione e formazione delle prove di tali fatti.
L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, invece, si realizza nell’ambito dell’esercizio di poteri autoritativi, e si inserisce pertanto in un rapporto che non e’ paritetico ma di supremazia/soggezione, venendo a costituire pertanto uno dei vari segmenti di cui si compone la sequenza di atti che dalla fase della iniziativa (di ufficio o a istanza del privato) perviene, attraverso le diverse fasi del procedimento – istruttoria, costitutiva della decisione e quindi integrativa della efficacia – alla emanazione del provvedimento in quanto espressione della potesta’ autoritativa della PA.
Se dunque nel primo caso il contraddittorio e’ essenziale alla struttura del processo (il privato e la PA sono parti essenziali, collocate sullo stesso piano, del rapporto processuale), nel secondo costituisce una mera eventualita’, in quanto la partecipazione del privato alla formazione del provvedimento amministrativo (tanto se trattasi di soggetto destinatario dell’atto, quanto se trattasi di soggetto che dall’atto potrebbe subire comunque un pregiudizio) dipende esclusivamente dalla rilevanza riconosciuta a tale intervento dalle singole norme di legge che prevedono e disciplinano lo specifico procedimento amministrativo (cfr. Legge n. 241 del 1990, articolo 7, comma 1 secondo cui e’ la legge che determina quali soggetti “debbono” intervenire nel procedimento).
La portata generale della norma di cui alla Legge n. 241 del 1990, articolo 9 intitolata “Intervento nel procedimento” – che disciplina l’intervento “facoltativo” di qualunque soggetto “cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento” – non consente tuttavia di pervenire ad una soluzione unitaria per qualsiasi procedimento amministrativo, categoria nella quale deve ricondursi anche il procedimento di accertamento impositivo: indipendentemente dalla considerazione della non integrale assimilabilita’ del predetto tipo di intervento del privato al pieno esercizio del diritto al contraddittorio (tenuto conto dei limitati “diritti” concessi dalla medesima Legge n. 241 del 1990, articolo 10 al destinatario dell’atto ed agli interventori necessari o facoltativi) deve, infatti, rilevarsi come il procedimento impositivo, in relazione all’aspetto in considerazione, rimane sottratto alla disciplina generale del procedimento amministrativo dettata dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241 e succ. mod.: la espressa deroga disposta per i procedimenti tributari dalla Legge n. 241 del 1990, articolo 13, comma 2 (che esclude la applicazione alla materia tributaria in particolare delle norme – dall’articolo 7 all’articolo 10 – della medesima Legge n. 241 del 1990, concernenti la comunicazione di avvio del procedimento, l’intervento nel procedimento ed i diritti dei partecipanti al procedimento), impone quindi di verificare quale ambito sia riservato dalle norme tributarie alla attuazione del “principio del contraddittorio” (e dell’intervento collaborativo del contribuente) nel procedimento impositivo.
In proposito le norme tributarie distinguono in modo netto il procedimento di accertamento in senso stretto (che comporta accessi, ispezioni e verifiche fiscali “nei locali destinati all’esercizio di attivita’ commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali ed i cui risultati sono compendiati in un processo verbale delle operazioni compiute) dalla attivita’ che si esaurisce, invece, nel mero controllo della documentazione pervenuta agli uffici finanziari, essendo solo nel primo caso previste specifiche garanzie di difesa del contribuente (diritto ad essere informato delle ragioni della verifica; facolta’ di farsi assistere da professionista abilitato alla difesa avanti i Giudici tributali; formulazione di osservazioni e rilievi in corso di verifica; comunicazione di osservazioni e richieste successivamente al rilascio del verbale di chiusura delle operazioni) che possono essere esercitate nel corso della fase istruttoria del procedimento amministrativo, giustificate dalla complessita’ delle indagini e dal carattere particolarmente pervasivo dei poteri di indagine che vengono di fatto ad interferire con lo stesso svolgimento dell’attivita’ economica del contribuente (Legge 27 luglio 2000, n. 212, articolo 12; Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 1) e articolo 33; Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, n. 1) e articolo 52).
Tale esigenza non si pone invece in relazione alla attivita’ di controllo dei dati acquisiti attraverso “inviti e richieste” di trasmissione agli uffici finanziari di dati, documenti ed informazioni, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, nn. 3 – 8 ter) e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, nn. 3 – 7 bis) in ordine alla quale il Legislatore ha ritenuto prevalenti le esigenze di funzionalita’ degli uffici ed efficienza della azione amministrativa rispetto alla “anticipata” partecipazione del privato gia’ nella fase istruttoria della ricerca, individuazione ed acquisizione di dati ed informazioni che dovranno essere poi sottoposti a controllo ai fini dell’esercizio – peraltro solo eventuale – della potesta’ di accertamento (nell’ambito di questo tipo di procedimenti, costituisce unica eccezione la ipotesi in cui la PA si determini a disporre la comparizione personale, od a mezzo di rappresentante, del contribuente – Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 2; Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, n. 2, – per esibire documenti in suo possesso, fornire chiarimenti e giustificazioni anche a contestazione dei dati richiesti ovvero acquisiti dall’Ufficio mediante accesso diretto presso banche, societa’ di intermediazione finanziaria, assicurative, Poste italiane s.p.a.: in questi casi, infatti, e’ prevista una forma di partecipazione del privato contribuente alla attivita’ di ricerca e controllo, che si risolve in un contraddittorio anticipato rispetto all’inizio dello stesso procedimento di accertamento ed alla eventuale emissione dell’atto impositivo).
La differente soluzione adottata in relazione alla partecipazione di contribuente all’attivita’ procedimentale dell’Ufficio impositore non appare sindacabile sotto il profilo della irragioncvolezza atteso che, come rilevato dalla giurisprudenza costituzionale (con riferimento al processo), e’ rimessa al Legislatore la scelta delle modalita’ attraverso le quali dare attuazione al principio del contraddittorio – che costituisce espressione del piu’ ampio diritto difesa – purche’ ne sia assicurata la effettivita’ (cfr. Corte cost. sent. 16.12.1970 n. 190), con la conseguenza che rientra nella discrezionalita’ della legge prevedere (privilegiando ad esempio esigenze di speditezza dell’azione amministrativa) che il contraddittorio intervenga soltanto nella fase successiva a quella propriamente istruttoria, o venga differito alla fase contenziosa (cfr. Corte cost. sent. 6.7.1972 n. 125 – sulla legittimita’ costituzionale del differimento del contraddittorio con riferimento ai procedimenti monitori – ; Corte cost. ord. 10.4.2003 n. 119 dichiarativa della manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 33 e del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 63 sollevata, in riferimento all’articolo 24 della Costituzione in quanto tali norme “prevedendo soltanto che l’amministrazione finanziaria possa ricevere “documenti, dati o notizie” acquisiti nel corso di indagini penali, per podi a base della propria attivita’ di accertamento, non limitano la possibilita’ per il contribuente di contestare i risultati di quegli atti di indagine dinanzi al giudice tributario”).
Nella specie alcuna norma prevede la previa comunicazione al contribuente dello svolgimento delle attivita’ di acquisizione e controllo dei dati inerenti conti, rapporti ed operazioni bancarie, delle quali peraltro lo stesso contribuente ha tempestiva notizia dalla stessa banca con la quale intrattiene rapporti (giusta il disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 7) ultima parte che prevede che la richiesta di informazioni, dati e documenti sia trasmessa dall’Ufficio finanziario alla banca che ne da prontamente avviso al proprio cliente), mentre alcuna restrizione e’ imposta alla effettivita’ del contraddittorio nella fase successiva (proposta di accertamento con adesione), ovvero, successivamente alla emissione del provvedimento impositivo (attivazione delle misure di autotutela; competente sede giudiziaria).
Con esclusione, pertanto, del procedimento tributario che segue ad “accessi, ispezioni e verifiche presso i locali in cui il contribuente svolge la propria attivita’ economica, cui si riferisce la disposizione della Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7…, l’intervento del contribuente nel procedimento amministrativo tributario risulta espressamente previsto solo in alcune ipotesi particolari (nel caso, sopra indicato, di “invito del contribuente a comparire personalmente” per fornire le giustificazioni ed i chiarimenti – Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 2; Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, n. 2 – ; nella ipotesi in cui l’Ufficio finanziario intende procedere al recupero di imposta contestando “lo scopo elusivo” della operazione compiuta dal contribuente – Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37 bis, comma 4 – ; o ancora quando l’Ufficio procede “con metodo sintetico” alla determinazione dell’imponibile – Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38, comma 7 – ; o nel caso in cui ricorrano i presupposti per la “determinazione induttiva del reddito derivante dall’esercizio di attivita’ commerciali o di arti e professioni” sulla base del solo contributo diretto lavorativo – Decreto Legge n. 331 del 1993, articolo 62 ter, comma 2, conv. in Legge n. 427 del 1993 – , e piu’ in generale per la determinazione del reddito mediante applicazione degli “studi di settore” – Decreto Legge n. 331 del 1993, articoli 62 bis e 62 sexies come interpretati da Corte cass. SU 18.12.2009 n. 26635) che rispondono a peculiari esigenze dettate dalla complessita’ della verifica fiscale o dalla esigenza di ridurre il rischio di errori derivanti dal rilevante margine di incertezza dei dati disponibili per eseguire l’accertamento, o ancora dalla necessita’ – intrinseca al parametro di riferimento adottato – di verificare le ragioni dello scostamento reddituale indipendenza di eventi o condizioni non emergenti dalla documentazione acquisita, ed evidenziano la infondatezza della tesi del ricorrente secondo cui la anticipazione del ” contraddittorio” gia’ nella fase della ricerca, individuazione ed acquisizione dei dati, informazioni e documenti, costituirebbe un principio generalizzato nell’ordinamento, immanente a tutti i procedimenti svolti in ambito tributario.
Non depongono in contrario i richiami operati… alla giurisprudenza comunitaria ed al precedente di questa Corte n. 14105/2010. Se infatti nella giurisprudenza comunitaria e’ indiscussa l’affermazione della tutela ed effettivita’ delle garanzie di difesa – alle quali va ricondotto anche il principio del contraddittorio – , in quanto i diritti fondamentali desunti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalle indicazioni dei trattati internazionali cui gli Stati membri hanno aderito costituiscono “parte integrante dei principi giuridici generali dei quali la Corte garantisce la osservanza’” (Corte Giustizia UE 2 sez. 18.12.2009 in causa C – 349/07, paragr. 3), occorre considerare che, in tema di tributi armonizzati, la regola per cui i soggetti destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi
devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali la amministrazione intende fondare la sua decisione, esige che al contribuente sia assegnato un termine ragionevole per presentare le proprie osservazioni in modo da consentire alla PA di adottare la propria decisione tenendo conto anche degli elementi offerti dal contribuente.
Nella specie il procedimento di adesione svolto nel pieno contraddittorio del contribuente Legge n. 218 del 1997, ex articoli 5 e 6 realizza un efficace strumento di garanzia della effettivita’ del diritto di difesa, essendo a tal fine del tutto indifferente se tale contraddittorio si sia svolto anteriormente (articolo 5) o successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento (articolo 6), tenuto conto che in quest’ultimo caso sia il termine per la impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto impositivo, sia i termini per eseguire il pagamento della imposta, sia la stessa iscrizione a ruolo delle somme liquidate, sono “sospesi” per un periodo di giorno novanta proprio in funzione della attuazione del contraddittorio con il contribuente che bene puo’ fornire, pertanto, ulteriori dati ed informazioni volti a rideterminare correttamente la pretesa tributaria ovvero a sollecitare l’esercizio dei poteri di autotutela della PA – ove gli elementi forniti dimostrino la infondatezza della pretesa – per la revoca o l’annullamento d’ufficio dell’avviso di accertamento emesso…”.
10. Le conclusioni cui e’ pervenuto il richiamato precedente di questa Corte, in linea con la recente giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte giustizia 22.10.2013, causa C – 276/12, Sabou che, affermando la propria competenza giurisdizionale in relazione ad una controversia avente ad oggetto l’accertamento di imposte sui redditi – materia non armonizzata – in quanto veniva in questione la interpretazione della direttiva 77/799/CEE del 19.12.1977 relativa alla reciproca assistenza fra autorita’ degli Stati membri in materia di imposte dirette come modificata 2006/98/CE del 20.11.2006, ha chiarito che occorre distinguere nel procedimento di controllo fiscale tra “fase di indagine” e “fase contraddittoria”, traendo la conclusione, che “l’amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non e’ tenuta ad informarne il contribuente, ne’ a conoscere il suo punto di vista” – punto 41 – , con la conseguenza che “il rispetto dei diritti di difesa del contribuente non esige la partecipazione di quest’ultimo alla richiesta di informazioni inoltrata dallo Stato membro richiedente allo Stato membro richiesto. Esso non esige nemmeno che il contribuente sia sentito nel momento in cui le ricerche, che possono includere l’audizione di testimoni, sono effettuate nello Stato membro richiesto, ne’ prima che quest’ultimo trasmetta informazioni allo Stato membro richiedente” – punto 44 – ), consentono di risolvere la ipotizzata contraddittorieta’ della disciplina normativa degli accertamenti “parziali” fondando la soluzione sul duplice rilievo per cui, da un lato, le previsioni normative del diritto tributario nazionale, in materie armonizzate (qual e’ PIVA), che risultassero eventualmente in contrasto con disposizioni comunitarie, imporrebbero comunque alla Amministrazione finanziaria, prima, ed al Giudice tributario, poi, di operare il necessario adeguamento volto ad assicurare la piena efficacia del diritto dell’Unione, riportando anche la disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41 bis e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 52, comma 5 nell’alveo del principio comunitario del contraddittorio; dall’altro rilevando che anche per il procedimento che si conclude con la emissione dell’accertamento “parziale”, e che puo’ essere caratterizzato anche da una fase istruttoria minima in quanto esaurentesi nella segnalazione trasmessa all’Ufficio accertatore ovvero nella rilevazione di “dati in possesso dell’anagrafe tributaria”, dai quali risultino elementi che consentano di stabilire redditi o corrispettivi maggiori o non dichiarati, ovvero deduzioni o detrazioni in tutto od in parte non spettanti, la legge prevede che gli Uffici possano avvalersi delle procedure previste dal Decreto Legislativo 19 giugno 1997, n. 218, e la espressa indicazione, contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, comma 8 dell’obbligo di annullamento ex officio da parte della Amministrazione finanziaria degli avvisi parziali “se dalla documentazione prodotta dal contribuente risultino infondati in tutto od in parte”, costituiscono specifici elementi evidenziatori della volonta’ del Legislatore di dare attuazione al principio del contraddittorio ed al principio di efficienza dell’azione amministrativa tributaria, dovendo risolversi in tal modo – attraverso una interpretazione ed applicazione delle predette norme, conforme agli indicati principi – l’apparente contraddizione prospettata dalla Agenzia ricorrente in ordine ai diversi tipi di procedimento impositivo.
11. Infondata e’ anche la censura mossa dalla Agenzia fiscale sul presupposto della inidoneita’ invalidante del vizio attinente al procedimento, per inosservanza del termine Legge n. 212 del 2000, ex articolo 12, comma 7 ove ad esso non corrisponda una effettiva lesione dell’interesse sostanziale – diritto di difesa – del contribuente, ritenendo applicabile alla fattispecie, l’Agenzia ricorrente, la norma della Legge n. 241 del 1990, articolo 21 octies, comma 2, aggiunto dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15, articolo 14, che dispone: “Non e’ annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non e’ comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
12. L’assunto difensivo dell’Agenzia delle Entrate non e’ condivisibile nelle premesse e se accolto porterebbe inevitabilmente alla stessa negazione del contenuto precettivo della norma che stabilisce il termine dilatorio.
Quanto al primo aspetto, la equivalenza “atto tributario – atto vincolato” istituita dalla parte ricorrente si risolve in una formula generalizzante che riconduce nella categoria degli atti vincolati tutti gli atti amministrativi che non sono espressione di potesta’ discrezionale o di potere negoziale, senza tener conto che tanto sul piano dell’attivita’ privata della PA, quanto sul piano dell’attivita’ amministrativa in senso stretto possono darsi anche atti paritetici, atti di certazione, atti di accertamento che implicano esercizio della c.d. “discrezionalita’ tecnica”, e che, se possono essere vincolati nell'”an”, non necessariamente vengono emessi con contenuto dispositivo predeterminato ex lege, in quanto: a) possono presentare margini di valutazione tecnica nella rilevazione ed accertamento del fatto presupposto cui la legge ricollega la esigenza di provvedere; b) condizionano in modo variabile il loro contenuto dispositivo in relazione alle diverse caratteristiche e qualificazioni giuridiche del fatto presupposto come in concreto rilevato.
L’atto impositivo, se certamente non da luogo ad esercizio di discrezionalita’ amministrativa (volto a definire, nel caso concreto, l’interesse pubblico – cui e’ preordinata l’attribuzione del potere autoritativo – mediante ponderazione dello scopo eminentemente pubblico previsto dalla legge con gli altri molteplici interessi coinvolti dall’azione amministrativa e facenti capo a soggetti pubblici e privati), tuttavia non puo’ ritenersi vincolato nel “quid” (tale cioe’ che, se il potere viene esercitato, il contenuto dispositivo dell’atto e’ conoscibile ex ante, in quanto gia’ interamente predeterminato ex lege), salvo non banalizzare tale categoria dogmatica (i cui esatti limiti sono controversi in dottrina) riducendo l’elemento di vincolativita’ dell’atto, quanto all'”an”, al generale dovere dell’Amministrazione finanziaria di esercitare le proprie attribuzioni svolgendo i controlli, le verifiche, ispezioni accessi necessari all’accertamento dei tributi, e quanto al “quid”, agli effetti giuridici degli avvisi di accertamento e rettifica, quali strumenti idonei a costituire il credito erariale in presenza del presupposto impositivo: la pretesa tributaria formalizzata nell’avviso di accertamento o di rettifica, in quanto atto a contenuto “variabile” in relazione al diverso fatto economico presupposto, non pare quindi rispondere alla fenomenologia dell’atto a contenuto vincolato che “e’ configurabile allorche’ non soltanto la scelta dell’emanazione o meno dell’atto, ma anche il suo contenuto siano rigidamente predisposti da una norma o da altro provvedimento sovraordinato, sicche’ all’Amministrazione non residui alcuna facolta’ di scelta tra determinazioni diverse” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 5445 del 5/4/2012. La figura dell’atto vincolato, in diritto tributario, ricorre negli atti conseguenziali, meramente esecutivi, quali ad esempio la “cartella” e l'”avviso di mora”: cfr. Corte cass. 5 sez. 21.3.2012 n. 4516). Non ritiene il Collegio, pertanto, di condividere la asserita qualificazione dell’atto impositivo quale atto amministrativo vincolato, conclusione alla quale sembrano approdate anche le SS.UU. nella sentenza precedentemente richiamata (cfr. punto 3.4 della motivazione) laddove hanno ritenuto di escludere una necessaria corrispondenza (e dunque un vincolo di contenuto) tra l’attivita’ di indagine compendiata nel PVC e l’avviso di rettifica successivamente notificato.
13. Quanto poi alla asserita natura “meramente formale” del vizio che inficerebbe l’atto impositivo, da ritenersi “irrilevante” ove priva di incidenza sul suo contenuto dispositivo, vale osservare che tale qualificazione giuridica del vizio in questione e’ stata rifiutata dalle SS.UU. n. 18184/2013 che, in contrario, hanno posto in evidenza la particolare gravita’ della divergenza dal modello normativo procedimentale, attesa “la forza impediente” – del mancato rispetto del termine dilatorio – alla realizzazione dei principi comunitari e costituzionali del contraddittorio e della efficienza dell’azione amministrativa, con conseguente violazione di interessi aventi “natura sostanziale”, affermazione che trova eco nella precedente giurisprudenza di legittimita’ ed amministrativa (anche precedente alla Legge n. 15 del 2005) volta a distinguere all’interno della categoria dei vizi di forma e del procedimento, quelli costitutivi della validita’ (motivazione Legge n. 241 del 1990, ex articolo 3 inteso quale requisito formale essenziale – la cui estensione varia secondo le diverse esigenze richieste dalla natura dell’atto: per gli atti c.d. vincolati tale obbligo e’ ritenuto assolto quando vengono indicati quei presupposti di fatto o di diritto, richiesti dalla legge, la cui presenza o la cui mancanza giustificano l’adozione del provvedimento cfr. Consiglio di Stato, sez. 6, 30 settembre 1994, n. 1461; id., 14 ottobre 1999, n. 1369; id., 17 luglio 2001, n. 3965; id, 14 gennaio 2002, n. 167; id., sez. 4, 12 febbraio 2002, n. 3539; id. sez. 6 9.9.2003 n. 5044) o della stessa esistenza del provvedimento (requisito della forma scritta), da quelli che invece si traducono in una mera irregolarita’ (e quindi in vizi meramente marginali che non producono effetti invalidanti) in quanto non incidono sulla cura dell’interesse pubblico, ne’ sulle situazioni giuridiche direttamente riferibili al destinatario del provvedimento (difetti od omissioni attinenti al numero di protocollo od alla sottoscrizione, alla indicazione delle generalita’ o della qualifica del funzionario pubblico che ha emesso il provvedimento, od ancora alla forma di decreto del provvedimento, non rendono l’atto difforme dal modello legale ove comunque dal contesto risulti certa la provenienza e l’autore dell’atto: Corte cass. 1 sez. 24.9.1997 n. 9394; id. 5 sez. 5.8.2004 n. 15048; id. 1 sez. 22.11.2004 n. 21954; id. 1 sez. 31.5.2005 n. 11499; id. sez. lav. 10.6.2009 n. 13375; id. 5 sez. 23.2.2010 n. 4283; cfr. Cons. St. 5 sez. 15.12.1983 n. 745; id. 4 sez. 16.2.1998 n. 300; cfr. TAR Lazio – Roma, Sez. 2 – quater, sentenza 21 ottobre 2010, n. 32942; cfr. Corte cost. 21.4.2000 ord. n. 117 che, in relazione alla omessa sottoscrizione autografa della cartella di pagamento, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale sollevata in riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 25 per violazione degli articoli 3, 24, 25 e 97 Cost., rilevando che “costituisce infatti diritto vivente il principio secondo cui l’autografi’a della sottoscrizione e’ elemento essenziale dell’atto amministrativo nei solo casi previsti dalla legge ed e’ regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’autorita’ da cui l’atto proviene”), ed ancora da quelli che spiegano diretti riflessi sulle situazioni giuridiche del privato o del destinatario dell’atto, in ordine alle quali il discrimine tra effetto invalidante od irregolarita’ transita attraverso la possibilita’ o meno di recuperare a posteriori la funzione cui e’ preordinata la prescrizione formale o procedimentale violata, sicche’ se la mancata indicazione nel provvedimento del termine e della autorita’ alla quale proporre reclamo (prevista dalla Legge n. 241 del 1990, articolo 34, comma 4) non determina l’annullabilita’ dell’atto, “per raggiungimento dello scopo”, qualora il destinatario abbia impugnato tempestivamente il provvedimento, ovvero consentendo la “rimessione in termine” del soggetto interessato, che abbia proposto il ricorso oltre i termini di decadenza, ove lo stesso alleghi l’errore scusabile, determinato dall’omissione compiuta dall’Amministrazione pubblica (cfr. Corte cass. SU 18.5.2000 n. 362; id. 5 sez. 6.9.2006 n. 19189 – con riferimento al provvedimento irrogativo di sanzione in materia doganale – ; id. 5 sez. 27.9.2011 n. 19675; cfr. Consiglio di Stato 6 sez. 16.5.2006 n. 2763), a differente conclusione deve pervenirsi, invece, nei casi in cui la situazione giuridica del destinatario del provvedimento risulti irrimediabilmente compromessa, ipotesi che si verificano – per l’appunto – in seguito alla inosservanza di quelle prescrizioni normative volte a garantire la partecipazione endoprocedimentale del soggetto interessato dal provvedimento ovvero volte ad anticipare lo svolgimento del diritto di difesa, venendo in questione interessi che non possono evidentemente essere recuperati “ex post”, trovando limite e rimanendo preclusa la loro soddisfazione, con la emanazione del provvedimento finale.
Ipotesi di tale tipo si rinvengono, oltre che nel procedimento tributario, anche nella stessa legge generale sul procedimento amministrativo (Legge n. 241 del 1990, articolo 10 bis introdotto dalla Legge n. 15 del 2005, articolo 6 che nei procedimenti ad istanza di parte, prescrive l’obbligo all’autorita’ procedente “prima della formale adozione di un provvedimento negativo” di comunicare ai soggetti istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda, attribuendo a quelli il diritto di presentare entro il termine di dieci giorni “per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti”) essendo pervenuta la giurisprudenza amministrativa a conclusioni analoghe a quelle raggiunte nella richiamata sentenza delle SS.UU. n. 18184/20103 sulla rilevanza “sostanziale” della violazione della norma sul procedimento che assegna un termine dilatorio per la emanazione del provvedimento, essendo stato precisato che “la comunicazione del preavviso di rigetto di cui alla Legge n. 241 del 1990, articolo 10 bis ha un ruolo fondamentale nello svolgimento delle funzioni ampliative o conformative della posizione giuridica del privato, che non puo’ essere svilito a mero onere formale e, neppure, a quello di adempimento istruttorio. Esso, piuttosto, mira a dar luogo ad un contraddittorio predecisorio, fondato sulla motivazione della decisione in nuce dell’amministrazione, anticipando il meccanismo dialettico che ha luogo nel processo. A seguito di tale contraddittorio l’Amministrazione potrebbe anche mutare il proprio orientamento, accogliendo in tutto o in parte le osservazioni dell’interessato” (cfr. T.A.R. Puglia Bari – sez. 2, sentenza n. 2125 del 28 – 05 – 2006 che opportunamente chiarisce come la possibilita’ di invocare l’articolo 21 – octies al fine di degradare il vizio derivante dall’inosservanza della Legge n. 241 del 1990, articolo 10 – bis sussiste unicamente con riferimento alle funzioni vincolate; id. T.A.R. Piemonte Torino – sez. 1, sentenza n. 2191 del 24 – 05 – 2006; id. T.A.R. Cagliari (Sardegna) sez. 2 27 novembre 2013 n. 758; id. T.A.R. Catania (Sicilia) sez. 4 8 novembre 2013 n. 2695; id. Consiglio di Stato sez. 6 31 ottobre 2013 n. 5265 – che ribadisce la diversa rilevanza che assume la violazione del termine Legge n. 241 del 1990, ex articolo 10 bis in caso di provvedimenti discrezionali o vincolati, in quest’ultimo caso soltanto trovando applicazione al regola sulla emendabilita’ del vizio di cui alla Legge n. 241 del 1990, articolo 21 octies, comma 2 – ; contra TAR Campania Napoli – Sez. 4 – sentenza n. 651/2006 che estende la “emendabilita’” ex articolo 21 octies indifferentemente a qualsiasi ipotesi di mancato “preavviso di rigetto'”; cfr. T.A.R. Milano (Lombardia) sez. 2 18 settembre 2013 n. 2177 che qualifica espressamente il vizio come “illegittimita’ sostanziale”).
14. Il secondo motivo del ricorso principale deve, pertanto, essere disatteso sotto il duplice profilo della natura sostanziale degli interessi (garanzia del contraddittorio ed esercizio anticipato del diritto di difesa; esame preventivo del punto di vista del soggetto interessato, al fine di evitare inutile od errato svolgimento di attivita’ procedimentale) compromessi dalla violazione del termine dilatorio Legge n. 212 del 2000, ex articolo 12, comma 7 nonche’ della esclusione dell’attivita’ di accertamento impositivo dall’ambito applicativo della Legge n. 241 del 1990, articolo 21 octies, comma 2 non essendo sussumibile l’atto impositivo nella categoria degli atti amministrativi c.d. “vincolati” e dunque non essendo consentita la emendabilita’ del vizio in questione attraverso la “prova di resistenza” fondata sulla dimostrazione in concreto dell’effettivo pregiudizio subito dal soggetto destinatario dell’atto, o il che e’ a dire, sulla dimostrazione che il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe comunque potuto essere diverso.
15. Tali conclusioni introducono direttamente all’esame della decisiva questione, sollevata con il terzo motivo dalla Agenzia fiscale, secondo cui la “particolare e motivata urgenza” prevista dalla norma tributaria quale condizione derogatoria del termine dilatorio, dovrebbe ritenersi integrata tutte le volte in cui la chiusura delle operazioni di verifica fiscale avvenga nei sessanta giorni anteriori alla scadenza del termine di decadenza previsto per la notifica dell’avviso di accertamento o rettifica, essendo sufficiente a tal fine che l’Ufficio accertatore alleghi tale circostanza in giudizio, trattandosi di urgenza “in re ipsa”.
16. La tesi difensiva non puo’ essere condivisa.
Occorre premettere che, come ampiamente argomentato nella sentenza delle SS.UU. n. 18184/2013, “i casi di particolare e motivata urgenza” che legittimano la inosservanza del termine si configurano come elemento esterno al contenuto motivazionale dell’atto impositivo che rimane circoscritto “ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione” (Legge n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1; Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42; Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 56), con la conseguenza che la verifica della sussistenza del presupposto della urgenza viene a collocarsi sul piano esclusivamente contenzioso – probatorio – essendo in quanto tale oggetto di allegazione e deduzione probatoria delle parti processuali – , ed in tal senso, infatti, e’ stata oggetto di sindacato da parte dei Giudici territoriali che, dopo aver dato conto che nelle controdeduzioni alla eccezione della societa’ contribuente, svolte nel primo grado, l’Ufficio finanziario aveva allegato la giustificazione della urgenza nella imminente scadenza del termine di decadenza Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 57 hanno poi esaminato nel merito tale circostanza, ritenendola infondata nel merito: la riserva assunta al precedente paragrafo 4 della presenta motivazione, puo’ dunque essere risolta con il rigetto della eccezione pregiudiziale di inammissibilita’ del ricorso principale, in quanto – diversamente da quanto sostenuto dalla parte resistente – la CTR non ha affatto statuito la nullita’ dell’avviso di accertamento in relazione al vizio formale di motivazione dell’avviso di accertamento per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 56 ma in quanto difettava un presupposto di fatto riconducibile a quello considerato nel paradigma normativo della Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7.
17. Tanto premesso l’assunto della Agenzia fiscale va disatteso in quanto non tiene conto degli interessi sostanziali sottesi alla fissazione del termine dilatorio in questione.
Il Legislatore ha infatti voluto operare un bilanciamento tra l’interesse del contribuente a non vedere assoggettato il proprio patrimonio ad un pretesa fiscale che potrebbe rivelarsi infondata e l’interesse dell’Erario a non subire ritardi nella acquisizione delle proprie entrate tributarie, evitando mediante attuazione del principio di collaborazione tra privato ed PA, al primo gli oneri connessi allo svolgimento del giudizio da introdursi con la opposizione all’atto impositivo, ed alla seconda lo spreco di inutile attivita’ provvedimentali con conseguenze sulla inefficienza dell’apparato organizzativo (non potendosi, peraltro, ritenere neppure estraneo al Legislatore il perseguimento del collaterale scopo deflattivo dei processi).
Il termine dilatorio in questione, pertanto, e’ posto nell’interesse di entrambe le parti del rapporto tributario ed una modifica dello stesso – nei limiti in cui e’ consentita dalla legge – viene a trovare giustificazione in relazione al preminente interesse riconosciuto dalla legge ad una delle due parti: nella specie la norma considera derogabile il termine, operando un giudizio di prevalenza a favore dell’interesse pubblico, laddove si verifichino ragioni che non consentano alla PA di attendere i sessanta giorni entro i quali il contribuente ha diritto di presentare osservazioni, chiarimenti e documenti.
Tali ragioni derogatorie, in quanto pertinenti alla parte pubblica, debbono – secondo il criterio generale della distribuzione dell’onere della prova ex articolo 2697 c.c. – essere allegate e dimostrate – in quanto circostanze di fatto – dalla Amministrazione finanziaria, non essendo applicabile il principio processuale di generale rilevabilita’ “ex officio” delle eccezioni di merito non rimesse dalla legge in via esclusiva alla iniziativa della parte (articolo 112 c.p.c.), non venendo in questione nella specie la rilevabilita’ dei fatti costitutivi principali o secondari del diritto controverso, ma l’accertamento di un fatto presupposto invocato da una delle parti in causa per contraddire alla eccezione di invalidita’ del provvedimento impositivo.
18. Al riguardo e’ opportuno premettere che nel processo tributario, la cui struttura e’ caratterizzata da un meccanismo d’instaurazione imperniato sull’impugnazione di uno degli atti specificamente indicati dal Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 19 ed il cui oggetto e’ rigorosamente circoscritto al controllo di legittimita’ formale e sostanziale dell’atto impugnato, nei limiti delle contestazioni sollevate dal contribuente con i motivi dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado, l’indagine sul rapporto tributario e’ necessariamente limitata al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere dall’Amministrazione finanziaria con l’atto impositivo, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso enunciati (cfr. Corte cass. 5 sez. 29.9.2006 n. 20516; id. 5 sez. 11.5.2007 n. 10779). La giurisprudenza di legittimita’ e’ infatti assolutamente concorde nel ritenere che “il giudizio tributario, anche in base alla disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 18, comma 2, articolo 19 e articolo 24, comma 2, e’ caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimita’ della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo, in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti” (cfr. Corte cass. 5 sez. 18.6.2003 n. 9754; id. 5 sez. 2.4.2007 n. 8182; id. 5 sez. 3.8.2007 n. 17119; Corte cass. SU 23.12.2009 n. 27209).
Occorre altresi’ precisare che, nel caso di giudizio avente ad oggetto la opposizione avverso ad un atto che veicola una pretesa impositiva, il carattere impugnatorio del processo tributario e’ logicamente incompatibile con la proponibilita’ da parte dell’Ufficio finanziario di “eccezioni di merito, poiche’ le eccezioni in senso tecnico” costituiscono lo strumento processuale attraverso il quale si fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa – su cui il giudice non puo’ pronunciarsi in mancanza dell’allegazione ad opera di una delle parti – e nel processo tributario non possono che riguardare la pretesa fiscale avanzata dalla Amministrazione finanziaria, non essendo pertanto riconducibili a tale categoria processuale ne’ gli argomenti giuridici addotti dalla Amministrazione, resistente in primo grado, per contrastare i motivi del ricorso proposto dal contribuente, ne’ i motivi di gravame dalla medesima svolti, con i quali vengono censurate le statuizioni della sentenza di primo grado per “errores in judicando aut procedendo”, che non vanno, pertanto, incontro alla preclusione dei “nova” Decreto Legislativo n. 546 del 1992, ex articolo 345, comma 2 e articolo 57, comma 2 (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22010 del 13/10/2006, con riferimento alle eccezioni “nuove” in appello, da ritenersi come tali inammissibili).
Tanto premesso, nella vicenda processuale in esame, la Amministrazione finanziaria ha assunto la veste di parte attrice in senso sostanziale, con la conseguenza che – come in qualsiasi altro giudizio di tipo impugnatorio – le “eccezioni” proponibili dall’ente impositore possono essere esclusivamente di natura processuale – pregiudiziale, attinenti ai presupposti processuali od alle condizioni di ammissibilita’ dell’azione (inammissibilita’ o improcedibilita’ del ricorso; difetto di legittimazione processuale del ricorrente; difetto di legittimazione attiva del ricorrente o passiva – in relazione al soggetto che ha emesso l’atto impugnato – ; eccezione di giudicato interno od esterno; cessazione della materia del contendere), dovendo qualificarsi tutte le altre “controdeduzioni” di cui al Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 23, comma 3 come mere difese od argomenti difensivi (volti ad illustrare i fatti costitutivi della pretesa tributaria come individuati nella motivazione del provvedimento impositivo, ovvero a contestare la esistenza dei vizi di tale atto denunciata dal ricorrente con i motivi di ricorso: ne consegue che le difese, le argomentazioni e le prospettazioni svolte dalla Amministrazione e dirette a contestare la fondatezza di una “eccezione in senso stretto” dedotta dal contribuente con i motivi di opposizione formulati nel proprio ricorso – ad es. la eccezione di decadenza dall’esercizio della potesta’ impositiva, o la eccezione di prescrizione del diritto alla riscossione del credito tributario – non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso tecnico. Cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 5895 del 23/04/2002; Sez. 5, Sentenza n. 3338 del 11/02/2011) ovvero come mere deduzioni probatorie volte ad indicare i mezzi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, rimanendo impedito alla Amministrazione resistente (attrice in senso sostanziale) soltanto di poter immutare la allegazione dei fatti costitutivi della pretesa veicolata dall’atto impositivo, estendendo ad esempio l’oggetto del giudizio ad un diverso provvedimento (adottato nel corso del giudizio ad integrazione di quello impugnato in giudizio) non opposto dal contribuente (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 6620 del 19/03/2009), o comunque di poter modificare od ampliare l’oggetto del giudizio, deducendo ulteriori motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento (cfr. Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 25909 del 29/10/2008) o che gia’ appartengono al “thema controversum” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 30055 e n. 30057 del 23/12/2008, secondo cui la “questione della invalidita’ od inopponibilita’ alla PA” del negozio stipulato dal contribuente, che costituisce il presupposto dell’accertamento impositivo, deve intendersi gia’ acquisita al giudizio con la stessa impugnazione dell’avviso di accertamento).
19. Nella specie, mentre la violazione del termine stabilito dalla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 integra eccezione in senso stretto di invalidita’ del provvedimento impositivo ed e’ stata ritualmente introdotta dalla societa’ contribuente con i motivi di ricorso in primo grado e riproposta quindi in grado di appello, rimanendo esaurito con la dimostrazione della inottemperanza della PA al termine dilatorio previsto ex lege l’onere probatorio del ricorrente, il fatto addotto come urgenza, integra invece il fatto positivo contrario alla affermazione di invalidita’ dell’atto impositivo, ricadendo pertanto sull’Amministrazione finanziaria l’onere di allegazione e dimostrazione.
Orbene consistendo l’urgenza in un fatto impeditivo della osservanza del termine dilatorio e dunque un fatto impeditivo dell’adempimento di un obbligo di condotta che la legge pone a carico della parte pubblica del rapporto tributario, ne segue che, in applicazione del generale principio di responsabilita’ degli effetti delle condotte giuridicamente rilevanti, il fatto – urgenza allegato non deve essere stato determinato da condotte imputabili alla stessa Amministrazione finanziaria che lo invoca come “oggettiva impossibilita’” di adempimento dell’obbligo di osservanza del termine di legge.
Non e’ sufficiente, pertanto, ad assolvere all’onere che grava sulla Amministrazione finanziaria la mera allegazione dell’impedimento costituito dalla imminente scadenza del termine di decadenza per la notifica dell’atto impositivo, ma occorre altresi’ la prova che la circostanza in questione non sia stata determinata da fatto imputabile alla stessa PA, non essendo logicamente ipotizzabile una diversa interpretazione della norma tale da legittimare, in astratto, condotte elusive del termine dilatorio, volte a precostituire la ragione di urgenza mediante l’ingiustificato differimento dell’inizio o della chiusura delle operazioni di verifica fiscale.
La soluzione indicata, relativa al regime probatorio, appare peraltro conforme al criterio ormai saldamente condiviso nella giurisprudenza della Corte secondo cui il soggetto creditore di una prestazione (in tale situazione versa anche il contribuente nei confronti dell’obbligo della PA di astenersi fino alla scadenza del termine di cui alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 dalla emissione dell’atto impositivo) puo’ limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto e’ gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dalla non imputabilita’ dell’inadempimento ai sensi dell’articolo 1256 c.c. (giurisprudenza consolidata: Corte cass. Sez, U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001; id. Sez. 3, Sentenza n. 8615 del 12/04/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 15677 del 03/07/2009. Cfr. analogamente, in tema di interessi moratori e danno da ritardo nelle obbligazioni della Pubblica Amministrazione, grava su questa l’onere di dimostrare la non imputabilita’ del ritardo: Corte cass. Sez, 1, Sentenza n. 5212 del 04/03/2011) ed appare altresi’ rispettosa del principio – riconducibile all’articolo 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio – della riferibilita’ o vicinanza O disponibilita’ dei mezzi di prova, con la conseguenza che, essendo noto soltanto all’Amministrazione finanziaria, e non anche al contribuente, se la causa ostativa al rispetto del termine dilatorio sia da ritenere estranea ad incuria, negligenza od inefficienze organizzative degli Uffici, incombe sulla PA il relativo onere della prova negativa della colpa (cfr. sulla applicazione del “principio di vicinanza della prova” quale regola distributiva del relativo onere: Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 20484 del 25/07/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 9099 del 06/06/2012; id. Sez. 1, Sentenza n. 5025 del 28/02/2013; id. Sez – 2, Sentenza n. 19146 del 09/08/2013), essendo questa tenuta, qualora come nella specie alleghi la imminente scadenza del termine di decadenza per l’esercizio della potesta’ impositiva, a specificare le ragioni per le quali non e’ stato possibile iniziare tempestivamente la verifica fiscale, ovvero le ragioni sopravvenute (quali, in via meramente esemplificativa, la scoperta o conoscenza di nuovi fatti emersi nel corso di indagini fiscali o di procedimenti penali svolti nei confronti di soggetti terzi; od ancora ad eventi eccezionali che hanno inciso sull’assetto organizzativo o sulla regolare programmazione dell’attivita’ degli uffici; od ancora condotte dolose o comunque pretestuose o volutamente dilatorie poste in atto dallo stesso contribuente sottoposto a verifica e volte ad ostacolare o ritardare la conclusione delle operazioni) che hanno impedito un tempestivo ed ordinato svolgimento delle attivita’ di controllo entro il sessantesimo giorno antecedente la chiusura delle operazioni.
Infondato e’ l’assunto difensivo della Agenzia ricorrente secondo cui in tal modo si verrebbe illegittimamente a comprimere un termine (quello stabilito a pena di decadenza Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 57) che e’ assegnato ex lege alla Amministrazione finanziaria: e’ appena il caso di osservare in proposito che il termine fissato per l’esercizio della potesta’ di accertamento dei tributi non esclude che tale accertamento debba, comunque, essere compiuto secondo le forme, le modalita’ ed i tempi prescritti dalle norme di legge che disciplinano il relativo procedimento amministrativo, tra cui l’osservanza anche del termine dilatorio per la emissione dell’avviso di accertamento o rettifica, con la conseguenza che il coordinamento tra le disposizioni – ed i termini – del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 57 e della Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 deve necessariamente attuarsi prevedendo che nel caso di attivita’ di indagine assoggettate alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12 (accessi, ispezioni, verifiche fiscali “nei locali destinati all’esercizio di attivita’ commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”) il verbale di chiusura delle operazioni deve in ogni caso – e salvo i casi di comprovata impossibilita’ oggettiva non imputabile alla PA – essere redatto e consegnato alla parte contribuente non oltre il sessantunesimo giorno precedente la scadenza del termine di decadenza Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 57.
20. La controversia puo’ dunque essere risolta alla stregua del seguente principio di diritto:
“Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria proceda ad accessi, ispezioni, verifiche fiscali “nei locali destinati all’esercizio di attivita’ commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”, ai sensi della Legge 27 luglio 2000, n. 212, articolo 12, comma 1 il verbale di chiusura delle operazioni deve in ogni caso – e salvo i casi di comprovata impossibilita’ oggettiva non imputabile alla PA – essere redatto e consegnato alla parte contribuente non oltre il sessantunesimo giorno precedente la scadenza del termine di decadenza per l’esercizio della potesta’ impositiva, nella specie stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 12 essendo tenuta l’Amministrazione finanziaria, a pena di nullita’ dell’avviso di accertamento o di rettifica, all’osservanza del termine dilatorio (di giorni sessanta decorrenti dalla consegna del verbale di chiusura delle operazioni) prescritto dalla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 per la emissione dell’atto impositivo.
Qualora, per contrastare la eccezione di nullita’ dell’avviso per violazione del termine di cui alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 formulata con i motivi di ricorso da contribuente, la Amministrazione finanziaria alleghi, quale fatto di “particolare e motivata urgenza”, di non aver potuto rispettare il termine dilatorio indicato, essendosi chiuse le operazioni di verifica in data successiva al sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento della imposta, l’oggetto della prova va individuato nella oggettiva impossibilita’ di adempimento all’obbligo ex lege e dunque grava sull’Amministrazione finanziaria, in conformita’ al principio di vicinanza del fatto da provare, l’onere di dimostrare che la imminente scadenza del termine di decadenza, che non ha consentito di adempiere all’obbligo di legge, sia dipesa da fatti o condotte ad essa non imputabili a titolo di incuria, negligenza od inefficienza”.
21. Non essendo stata dalla Agenzia delle Entrate fornita la prova e neppure allegate le ragioni per le quali le operazioni di verifica condotte in loco non hanno potuto concludersi, avuto riguardo al termine di decadenza Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 57 in tempo utile a consentire il rispetto del termine dilatorio previsto dalla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 deve ritenersi conforme a diritto la statuizione della sentenza di appello che non ha ravvisato il presupposto della particolare urgenza, derogatorio del termine di legge, nella mera indicazione della imminente scadenza del termine di decadenza dall’esercizio della potesta’ impositiva.
22. Trattandosi di “ratio decidendi” idonea a sostenere autonomamente la decisione, consegue la dichiarazione di inammissibilita’ del quarto motivo di ricorso principale (con il quale si censura la sentenza della CTR per vizio di insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e l’assorbimento dei motivi del ricorso incidentale condizionato.
23. In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato (infondati i primi tre motivi; inammissibile il quarto), dovendo dichiararsi assorbiti i motivi del ricorso incidentale condizionato.
La recente stabilizzazione, ad opera delle SS.UU. di questa Corte, delle difformi applicazioni giurisprudenziali della norma di cui alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7 sopravvenuta nel corso del presente giudizio, legittima la integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso principale e dichiara assorbiti i motivi del ricorso incidentale condizionato;
– dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *