La massima
In presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 cod. civ., chiedendo cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo. Dunque, l’azione di esecuzione specifica del contratto a norma dell’art. 2932 cod. civ. e l’actio quanti minoris ben possono cumularsi ed essere, quindi, proposte con il medesimo atto.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 31 luglio 2012, n.13739
Tra a Gi..Gu. e G..C. veniva stipulato, in data 1 ottobre 1976, un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto un appartamento, della prevista superficie di mq. 230, sito al terzo piano di un fabbricato, in costruzione, ubicato in (…), a fronte di un prezzo complessivo di L. 51.000.000, di cui L. 26.000.000 erano state già versate dal promissario acquirente.
La stipula del contratto definitivo, con consegna dell’immobile e versamento del residuo prezzo, era stata fissata entro il 31 agosto 1977, ma tra le parti erano insorte talune contestazioni, concernenti, tra l’altro, l’effettiva estensione della superficie dell’appartamento (ritenuta di mq. 204) e i materiali di costruzione, e si erano susseguiti vari inviti alla stipula dell’atto pubblico.
Sicché, il Gu. citava in giudizio, con atto notificato il 18 febbraio 1978, il C. , per sentir accogliere le seguenti domande: riduzione del prezzo per la minore superficie dell’appartamento e per la sostituzione dei materiali; trasferimento coattivo dell’immobile al prezzo come sopra accertato, che si dichiarava pronto a versare; risarcimento del danno per mancata disponibilità dell’immobile promesso in vendita.
Il C. resisteva proponendo domanda riconvenzionale di risoluzione del preliminare per inadempimento del promissario acquirente e di risarcimento del danno, dichiarandosi, in subordine, pronto alla stipula dell’atto ed istando per il risarcimento del pregiudizio patito.
2. – Con sentenza del 1 luglio 1999, il Tribunale di Gela rigettava anzitutto la domanda riconvenzionale del C. , escludendo di poter ravvisare nel comportamento dell’attore gli estremi del grave inadempimento e nelle comunicazioni e negli atti intercorsi tra le parti la fissazione di un termine per l’adempimento e non già, come dovevasi invece riconoscere, un termine per manifestare una volontà. Inoltre, il giudice di primo grado, quanto alle domande attoree, rilevava che il Gu. , per un verso, aveva fatto offerta di pagamento del dovuto, con ciò integrando il requisito di cui all’art. 2932 cod. civ., e che, per altro verso, le indagini tecniche svolte nel corso del giudizio avevano portato ad accertare la corrispondenza della superficie dell’appartamento con quella prevista in contratto, cosi da non consentire la riduzione del prezzo.
Veniva, pertanto, statuito il trasferimento di proprietà al Gu. , ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., dell’immobile anzidetto, subordinandolo al pagamento del residuo prezzo di L. 23.064.000 (cosi determinato tenuto conto del costo dei materiali forniti dallo stesso promissario acquirente), con reiezione delle ulteriori domande risarcitorie proposte dalle parti e con compensazione delle spese di giudizio.
3. – Il C. proponeva gravame contro tale decisione, che però veniva respinto, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado, dalla Corte di appello di Caltanissetta con sentenza resa pubblica il 7 luglio 2005.
3.1. – La Corte territoriale escludeva, in primo luogo, che si potesse ravvisare un vizio di ultrapetizione, dedotto sul presupposto che sarebbe stata accolta una domanda mai proposta dall’attore, il quale aveva chiesto il trasferimento dell’immobile soltanto a prezzo ridotto, sicché il rigetto dell’azione quanti minoris avrebbe dovuto comportare anche quello della domanda di trasferimento. Il giudice del gravame, confermando la statuizione di primo grado, riteneva, invece, che il Gu. aveva proposto entrambe le anzidette domande senza subordinare il trasferimento di proprietà al pagamento di un prezzo ridotto, bensi al “prezzo effettivamente dovuto”; sicché, essendo la richiesta di riduzione di prezzo correlata alla ritenuta minore estensione della superficie dell’appartamento, una volta accertatosi, tramite c.t.u., che l’estensione era invece quella indicata in contratto, “la volontà manifestata dall’attore di pagare, a seguito di detto accertamento, il prezzo dovuto, è da considerarsi estesa, naturalmente, anche all’ipotesi che la superficie fosse risultata corrispondente a quella pattuita”.
3.2. – Veniva, inoltre, respinto il motivo di censura con il quale l’appellante si doleva del fatto che il Tribunale di Gela avesse esaminato la domanda attorea di trasferimento, nonostante fosse stata proposta, da esso C. , domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento.
La Corte territoriale rilevava la correttezza logico giuridica della decisione assunta dal primo giudice, posto che la domanda di trasferimento della proprietà dell’immobile era stata esaminata soltanto dopo la reiezione della riconvenzionale anzidetta.
3.3. – Il giudice di appello rigettava, altresì, le doglianze relative: sia al mancato accoglimento della domanda di risoluzione per fatto ascrivibile al Gu. , riferibile al mancato rispetto del termine per la stipula del contratto definitivo indicato nel telegramma in data 28 agosto 1978 inviatogli dal promittente venditore; sia alla ritenuta insussistenza dell’inadempimento del promissario acquirente per l’ingiustificato rifiuto, manifestato con la proposizione dell’azione di riduzione, di pagamento dell’intero prezzo pattuito.
Sotto quest’ultimo profilo, il giudice di secondo grado osservava che l’actio quanti minoris non era volta ad opporre un rifiuto al pagamento del prezzo, bensì a richiedere un riequilibrio delle prestazioni, quale pretesa che, sebbene non accolta, non avrebbe potuto reputarsi temeraria, posto che il c.t.u., a fronte dei rilievi di parte, aveva dovuto ripetere le operazioni di misurazione della superficie dell’appartamento. In ordine, poi, all’ulteriore profilo di doglianza, si ribadiva la correttezza del ragionamento del primo giudice che aveva ravvisato nel telegramma del C. l’assegnazione di un termine per manifestare la volontà di convocare la controparte dinanzi al notaio per la stipula del’atto pubblico e non già l’assegnazione di un termine per l’adempimento. Peraltro, la stessa Corte rilevava che era rimasta priva di impugnazione l’ulteriore ragione addotta dal primo giudice in ordine al fatto che il telegramma del C. era stato inviato quando ormai “era stata proposta domanda di esecuzione specifica del preliminare” (nonché le azioni di riduzione e di risarcimento del danno, come ulteriormente rilevato dallo stesso giudice di appello), sicché “non avrebbe potuto modificare l’assetto giuridico nei rapporti tra le parti al momento dell’inizio del presente giudizio”.
3.4. – Con la medesima sentenza venivano, poi, respinti gli ulteriori motivi di gravame concernenti: la mancata risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del Gu. per essersi rifiutato di procedere alla stipula del definitivo allorché era in corso di rilascio il certificato di abitabilità dell’immobile; la reiezione della domanda di risoluzione per onerosità sopravvenuta; la reiezione della domanda risarcitoria.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Caltanissetta ricorre G..C. , affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi di censura.
Resistono con controricorso G.G. , G.M.D. e C.B..A. , quali eredi di Gu.Gi. .
Considerato in diritto
1. – Preliminarmente, vanno respinte le eccezioni di inammissibilità dei motivi secondo e terzo, avanzate dai controricorrenti sul presupposto della mancata formulazione del rispettivo quesito prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., posto che tale disposizione ha iniziato ad esplicare i propri effetti in relazione alle sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che ha introdotto il citato art. 366 bis (poi abrogato ad opera dell’art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009), sicché non può trovare applicazione nella presente impugnazione che riguarda una sentenza pubblicata il 7 luglio 2005.
2. – Con il primo mezzo è dedotta la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 2932 e 1363 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., nonché nullità della sentenza per omessa e contraddittoria motivazione su un punto ed un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ.
Il ricorrente, nel riportare in parte il contenuto dell’atto di citazione del febbraio 1978, e segnatamente le relative conclusioni, assume che ‘nessuna altra domanda o deduzione aveva svolto l’attore, in ordine alla chiesta applicazione dell’art. 2932 c.c., oltre quanto letteralmente avanti riportato e precisato testualmente’, dovendosi, pertanto, riconoscere che l’unica azione proposta era quella di riduzione, là dove la domanda ex art. 2932 cod. civ. era collegata all’accertamento del minore importo del prezzo di vendita dell’immobile. A fronte di ciò, esso convenuto in primo grado aveva proposto riconvenzionale di risoluzione del contratto preliminare, in ragione del rifiuto dell’attore di pagare l’intero prezzo pattuito.
Non avendo, dunque, il Gu. mai offerto il prezzo convenuto in contratto, ma esclusivamente quello da determinarsi con l’azione di riduzione, la Corte territoriale, come già il Tribunale di Gela, avrebbero ‘trasferito l’immobile per un prezzo mai offerto’, con ciò violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ..
Peraltro, la Corte di appello avrebbe proceduto ad una interpretazione estensiva, in contrasto con ‘il senso letterale delle frasi usate’, dell’espressione ‘prezzo dovuto’, che invece andava letta nel contesto nel quale era inserita e cioè ‘saldo prezzo effettivamente dovuto al convenuto in coerenza con quanto sopra precisato e richiesto’; di qui la violazione dell’art. 1363 cod. civ., applicabile anche agli atti processuali.
L’error in procedendo emergente dagli atti processuali sopra indicati, conclude il ricorrente, comporterebbe la nullità della sentenza.
2.1. – Il motivo è infondato.
2.2. – In termini più generali, la deduzione del vizio, in procedendo, di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per l’ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, impone a questo giudice di legittimità una cognizione non circoscritta all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con la quale il giudice di merito ha vagliato la questione, bensì estesa all’esame diretto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito.
Tale enunciazione di principio è stata riaffermata recentemente, in sede di risoluzione di contrasto giurisprudenziale, dalle Sezioni Unite civili (Cass., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077) e la stessa, sebbene in quell’occasione calibrata sulla fattispecie particolare del vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, assume, comunque, una portata più generale (come evidenzia la stessa sentenza delle Sezioni Unite appena richiamata) in riferimento alla denuncia di un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata.
2.3. – Ciò premesso, lo scrutinio della specifica censura può avere ingresso in questa sede, in quanto il ricorrente ha dedotto il vizio del procedimento ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. ed ha confezionato il motivo in conformità al principio di specificità della deduzione, ponendo in risalto, anche tramite selettiva trascrizione, le pertinenti parti dell’originario atto di citazione del Gu. da cui si desumerebbe l’asserita violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..
L’ulteriore profilo di doglianza con cui si assume il mal governo dell’art. 1363 cod. civ. in riferimento all’interpretazione dell’atto di citazione (secondo una prospettazione che la prevalente e più recente giurisprudenza di questa Corte reputa, però, erronea, non trovando applicazione le norme sull’interpretazione dei contratti, come tali, agli atti giudiziali: tra le più recenti, Cass., sez. I, 24 novembre 2011, n. 24847) – oltre a sovrapporsi, nella sostanza, alla denuncia precedente e, in ogni caso, ad esser erroneamente veicolato tramite la deduzione di un vizio (di violazione di legge) ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., posto che esso si risolve, pur sempre, in un vizio del procedimento – rimane assorbito dallo scrutinio diretto di questa Corte sulla portata della domanda dell’attore.
2.4. – All’esame del fatto processuale rilevante giova premettere la ricognizione delle coordinate giuridiche entro le quali viene a collocarsi la domanda giudiziale che il ricorrente asserisce esser stata erroneamente intesa dalla Corte di appello.
A tal fine, deve, infatti, puntualizzarsi – come si evince dall’orientamento stabile della giurisprudenza di legittimità (tra le altre: Cass., sez. II, 26 gennaio 2010, n. 1562; Cass., sez. II, 15 febbraio 2007, n. 3383; Cass., sez. II, 8 ottobre 2001, n. 12323, in riferimento a fattispecie proprio di immobile da costruire) – che, in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 cod. civ., chiedendo cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo.
Dunque, l’azione di esecuzione specifica del contratto a norma dell’art. 2932 cod. civ. e l’actio quanti minoris ben possono cumularsi ed essere, quindi, proposte con il medesimo atto.
Da ciò ne deriva che occorre acclarare una chiara intenzione dell’attore di escludere, in modo assoluto ed inequivocabile, la efficacia della domanda ex art. 2932 cod. civ. nel caso di rigetto della contestuale domanda di riduzione del prezzo, così da non voler giungere al trasferimento di proprietà, nonostante i vizi dedotti siano risultati insussistenti, e con ciò subordinando espressamente all’accoglimento della seconda domanda l’esame della prima, altrimenti non potendosi predicare la loro compatibilità e, addirittura, contestualità.
2.5. – Venendo, quindi, all’esame diretto della citazione del Gu. , si rileva che, in tale atto, dopo la sommaria descrizione del contenuto del preliminare stipulato dalle parti l’1 ottobre 1976 (secondo il quale era stato promesso in vendita un appartamento, della prevista superficie di mq. 230, sito al terzo piano di un fabbricato, in costruzione, ubicato in Gela, per un prezzo complessivo di lire 51.000.000, di cui lire 26.000.000 erano state già versate dal promissario acquirente), si afferma che ‘è rimasto accertato che l’appartamento ha dimensioni minori rispetto a quelle pattuite (non più di mq. 204)’. A fronte di ciò, si rassegnano, per quanto specificamente interessa, le seguenti conclusioni: ‘Fare diritto all’actio quanti minoris con il presente atto … e quindi determinare in sentenza il prezzo effettivamente dovuto dal comparente per ottenere il trasferimento del bene di cui al compromesso … Dare atto al comparente di sua costante prontezza, qui espressamente ripetuta e confermata, a versare il saldo prezzo effettivamente dovuto al convenuto in coerenza con quanto sopra precisato e richiesto … Fissare le modalità ed il termine del pagamento, da parte dell’attore, del prezzo residuo effettivamente ancora dovuto al convenuto quale controprestazione’.
Alla luce del principio per cui l’interpretazione della domanda richiede una valutazione del contenuto sostanziale della pretesa, in forza dei fatti dedotti in giudizio ed a prescindere dalle formule adottate (Cass., sez. I, 14 novembre 2011, n. 23794; Cass., sez. lav., 2 6 settembre 2011, n. 19630), nella specie è dato ravvisare che la correlazione tra la domanda di riduzione e quella di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre (la cui effettiva proposizione non è negata dallo stesso ricorrente) non si pone in termini di indefettibilità, nel senso che solo il prezzo minore avrebbe potuto essere oggetto dell’istanza ex art. 2932 cod. civ..
In siffatta prospettiva non si rinviene, infatti, alcuna affermazione del Gu. che fissi l’anzidetta ineludibile corrispondenza, che, invece, gravità intorno al ‘prezzo effettivamente dovuto’ e, dunque, al prezzo da pagarsi in relazione all’estensione della superficie dell’immobile, dallo stesso attore contestata.
Con ciò, lo stesso Gu. si mostra incline ad accettare anche un diverso esito della sua contestazione che non fosse quella della riduzione del prezzo, posto che egli stesso ha richiesto l’ammissione di una consulenza tecnica di ufficio al fine di accertare l’esatta superficie dell’immobile oggetto della compravendita.
Donde la ricomprensione, nell’ambito della domanda, della richiesta di trasferimento al prezzo effettivamente relazionatale alla dimensione dell’immobile e, dunque, al prezzo effettivamente dovuto.
3. – Con il secondo mezzo viene denunciata la violazione dell’art. 1453 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ..
Si osserva che la domanda di riduzione del prezzo proposta dal Gu. era pretestuosa, cosi da comportare l’inadempimento del promissario acquirente per essersi rifiutato di pagare il prezzo contrattualmente pattuito; di qui, l’impossibilità per lo stesso attore di svolgere la domanda di cui all’art. 2932 cod. civ., giacché esso convenuto aveva svolto riconvenzionale per la risoluzione del contratto preliminare di compravendita, ai sensi dell’art. 1453 cod. civ..
Sicché, la Corte di appello, ignorando il principio giurisprudenziale (enunciato da Cass. n. 138 del 1984 e Cass. n. 131 del 1984) per cui la richiesta di risoluzione del contratto da parte del promittente venditore, con il venir meno del contratto stesso, rende inutile l’esame sulla fondatezza della domanda di sua esecuzione specifica proposta dal promissario acquirente, avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto dell’inadempimento del Gu. e della conseguente risoluzione del contratto intercorso tra le parti e ‘non già porre in essere una sentenza avente valore del contratto non più esistente’.
3.1. – Il motivo è infondato.
La Corte territoriale si è difatti conformata al principio – che il Collegio intende qui ribadire – secondo il quale, ove ‘alla domanda di esecuzione specifica del contratto preliminare di vendita, proposta dal promissario acquirente, si contrapponga quella del promittente venditore diretta ad ottenere la risoluzione dello stesso contratto per inadempimento della controparte, il giudice deve, secondo un criterio di priorità logica, esaminare tale seconda domanda ed accertare la sussistenza delle condizioni per far luogo alla risoluzione, in quanto la eventuale positività di tale accertamento rende inutile, per il venir meno del contratto da eseguire, l’ulteriore indagine sulla esistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 2932 cod. civ. e preclude l’accoglimento della relativa domanda’ (Cass., sez. II, 14 maggio 1930, n. 3182).
Principio, questo, che, del resto, non sembra smentito dalle pronunce citate dal ricorrente, giacché esso si focalizza sugli effetti della risoluzione e cioè sul suo ‘far venir meno il contratto’ (così, segnatamente, Cass., sez. II, 9 gennaio 1984, n. 138), con ciò rimanendo evidente che, una volta risolto il contratto, non vi è più spazio per l’ulteriore esame di una domanda che ha come obiettivo il relativo adempimento, seppur coattivo.
Di qui, anche il carattere logicamente prioritario dell’esame dell’azione risolutoria, che mette in discussione la permanenza in vita del rapporto contrattuale, là dove l’azione ex art. 2932 cod. civ. lo intende invece porre a compimento. Con l’ulteriore conseguenza che, ove venga rigettata siccome infondata la domanda di risoluzione, non sussiste più l’ostacolo a dare ingresso allo scrutinio della contrapposta domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 cod. civ..
Tanto è avvenuto nel presente giudizio e, dunque, la doglianza del ricorrente è priva di consistenza.
4. – Con il terzo mezzo si deduce la violazione dell’art. 1454 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto ed un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ..
Avrebbe errato la Corte di appello nell’ignorare completamente la previsione dell’art. 1454 cod. civ., sulla risoluzione del contratto di diritto in caso di diffida ad adempiere, nella specie avvenuta con il telegramma di esso promittente venditore del 28 agosto 1978, al quale il Gu. aveva risposto soltanto dopo quattro mesi, evidenziando una generica disponibilità alla stipula dell’atto pubblico. Pertanto, sostiene il ricorrente, una volta respinta la domanda di riduzione del prezzo proposta dall’attore, il contratto si sarebbe risolto di diritto ex art. 1454 cod. civ., stante il grave rifiuto del promissario acquirente di pagare il prezzo pattuito in contratto; tale esito sarebbe stato, invece, del tutto pretermesso dalla motivazione della sentenza impugnata.
4.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Esso è infondato là dove censura la violazione di legge, posto che la mancata applicazione dell’art. 1454 cod. civ. da parte del giudice di appello è espressamente ricondotta alla ragione per cui il telegramma inviato dal C. al Gu. il 28 agosto 1978 non costituiva una diffida ad adempiere, con la conseguenza – giuridicamente corretta – che la fattispecie materiale non era sussumibile in quella legale anzidetta.
È inammissibile, invece, ove si deduce il vizio di motivazione della sentenza, giacché, lungi dal porre in evidenza omissioni, deficienze o contraddittorietà del ragionamento che sorregge la decisione, il ricorrente indugia nel proporre una diversa ricostruzione dei fatti (adducendo ancora una volta la tesi dell’inadempimento del promissario acquirente, la cui consistenza è stata sempre esclusa dalla Corte territoriale, con motivazione giuridicamente e logicamente attrezzata, che fa leva anche sulla considerazione per cui la pretesa riduzione del prezzo non sarebbe stata ‘temeraria…e, quindi, ingiustificata’, posto che il c.t.u., per giungere a conclusioni definitive, ‘ha dovuto ripetere le operazioni peritali di misurazione della superficie dell’appartamento’), contravvenendo al principio, consolidato, per cui non è consentita la rivalutazione delle emergenze processuali al fine di conseguirne una lettura favorevole all’interessato, ma diversa da quella fornita dal giudice di merito (tra le altre, Cass., sez. lav., 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., sez. lav., 6 marzo 2008, n. 6064).
5. – Il ricorso va, dunque, rigettato.
In considerazione delle peculiarità che hanno connotato la risalente vicenda sostanziale versata nella controversia oggetto di cognizione, appare equo disporre la compensazione integrale delle spese di lite del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese processuali del presente giudizio.
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