Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 18 febbraio 2016, n. 6569
Ritenuto in fatto
1.La Corte di appello di Roma confermava la condanna del F. alla pena di anni tre mesi, mesi sei di reclusione per il reato di estorsione continuata, consumata ai danni di D.F.G.. Si contestava all’imputato di avere costretto l’offesa a consegnargli una autovettura e la somma di euro 50.000 attraverso la prospettazione di conseguenze negative per la sua vita che potevano derivargli dall’azione di zingari di sua conoscenza.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che deduceva erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione. Si deduceva che era carente la dimostrazione della capacità coercitiva dei comportamenti asseritamente minacciosi attribuiti all’imputato. Le dazioni di denaro sarebbero (al più) state indotte nella vittima attraverso condotte fraudolente, ma non c’erano elementi per qualificare il comportamento dell’imputato come minaccioso. Si rimarcava che elementi in atti deponevano per l’esistenza di una relazione personale tra l’imputato e la vittima che potrebbe essere alla base delle significative elargizioni.
Considerato in diritto
1.Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Le critiche del ricorrente sono centrate sulla inidoneità dei comportamenti contestati ad integrare le minacce richieste per la configurazione dei reato di estorsione.
Il giudizio in ordine alla effettiva idoneità coercitiva delle minacce è una valutazione di merito che deve tenere conto sia della consistenza oggettiva dei comportamento, che dell’effettiva idoneità dello stesso ad influire sulla volontà della vittima. La idoneità soggettiva della minaccia a coartare la volontà dipende anche dallo stato di vulnerabilità della vittima. Gli indici di vulnerabilità sono ricavabili con chiarezza dalle indicazioni della direttiva 2012\29 UE che, agli artt. 22 e ss. fornisce delle indicazioni agli Stati per assicurare un protezione adeguata alle vittime di reato, con specifico riguardo a quelle che presentano profili di vulnerabilità.
La direttiva 2012\29\UE prevede che la valutazione in relazione alla vulnerabilità debba essere effettuata in relazione alla caratteristiche personali della vittima ed alla natura ed alle circostanze del reato.
Più marcata è la vulnerabilità e maggiore è la potenzialità coercitiva di comportamenti anche “velatamente” – e non scopertamente – minacciosi. Si ritiene infatti sono indifferenti la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo. La connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l’elemento strutturale del delitto di estorsione vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l’ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima, vista come persona di normale impressionabilità, a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione del soggetto passivo (Cass. sez. 6, n. 3298 del 26/01/1999, Rv. 212945).
Questo, ovviamente, ove il comportamento minatorio posto in esser non sia di consistenza tale da avere un potenziale offensivo di “oggettiva” incidenza, così da rendere non rilevante la verifica dell’efficacia in concreto della minaccia, con conseguente ininfluenza sulla valutazione della efficacia coercitiva dei comportamenti dell’indice di resilienza soggettiva della vittima (sulla irrilevanza della effettiva capacità coercitiva: Cass. sez. 2, 36698 del 19/06/2012, Rv. 254048).
1.2. Nel caso di specie, anche tenuto conto della vulnerabilità specifica della vittima, che risultava dalla relazione stretta, quasi di dipendenza, della D.F. dall’imputato, i collegi di merito hanno ritenuto – con giudizio di merito conforme, privo di fratture logiche manifeste e decisive – che i comportamenti dell’imputato abbiano avuto una concreta efficacia coercitiva sulla volontà della persona offesa
2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in € 1000,00, Nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile D.F.G. che liquida in euro 3500 oltre accessori come per legge, in aderenza alle indicazioni della normativa vigente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000.00 alla Cassa delle ammende, nonché alla rifusione del grado in favore della parte civile D.F.G., spese che liquida in euro 3500, oltre accessori come per legge.
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