La somministrazione non sotto diretto controllo medico di sostanza medicamentosa con il malcelato fine di lenire il dolore ma in realtà con il proposito di consentire ad un cavallo afflitto da patologie muscolari di partecipare ugualmente ad una gara alla quale in presenza di dolore non avrebbe potuto partecipare integra una ipotesi di maltrattamento perché non garantisce il benessere dell’animale; né una apparente e temporanea situazione di benessere vale ad escludere la configurabilità del reato in quanto il concetto di benessere evoca il concetto di qualità della vita del singolo animale come da esso percepita e presuppone che l’animale goda buona salute. In altri termini, il benessere animale nel suo complesso, oltre a ricomprendere la salute e il benessere fisico, esige che l’animale in quanto essere senziente goda di un benessere psicologico e sia in grado di poter esprimere i suoi comportamenti naturali. Ne consegue che la somministrazione ad opera dell’uomo di farmaci senza specifiche necessità terapeutiche non può rientrare nel concetto di garanzia del benessere animale anche perché in realtà tale azione intende perseguire ben altra finalità. Senza dire che la somministrazione di farmaci antidolorifici al cavallo in vista della sua partecipazione ad una gara espone comunque l’animale, proprio perché non clinicamente guarito ed in buona salute ab origine a situazioni di stress (assolutamente comuni nelle competizioni sportive) e rischi ulteriori che possano pregiudicarne in modo ancor più significativo il suo stato psico-fisico.
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 3 febbraio 2017, n. 5235
Ritenuto in fatto
1.1 Con sentenza del 29 gennaio 2015 la Corte di Appello di Palermo in parziale riforma della sentenza emessa in data 13 marzo 2013 dal Tribunale in composizione monocratica di quella città nei confronti di C.A. e L.V.B. , imputati dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 1 comma 1 della L. 401/89; 348 cod. pen. e 110 e 544 ter stesso codice (reati tutti commessi in (…) fino al (omissis) ) e condannati a tale titolo alle pene ritenute di giustizia, assolveva la predetta C.A. da tutti i reati contestatile per non avere commesso il fatto, confermando nel resto la sentenza impugnata.
1.2 Avverso la detta sentenza ricorre l’imputato L.V.B. a mezzo del proprio difensore di fiducia affidando il ricorso ai seguenti tre motivi che in questa sede si espongono, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Con il primo motivo la difesa, dopo aver riepilogato i tratti salienti della vicenda con specifico riferimento agli esiti degli accertamenti compiuti nel corso della competizione sportiva (omissis) a carico del cavallo (omissis) risultato positivo alle analisi antidoping svolte dall’UNIRE in occasione della gara premesso, lamenta l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità e inutilizzabilità inammissibilità o decadenza in relazione agli artt. 220, 221 e 223 disp. Att. Cod. proc. pen., 109, 124, 143 comma 2, 192, 207, 202 e 234 cod. proc. pen. Si duole in particolare il ricorrente dell’erronea acquisizione al fascicolo del dibattimento degli atti di indagine (ancorché irripetibili) in violazione delle norme processuali suddette anche perché atti non in originale né in copia autentica ed ancora perché in parte redatti in lingua straniera (francese in relazione alle indagini di revisione espletate in Francia) senza che si fosse provveduto alla traduzione in lingua italiana in spregio all’art. 143 del codice di rito. A giudizio del difensore sarebbe stato inoltre violato il disposto di cui all’art. 220 Disp. Att. Cod. proc. pen. in quanto, attesa la natura amministrativa dei verbali di prelievo dei campioni biologici redatti nell’ambito del parallelo procedimento disciplinare sportivo tali atti non avrebbero potuto essere utilizzati nel processo penale in quanto redatti dopo l’insorgere di indizi di reità, sicché avrebbero dovuto trovare applicazione le norme codicistiche, nella specie non osservate. Con un secondo motivo la difesa lamenta vizio di motivazione per contraddittorietà e/o manifesta illogicità sia in riferimento alla conferma della penale responsabilità del L.V. , sia in relazione alla mancata risposta fornita dalla Corte territoriale alle specifiche censure difensive con particolare riguardo ai contenuti delle testimonianze assunte a discolpa. Con il terzo motivo la difesa lamenta inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen.; 1 della L. 401/89; 348 cod. pen. e 544 ter stesso codice. In particolare con riguardo alla contestazione di cui al capo A) rileva la difesa che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che il farmaco somministrato al cavallo (Diclofenac) fosse una sostanza dopante. Con riferimento al capo B) rileva la difesa che la somministrazione di tale sostanza non dovesse essere subordinata ad alcuna prescrizione medica e/o certificazione medico-veterinaria con conseguente inconfigurabilità del reato di cui all’art. 348 cod. pen. Ed infine, con riferimento alla imputazione di cui al capo C) erroneamente la Corte distrettuale ha ritenuto integrato il delitto di maltrattamenti in quanto il farmaco somministrato contribuiva in realtà al benessere dell’animale avendo effetti lenitivi del dolore e del processo infiammatorio affliggente l’animale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è fondato e va, pertanto, rigettato. Per un corretto inquadramento della vicenda processuale va ricordato in punto di fatto – così come può evincersi dalla sentenza di primo grado cui quella impugnata si richiama – che nel corso di accertamenti compiuti dagli organi ispettivi antidoping dell’UNIRE in occasione della competizione sportiva (omissis) svoltasi presso l’ippodromo (omissis) , il cavallo denominato (omissis) della scuderia (omissis) sottoposto a prelievo veniva riscontrato positivo alle analisi in riferimento al farmaco Diclofenac. Anche le seconde analisi eseguite presso un laboratorio sito in Francia previo avviso alle parti frattanto identificate nel proprietario del cavallo e nell’allenatore, odierno imputato, sortivano lo stesso risultato. Da qui l’inizio dell’azione penale sfociata poi nella sentenza di condanna impugnata, confermata dalla Corte di Appello di Palermo.
2. Così riepilogata la vicenda processuale, la prima questione sottoposta all’esame del Collegio concerne il vizio di inosservanza della legge processuale penale sotto molteplici profili. Rileva il difensore che all’atto del primo prelievo effettuato da parte di personale dell’UNIRE nell’ambito, quindi, di una attività amministrativa, erano emersi indizi di reità quanto meno con riferimento all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 1 comma 1 della L. 401/89, con la conseguenza che l’utilizzazione processuale delle prime analisi (così come delle seconde) non avrebbe potuto essere consentita per effetto del disposto di cui all’art. 220 Disp. Att. cod. proc. pen. dovendo trovare applicazione tutte le formalità procedurali previste dalla detta norma, nella specie non osservate. Ancora, lamenta la difesa che tutti i documenti prodotti dal Pubblico Ministero per provare la sussistenza del reato de quo erano in copia e non in originale o quanto meno in copia autentica. Ed infine, con riguardo alle seconde analisi, a parte l’inosservanza procedurale in relazione agli avvisi alle parti emessi nell’ambito dell’attività amministrativa e poi utilizzati nel processo penale instauratosi parallelamente a quello disciplinare-sportivo, in ogni caso si trattava di documenti redatti in lingua francese che non erano stati tradotti in italiano e che tuttavia erano stati acquisiti al processo in violazione dell’art. 143 cod. proc. pen..
3. A giudizio del Collegio nessuna delle censure sollevate nei termini dianzi riferiti appare fondata. Va precisato che, versandosi in tema di error in procedendo, la Corte è autorizzata a consultare gli atti processuali. Ciò posto, è innegabile che l’attività ispettiva effettuata su iniziativa dell’U.N.I.R.E. (Unione Italiana Incremento Razze Equine) debba essere qualificata come attività amministrativa: ciò deriva dalla natura pubblica dell’Ente oggi soppresso e sostituito dall’A.S.S.I., ma all’epoca dei fatti ancora vigente. Istituito con R.D. del 24 maggio 1932, n. 624, l’UNIRE, ai sensi dell’articolo 1 dello Statuto, “ha lo scopo di promuovere, secondo le direttive del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, l’incremento e il miglioramento delle razze equine, con riferimento a qualsiasi impiego e utilizzazione”. La legge 20 marzo 1975, n. 70, ha riconosciuto all’UNIRE la natura di ente pubblico, inserendolo tra quelli preposti ad attività sportive, turistiche e del tempo libero.
3.1 Scorrendo il testo dello statuto del (soppresso) Ente pubblico, si rinvengono precise disposizioni disciplinanti, specificamente, la materia antidoping. In particolare l’art. 1 par. 6) prevede che l’UNIRE persegua l’utilizzazione di trattamenti dopanti applicati sia all’uomo che al cavallo; ancora, l’art. 2 comma 1 par. t) prevede che l’UNIRE concorre alla tutela dell’incolumità e del benessere dei cavalli sottoposti a trattamenti dopanti. Ed è sempre l’art. 2 che in altre più specifiche disposizioni (lett. i) con riguardo alle incombenze di carattere tecnico e disciplinare e alla emanazione delle normative di riferimento ed al controllo della regolarità di tutte le attività attinenti alle corse); (lett. q) con riferimento alle attività di ricerca scientifica nel settore dell’allevamento, dell’allenamento e dell’antidoping), riafferma le finalità preventive e repressive dell’UNIRE volte a prevenire e sanzionare le condotte di doping.
3.2 A completamento di quanto previsto dallo Statuto è intervenuto il Regolamento per il controllo delle sostanze proibite adottato con delibera del Commissario n. 332 del 6 agosto 2002 ed entrato in vigore con il D.M. 16 ottobre 2002 n. 797 (oggi sostituito da altro Regolamento A.S.S.I. successore ex lege del soppresso U.N.I.R.E ai sensi della L. 15.7.2011 n. 111, ma non applicabile nella specie ratione temporis in relazione all’epoca del commesso reato), con il quale, oltre a vietare in via generale e con riferimento a competizioni agonistiche l’impiego di sostanze rientranti nelle liste delle cd. “sostanze proibite” di cui all’allegato 1, salvo che non siano prescritte dal medico veterinario (art. 2), vengono partitamente disciplinate le procedure relative al prelievo dei campioni ed alle comunicazioni (artt. 7-10) ed, infine, i provvedimenti disciplinari in esito alle analisi e gli obblighi di collaborazione (artt. 11-12).
3.3 Tale complesso di norme, integrato dagli allegati 1) e 2) afferenti agli elenchi delle sostanze vietate e di quelle consentite dalla natura delle sostanze, consente quindi di qualificare – in considerazione della natura giuridica di ente pubblico conferita all’UNIRE come amministrativa l’attività ispettiva e di controllo esteso alle analisi espletate attraverso gli organi di cui il detto Ente si avvale per l’assolvimento delle proprie finalità istituzionali.
4. Ciò doverosamente premesso, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di occuparsi ex professo degli aspetti concernenti la procedura da applicare nel caso di prelievi compiuti in occasione di attività ispettive e/o di vigilanza da parte di determinate autorità e le conseguenze in ambito processual-penalistico nascenti dall’osservanza – o meno – di dette procedure. Soccorrono, al riguardo, gli artt. 220 e 223 delle Disp. Att. cod. proc. pen.: in particolare l’art. 220 recita che “Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”. A sua volta il successivo art. 223 disciplina la materia delle analisi dei campioni e delle garanzie per l’interessato prevedendo nei primi due commi la procedura da seguire nel caso di espletamento di analisi compiute nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da specifiche leggi o decreti per le quali non sia prevista la revisione e di quelle per le quali sia invece prevista la revisione e, nel terzo comma, l’acquisizione nel fascicolo per il dibattimento dei verbali di analisi non ripetibili e dei verbali di revisione fermo restando l’obbligo di osservanza delle procedure previste nei due commi precedenti.
4.1 Tanto precisato, è evidente che nella ipotesi – come quella in esame – in cui le analisi siano state effettuate nell’ambito di determinate attività ispettive previste da leggi o decreti (nel caso in esame dal D.M. 797 del 16.10.2002) debba trovare applicazione il disposto di cui all’art. 223 Disp. Att. cod. proc. pen. coordinato eventualmente con il precedente art. 220 che regola, invece, l’ipotesi di insorgenza – sempre nel corso di attività ispettive – di indizi di reato che obbligano all’applicazione delle norme codicistiche in tema di garanzie, non potendosi quell’attività amministrativa, in quest’ultimo caso, qualificare come norma extraprocessuale (così Sez. 3^ 14.5.2002 n. 23369, P.M. in proc. Scarpa, Rv. 221627 secondo cui, nell’ambito di attività di prelievo di campioni finalizzato alle successive analisi chimiche – con riguardo alla tutela delle acque dall’inquinamento – è necessario distinguere tra una attività di prelevamento nell’ambito di una attività amministrativa, che impone l’osservanza delle garanzie difensive solo laddove gli indizi di reato emergano nel corso dell’attività amministrativa che, a quel punto, non può più definirsi extra processum, e un’attività di prelevamento eseguito nell’ambito di un’indagine preliminare, anche se precedente all’acquisizione della notitia criminis, disciplinato in modo specifico dall’art. 220 norme att. cod. proc. pen. p.p.. sicché le norme a presidio delle garanzie difensive previste dal codice di rito operano in via genetica; v. anche più di recente Sez. 3″ 12.1.2014 n. 10484, Grue, Rv. 262698; in termini sostanzialmente analoghi; Sez. 3^ 10.2.2010 n. 15372, Fiorillo, Rv. 246597).
4.2 Nel caso in esame, come emerge dal testo della sentenza impugnata, tutta l’attività di prelievo dei campioni si è svolta nel solco di accertamenti di natura squisitamente amministrativa senza che, nel corso di essi, fosse stato possibile concretamente ipotizzare l’insorgenza di indizi di reità a carico del ricorrente, identificato, infatti, solo successivamente, sicché le censure sollevate con riguardo alla mancata adozione delle condizioni per poter presenziare ai prelievi non appaiono fondate. È di contro pacifico che sono state seguite tutte le procedure dirette ad assicurare i diritti difensivi con riferimento agli avvisi dati per l’esecuzione delle analisi dei campioni prelevati, ai sensi dell’art. 223 disp. att. c.p.p. le cui disposizioni sono state quindi puntualmente osservate. Risulta poi del tutto pacifico che il L.V. , al pari della C. (proprietaria del cavallo, successivamente assolta) venne tempestivamente e ritualmente informato, nel pieno rispetto del comma 2 dell’art. 223 Disp. Att. cod. proc. pen. della data e del luogo in cui si sarebbero dovute svolgere le seconde analisi mediante lettera raccomandata redatta in lingua italiana, del 4 maggio 2010, inviata dall’Ufficio Antidoping dell’UNIRE che preannunciava quale giorno delle operazioni di revisione delle analisi il 25 maggio 2010 alle ore 8,30. Nessuna delle parti convocate, però, ebbe a presentarsi nel giorno convenuto (vds. documento indicato ai fg. 33-34 della produzione documentale del P.M. all’udienza del 23 novembre 2011).
5. Ma anche a voler ipotizzare come prospettato dalla difesa una inosservanza del disposto di cui all’art. 220 cod. proc. pen. in relazione a possibili compromissioni dei diritti della difesa, siffatta censura non coglie nel segno.
5.1 L’orientamento espresso al riguardo dalla giurisprudenza di questa Corte non è uniforme, in quanto in alcune pronunce, peraltro appartenenti ad un indirizzo minoritario (v. Sez. 3^ 1.4.1998 n. 7820, Molayem M., Rv. 211225; idem 18.11.2008 n. 6881, Ceragioli e altri, Rv. 242523; idem 10.2.2010 n. 15372 cit.), si è affermata quale conseguenza della inosservanza di tali disposizioni (art. 223 Disp. Att. cod. proc. pen.) la inutilizzabilità degli atti ai fini probatori.
5.2 Con altro orientamento decisamente più diffuso questa Corte Suprema ha ritenuto che in evenienze siffatte debba parlarsi di nullità di ordine generale disciplinata dall’art. 178 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., assoggettata, come è noto, alla particolare osservanza dell’art. 180 stesso codice (v. Sez. F. 27.7.2010 n. 38393, Persico, Rv. 248911; Sez. 6^ 6.10.2010 n. 36695, Drago, Rv. 248527; ma vedi anche Sez.3^ 28.6.2006 n. 37400, P.G. in proc. Bigi, Rv. 235140; idem 9.7.2002 n. 38857, Greco, Rv. 222790 con specifico riferimento alle conseguenze sul piano processuale nascenti dal mancato rispetto delle formalità concernenti la partecipazione al procedimento di analisi dei campioni previste dall’art. 223 Disp. Att. cod. proc. pen.).
5.3 Quest’ultima soluzione, che il Collegio reputa di dover condividere posto che, una volta collocata l’omessa osservanza delle garanzie difensive nell’ambito della violazione dell’art. 178 lett. c) cod. proc. pen. non può che parlarsi di nullità e non di inutilizzabilità, conduce alla inevitabile conclusione che, trattandosi di nullità di ordine generale e non assoluta, essa, ove non ritualmente dedotta, non può essere più rilevata o proposta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado. (Sez. 3^ n. 37400/06 cit.). Deve pertanto considerarsi tardiva l’eccezione di lesione del diritto di difesa per omesso avviso, sollevata per la prima volta dall’imputato nell’atto di appello.
5.4 Né può dirsi che l’eccezione sia stata ritualmente formulata sulla base della mera dichiarazione della opposizione alla acquisizione della documentazione relativa ai prelievi ed alle analisi formulata dalla difesa del L.V. all’udienza del 23 novembre 2011, in quanto la semplice manifestazione di volontà della parte di opporsi, senza altre aggiunte, alla produzione di atti da acquisire al fascicolo del dibattimento non equivale ad una eccezione di nullità che di atti da acquisire al fascicolo del dibattimento non equivale ad una eccezione di nullità che deve invece specificamente indicare le ragioni per le quali un determinato atto sia affetto da vizi che inficiano la validità e specificarne la natura.
6. Quanto, poi, al rilievo difensivo formulato in seno al primo motivo ed afferente alla erronea acquisizione della documentazione riguardante i prelievi e le analisi perché non in originale o in copia autentica, si tratta di censura manifestamente infondata in quanto, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non essendo stato accolto nel nostro sistema processuale il principio di tassatività della prova, è consentita al giudice, ai sensi dell’art. 189 cod. proc. pen., l’assunzione di prove non disciplinate dalla legge a condizione che ne venga verificata l’ammissibilità e l’affidabilità idonea ad assicurare l’accertamento di un fatto e in difetto di specifiche censure inerenti alla genuinità del documento ovvero alla presenza di difetti tecnici che possano inficiarne l’attendibilità (tra le tante Sez. 3^ 7.12.2006 n. 5747, Romano, Rv. 236175; Sez. 2^ 22.5.2007 n. 22184, Rigo, Rv. 237017 con esplicito richiamo all’art. 234 cod. proc. pen. ed all’art. 1 della Legge delega sul nuovo processo penale; idem 21.1.2014 n. 52017, Lin Haihang, Rv. 237017). In ogni caso la mera opposizione alla acquisizione, proprio perché non seguita dalla esplicitazione di una specifica censura che ponga in discussione l’autenticità – e dunque l’affidabilità – del documento, non può di certo valere a conferire all’opposizione il significato di una censura specifica.
7. Ed infine, con riferimento alla ulteriore censura di nullità per la mancata traduzione delle analisi redatte in lingua francese in quanto provenienti dal “(omissis) ” sito in (omissis) , si tratta, ancora una volta, di doglianza che non può essere condivisa.
7.1 In tema di omessa traduzione degli atti redatti in lingua straniera soccorre l’art. 242 comma 1 del codice di rito che, nel richiamare l’art. 143 stesso codice che disciplina le modalità di traduzione, consente comunque al giudice di acquisire il documento non tradotto provvedendo alla sua traduzione solo quando essa sia necessaria alla comprensione dell’atto.
7.2 Costante l’orientamento di questa Suprema Corte secondo il quale, posto che la nomina di un interprete all’imputato o indagato straniero, in quanto subordinata al concreto accertamento della mancata conoscenza della lingua italiana, costituisce, non già un atto dovuto, ma un obbligo eventualmente derivante da un accertamento di fatto, ne consegue che la mancata nomina dell’interprete rientra non già nel novero delle nullità assolute ex art. 179 cod. proc. pen. ma di quelle relative (tertium genus tra le nullità assolute e quelle di ordine generale), soggette pertanto alle disposizioni di cui agli artt. 181, 182 e 183 cod. proc. pen. (in termini Sez. 5^ 12.12.2001 n. 6697, Kislitsyn, Rv. 221901; v. anche Sez. 1^ 11.3.2009 n. 21669, Ciucan, Rv. 243794 che qualifica la nullità come a regime intermedio da eccepire ad opera della parte presente prima del compimento dell’atto ovvero immediatamente dopo; più di recente Sez. 3^ 24.6.2015 n. 30891, H., Rv. 264330 che ha affermato analogo principio anche dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 4.3.2014 n. 32 con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2010/64/UE, specificando che detta nullità, ove ricorrente, non può essere rilevata né dedotta dopo la sentenza di primo grado).
7.3 Ancora una volta rileva il Collegio che nessuna specifica eccezione di nullità è stata formulata dalla difesa la quale si è limitata ad una semplice opposizione del tutto immotivata, alla acquisizione dei prelievi e delle analisi, non equiparabile – per quanto in precedenza chiarito – ad una eccezione di nullità.
7.4 Ma in ogni caso appare assorbente la circostanza che la stessa Corte territoriale ha escluso che gli atti redatti in lingua francese fossero incomprensibili, trattandosi di risultati delle analisi espressi in cifre e di indicazione di liste contenenti le sostanze vietate. Tale statuizione, frutto di un giudizio di fatto certamente non manifestamente illogico, esclude che possa essersi verificata una qualche nullità tenuto conto proprio di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 242 cod. proc. pen. che confina il dovere di traduzione ad attività residuale laddove la traduzione risulti necessaria alla comprensione dell’atto, nel caso de quo facilmente intellegibile.
8. Non condivisibile appare il secondo motivo di ricorso che censura l’operato della Corte territoriale laddove la stessa ha affermato che la somministrazione di un antinfiammatorio al cavallo prima della gara appare idonea ad alterare le prestazioni dell’animale in quanto elimina il dolore consentendo all’animale di beneficiare di un aumento artificiale della prestazione agonistica. Secondo la tesi difensiva la Corte avrebbe invece dovuto tenere conto delle dichiarazioni rese da due testi addotti dalla difesa (Dott.ssa Ca.Ca. associato alla cattedra di farmacia escussa all’udienza del 20 giugno 2012 e dott. R.S. , medico veterinario, escusso all’udienza del 9 gennaio 2013) i quali hanno – a detta della difesa concordemente escluso che il diclofenac rientrasse nella categoria dei farmaci antinfiammatori steroidei e consentisse un aumento della performance, possedendo, invece, come tutti i F.A.N.S. (acronimo per indicare farmaci antinfiammatori non steroidei), proprietà analgesiche e/o antidolorifiche ed ancora, che fosse necessaria per la sua somministrazione una specifica prescrizione sanitaria.
8.1 Ritiene la Corte condivisibile, sul punto, quanto affermato dalla Corte territoriale e comunque non manifestamente illogico posto che l’eliminazione di un dolore che affligge l’animale prima della corsa, oltre ad avere quale conseguenza una azione lenitiva certamente contribuisce ad aumentare e/o alterare la capacità atletica dell’animale.
8.2 Sebbene non incluso nella lista delle sostanze dopanti, il diclofenac, comunemente noto commercialmente come Voltaren, è un farmaco antinfiammatorio che pur non aumentando le capacità dell’atleta (o dell’animale impiegato in attività sportive), tuttavia gli consente di essere attivo e quindi partecipare a una gara-competizione anche se il suo stato fisico non glielo consentirebbe: in altri termini non è consentita la pratica di trattare determinate malattie o lesioni in modo da far passare il dolore, senza che il soggetto sia clinicamente guarito e permettere la partecipazione ad una competizione alla quale non avrebbe potuto prendere parte proprio perché non guarito. Rientra peraltro nel concetto di doping quella pratica che permette all’uomo-atleta, ovvero all’animale, di ottenere un rendimento superiore alle dosi fisiologiche possedute in quel determinato momento storico.
8.3 Peraltro la Corte di merito nel riportare i contenuti delle dichiarazioni dei due testi sopraindicati ha specificato che entrambi hanno spiegato che il diclofenac rientra tra le sostanze proibite nelle competizioni sportive equine.
8.4 Va al riguardo chiarito che per doping equino, al pari del doping umano, si intende l’utilizzazione di qualsiasi agente esogeno (farmacologico, endocrinologico, ematologico, etc.) ovvero di manipolazione clinica che, in assenza di idonee e necessarie indicazioni terapeutiche, sia finalizzato al miglioramento delle prestazioni, al di fuori degli adattamenti indotti dall’allenamento.
8.5 n D.M. 797 del 16.10.2002 includeva nell’Allegato 1 tra le sostanze proibite quelle che agiscono sul sistema muscolare – scheletrico e tra le classi farmacologiche che da ritenersi incluse nella “Lista” di cui sopra rientravano le “Sostanze antipiretiche, analgesiche e anti-infiammatorie”. Previsioni analoghe sono contenute nell’allegato 1 al nuovo regolamento per il controllo delle sostanze proibite del 2 agosto 2011 redatto dall’ASSI (successore ex lege del soppresso UNIRE) che, nel modificare il precedente regolamento ed i relativi allegati, ha mantenuto tra le sostanze proibite incluse nella lista le sostanze antipiretiche e antinfiammatorie. E anche la Federazione Equestre Italiana si è ispirata nella elencazione delle sostanze proibite alla lista ricompresa nell’allegato 1 del D.M. 2.8.1969. Ne consegue, e tanto basta a confermare corretta l’affermazione della Corte di merito che entrambi i testi escussi (CA. e R. ) avevano comunque riferito che il diclofenac rientrava tra le sostanze proibite da non somministrare ai cavalli in occasione di gare, che la somministrazione di un antinfiammatorio non era consentita in occasione di gare equine.
8.6 Va poi aggiunto che al L.V. non è stata contestata la violazione dell’art. 9 della L. 376/00 che sanziona la condotta di che procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste all’articolo 2, comma 1 della medesima legge, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze. Il L.V. , infatti risponde di altro reato afferente alla alterazione dei risultati di una competizione sportiva disciplinato dall’art. 1 della L 401/89 (v. postea).
9. Con riferimento al terzo motivo osserva il Collegio quanto segue. Con riguardo alla asserita inosservanza della legge penale (art. 1 della L. 401/89), già questa Corte in precedenti occasioni ha avuto modo di precisare che rientra nella previsione della fattispecie criminosa in parola la somministrazione di sostanze dopanti ad un cavallo prima della partecipazione ad una delle gare organizzate dall’UNIRE o da altra associazione ad esso aderente, così come, in diversa ipotesi, la somministrazione di altre sostanze che possano indurre la debilitazione di uno dei cavalli partecipanti alla gara, trattandosi di condotte di per sé idonee ad alterare fraudolentemente i risultati della gara stessa. (Sez. 3^ 3.4.2007 n. 16619, Trinchillo, Rv. 236819 con riferimento al doping equino ed alla frode sportiva ad esso collegata in cui si è precisato che “la somministrazione di sostanze eccitanti o di altra natura ad un cavallo prima della gara corrisponde proprio ad un’attività proiettata verso l’esterno da parte di colui che si ripromette di alterare i risultati della gara e non a quella del doping autogeno”; Sez. 3^ 23.9.2015 n. 40648, Dall’Olio, Rv. 267653).
9.1 Correttamente, quindi, la Corte di merito ha ritenuto integrata l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 1 della L. 401/89 (delitto di frode sportiva) in quanto l’art. 1 di detta legge prevede, in alternativa alle condotte contemplate nella prima parte dell’art. 1, la commissione di “altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo” di “raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione”.
9.2 Le varie ipotesi descritte dalla norma sono inequivocabilmente alternative tra loro, con la conseguenza che la commissione di qualsiasi atto fraudolento, diverso dalla promessa di danaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti alla gara, ma diretto al medesimo scopo di alterarne il risultato, integra egualmente l’ipotesi di reato prevista dalla norma (v. sul punto più dettagliatamente Sez. 3^ 23.3.2015 n. 3650, Bertini ed altri; v. anche Sez. 2^ 29.3.2007 n. 21324, P.G. in proc. Giraudo, Rv. 237033).
9.3 Può quindi affermarsi che al di là della inclusione del diclofenac nelle sostanze considerate doping ai sensi dell’art. 2 comma 1 della L. 376/00, nel caso in esame non contestata, la somministrazione del diclofenac in quanto sostanza antinfiammatoria ed analgesica implica una alterazione delle condizioni fisiche del cavallo che viene posto in condizione di prendere parte ad una competizione cui non avrebbe potuto partecipare se non avesse assunto quella sostanza. E tale condanna integra, a carico del soggetto somministrante la condotta di cui all’art. 1 della L. 401/89 che ha per oggetto giuridico un bene diverso da quello tutelato dalla legge antidoping n. 376/00.
10. Con riguardo al profilo, invero generico nei contenuti posto che si limita ad una reiterazione della censura già sollevata con l’atto di appello e scrutinata in modo adeguato dalla Corte territoriale – va ribadita l’esattezza della soluzione adottata dalla Corte di Appello che ha ritenuto configurabile il reato di maltrattamento di animali nel caso di somministrazione ai cavalli di sostanze dopanti o comunque tali da alterarne la performance.
10.1 Va in proposito precisato che già lo stesso testo dell’art. 544 ter comma 2 cod. pen. nella sua formulazione successiva alla introduzione della nuova fattispecie delittuosa per effetto della L. 20.7.2004 n. 189, prevede una specifica ipotesi di reato di maltrattamenti quale diretta conseguenza della somministrazione di sostanze dopanti ad animali: recita, infatti, il citato secondo comma “La stessa pena (prevista dal comma 1 dell’art. 544 ter cod. pen.) si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi”. Si tratta quindi di una ipotesi di maltrattamenti legata – in riferimento alla prima parte del secondo comma in esame – al solo fatto della somministrazione di sostanze vietate all’animale, sicché una volta accertato tale evento non occorre altra indagine (v. Sez. 3^ 23.9.2015 n. 40648 cit. non massimata sul punto) Peraltro in altra precedente decisione di questa Sezione (Sez. 3^ 3.2.2011 n. 23449 D.M.G., non massimata) è stato precisato che la sottoposizione di un animale a doping costituisce di per sé danno per l’animale alla sua salute e quindi maltrattamento, in coerenza con quanto previsto dall’art. 1 comma 2 della L. 376/00 che definisce “doping” la somministrazione di farmaci o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le prestazioni agonistiche degli atleti (o degli animali).
10.2 Reputa comunque il Collegio che la somministrazione non sotto diretto controllo medico di sostanza medicamentosa con il malcelato fine di lenire il dolore ma in realtà con il proposito di consentire ad un cavallo afflitto da patologie muscolari di partecipare ugualmente ad una gara alla quale in presenza di dolore non avrebbe potuto partecipare integra una ipotesi di maltrattamento perché non garantisce il benessere dell’animale; né una apparente e temporanea situazione di benessere vale ad escludere la configurabilità del reato in quanto il concetto di benessere evoca il concetto di qualità della vita del singolo animale come da esso percepita e presuppone che l’animale goda buona salute. In altri termini, il benessere animale nel suo complesso, oltre a ricomprendere la salute e il benessere fisico, esige che l’animale in quanto essere senziente goda di un benessere psicologico e sia in grado di poter esprimere i suoi comportamenti naturali. Ne consegue che la somministrazione ad opera dell’uomo di farmaci senza specifiche necessità terapeutiche non può rientrare nel concetto di garanzia del benessere animale anche perché in realtà tale azione intende perseguire ben altra finalità. Senza dire che la somministrazione di farmaci antidolorifici al cavallo in vista della sua partecipazione ad una gara espone comunque l’animale, proprio perché non clinicamente guarito ed in buona salute ab origine a situazioni di stress (assolutamente comuni nelle competizioni sportive) e rischi ulteriori che possano pregiudicarne in modo ancor più significativo il suo stato psico-fisico.
11. Con riferimento, infine, all’aspetto riguardante l’asserita erronea conferma della condanna per il delitto di cui all’art. 348 cod. pen., ribadito – come ricordato dalla Corte territoriale – che il diclofenac è un farmaco da somministrare sotto diretto controllo medico, integra certamente il reato in parola, come esattamente ritenuto dalla Corte distrettuale, la condotta di somministrazione di farmaci ad opera di soggetti non aventi la qualifica di medico-veterinario. È pacifico infatti che a somministrare il diclofenac sia stato l’allenatore L.V. , odierno imputato, sprovvisto di apposito titolo professionale che lo abilitasse all’esercizio della professione sanitaria, necessaria per la somministrazione di farmaci sotto diretto controllo medico: il requisito dell’abusività implica necessariamente che la professione sia esercitata in mancanza dei requisiti richiesti dalla legge. Né il fatto che il farmaco potesse essere acquistato in farmacia senza apposita prescrizione rientrando nella categoria dei cd. “farmaci da banco” vale ad escludere il reato in esame, in quanto la condotta punibile, nel caso de quo non era tanto l’acquisto del diclofenac senza apposita prescrizione, quanto la somministrazione senza diretto controllo medico di una sostanza medicamentosa ad opera di soggetto non abilitato.
12. Conclusivamente il ricorso va rigettato: segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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