La massima
La sussistenza dell’elemento soggettivo nel reato di ricettazione (vale a dire la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa) può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato e dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede.
Suprema Corte di Cassazione
Sezione II
sentenza del 3 aprile 2012, n. 12704
Svolgimento
1. Con sentenza in data 29/10/2009, la Corte di appello di Roma, confermava la sentenza del Tribunale di Roma, in data 22/9/2005, che aveva condannato B.G. alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 140,00 di multa per il reato di ricettazione di un telefono cellulare provento di furto, ritenuta l’ipotesi lieve.
2. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto, ed equa la pena inflitta.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, contestando la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e dolendosi che la sentenza impugnata non abbia preso in alcuna considerazione l’ipotesi dell’incauto acquisto, di cui all’art. 712 cod. pen.
Motivi
1. Il ricorso è infondato.
2. In punto di diritto è sufficiente rilevare che la sussistenza dell’elemento soggettivo nel reato di ricettazione (vale a dire la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa) può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato e dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. Sez. 2^, 27.2/13.3.1997, n. 2436, Rv.207313; conf. Sez. 2, Sentenza n. 25756 del 11/06/2008 Ud. (dep. 25/06/2008) Rv. 241458).
Del resto, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite: “l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12433 del 26/11/2009 Ud. (dep. 30/03/2010) Rv.
246324).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente motivato sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di ricettazione, desumendolo dall’assenza di una valida giustificazione circa la provenienza del bene. Le osservazioni del ricorrente non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa e risultano manifestamente infondate in diritto.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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