Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza n. 11017 del 9 maggio 2013
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 18 aprile 1997, la Curatela del Fallimento della s.r.l. Vende Moda chiedeva revocarsi, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, il pagamento dell’importo di L. 9.521.735, effettuato il 30 marzo 1995 in favore della S.r.l. Caf di A. e M. Finamore dalla società, poi dichiarata fallita dal Tribunale di Nola, con sentenza del 2 gennaio 1996.
La convenuta contestava di aver ricevuto il pagamento, e in subordine negava la sussistenza del requisito soggettivo.
Il Tribunale, con sentenza n. 1701 del 12 ottobre 2004, rigettava la domanda di revoca, ritenendo che benchè il pagamento fosse provato dall’annotazione effettuata sul libro giornale della società fallita, mancava tuttavia la prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte della società convenuta.
Veniva proposto appello dal Fallimento; la società appellata si costituiva e proponeva appello incidentale.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza in data 20 aprile 2006 – 15 giugno 2006, ha rigettato l’appello principale, Raccolto l’appello incidentale e, con diversa motivazione, ha confermato la sentenza di rigetto della domanda proposta del Fallimento, che ha condannato altresì alla rifusione in favore della Confezioni Caf delle spese anche del secondo grado di giudizio, negli importi come liquidati.
Nello specifico, la Corte del merito ha ritenuto di valutare prioritariamente l’appello incidentale, relativo alla sussistenza stessa del pagamento oggetto della revocatoria, rispetto all’appello principale, relativo al requisito soggettivo della scientia decoctionis.
Secondo il Tribunale, il pagamento doveva ritenersi provato in base alle risultanze dell’estratto del libro giornale della società poi fallita, che riporta in data 30 marzo 1995 l’annotazione del pagamento dell’importo di L. 9.521.735, effettuato in favore della società Caf. Secondo il primo Giudice, vertendosi in materia di rapporti tra imprenditori, trova applicazione la disposizione di cui all’art. 2710 c.c.; secondo la Corte del merito, detto articolo, che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori per i rapporti relativi all’esercizio dell’impresa ai libri regolarmente tenuti, non trova applicazione nei confronti del Curatore del fallimento, che agisce, come nel caso, non in via di successione nel rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione istituzionale di gestione del patrimonio del fallito a tutela dei creditori, e quindi in posizione di terzietà, non potendo egli, in tale veste, essere annoverato tra i soggetti considerati nella norma in questione, che opera soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparte in relazione a rapporti di impresa.
Ricorre avverso detta pronuncia il Fallimento, con ricorso affidato a due motivi.
L’intimata non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1.1.- Con il primo motivo il Fallimento denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2710 c.c., sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Il ricorrente richiama in primis la speciale efficacia probatoria che l’art. 2710 c.c., attribuisce ai libri contabili regolarmente tenuti, in deroga al generale principio per cui i documenti provenienti da una parte non possono far prova a favore della stessa.
Osserva che, sul piano letterale, l’art. 2710 c.c., utilizza l’espressione di “prova tra imprenditori” e pertanto richiede che il rapporto sostanziale debba essere intercorso tra i soggetti indicati, a prescindere dal fatto che esso sia eventualmente dedotto in giudizio da soggetto diverso; sul piano logico, detta limitazione soggettiva trova giustificazione nell’esigenza di garantire la posizione di parità tra le parti, perchè si presuppone che la controparte,a sua volta assoggettata all’obbligo della contabilità in quanto imprenditore, possa contrastare agevolmente l’efficacia probatoria della annotazioni altrui, ove il fatto non corrisponda a verità, contrapponendo ad essa la contrastante annotazione (o l’inesistenza della stessa), che risulta nei propri libri contabili.
Nel caso del Curatore, che voglia utilizzare le scritture contabili tenute dell’imprenditore fallito nell’azione di revocatoria, la parità fra le parti non subisce menomazioni, potendo l’imprenditore convenuto contrastare la prova offerta dal primo a mezzo del raffronto con le proprie scritture.
Inconferenti sono infine, secondo il Fallimento, le pronunce rese dal Supremo collegio citate nella pronuncia impugnata, in quanto attengono ad ipotesi diverse da quella di specie.
1.2.- Con il secondo motivo il Fallimento denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e l’omessa, insufficiente, e contraddittoria motivazione, in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio. Secondo il Fallimento, la sentenza impugnata ha attribuito rilievo decisivo, al fine dell’accoglimento dell’appello incidentale della Confezioni Caf, col conseguente rigetto dell’appello principale, alla sola inapplicabilità dell’art. 2710 c.c., senza considerare che l’estratto delle scritture contabili, prodotto dal Fallimento, costituisce elemento probatorio, anche se rimesso alla libera valutazione giudiziale, che comunque avrebbe dovuto essere esaminato alla luce degli atti del giudizio, considerati tanto analiticamente che nella loro convergenza globale.
La compiuta valutazione in ordine alla valenza probatoria del documento dal quale il Fallimento intendeva trarre la prova dei propri assunti si rendeva altresì necessaria, in quanto tra le parti era insorta controversia in relazione al contenuto delle scritture contabili parzialmente esibite, alla luce delle quali,secondo la Curatela, il pagamento trovava riscontro nell’annotazione nel libro giornale della controparte, in ragione “dell’annotazione di due pagamenti di importo complessivo pari a quello richiesto (v. le appostazioni del 27/3/97 per lire 3.400.000 e del 28/3/95 per L. 5.200.000)”, circostanza “anche confermata dalla mancata esibizione di tutte le scritture contabili”; mentre, secondo la Confezioni Caf, non era invece possibile utilizzare dette annotazioni, perchè “estranee all’oggetto del giudizio”.
2.1.- I due motivi di ricorso, siccome strettamente collegati, vanno esaminati congiuntamente e sono da ritenersi infondati.
Le argomentazioni addotte dal Fallimento a base del primo motivo di censura ricalcano sostanzialmente le motivazioni della pronuncia di questa Corte, n. 28299 del 2005.
Detta pronuncia, posta la condizione, indiscussa, di terzo del Curatore che agisce in revocatoria, ha concluso per l’applicazione dell’art. 2710 c.c. nel caso, rilevando che: a) sul piano letterale, la norma in oggetto si riferisce alla “prova tra imprenditori” e non già alla “prova nelle cause tra imprenditori”; b)sul piano logico, la ratio della limitazione soggettiva della regola fissata dalla norma si giustifica con l’esigenza di garantire la parità delle parti, siccome ambedue obbligate alla tenute della contabilità, così consentendo alla controparte di provare la contrastante o inesistente annotazione, a sua volta producendo i propri libri contabili; c) nel caso del Curatore che agisca in revocatoria, la prova verte su di un rapporto sorto tra imprenditori in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento; d) la posizione della controparte, imprenditore in bonis, è salvaguardata, potendo contrastare l’assunto del Fallimento a mezzo del raffronto con le proprie scritture.
La sentenza 28299/2005, a sostegno della interpretazione adottata, richiama le precedenti pronunce 142/2003, 5272/1982 e 319/1976.
Orbene, la pronuncia 142/03 si limita a richiamare il principio espresso nelle precedenti pronunce citate, secondo cui nella revocatoria fallimentare “è rimesso al libero apprezzamento del giudice del merito,ai sensi dell’art. 2710 c.c., lo stabilire se le scritture contabili, tenute dall’imprenditore fallito,siano idonee o meno a far prova in favore della Curatela”, senza spendere alcuna specifica argomentazione in diritto, argomentazione che invece risulta ampiamente esposta nella pronuncia del 2005. Detta pronuncia, peraltro, non fa cenno della diversa interpretazione fatta valere nelle sentenze 352/99, 17543/03, che invece ritengono che l’art. 2710 c.c., è applicabile nei rapporti tra imprenditori che assumono la qualità di controparti nei rapporti d’impresa.
Ciò posto, si ritiene non percorribile l’iter motivazionale fatto valere nella pronuncia 28299/05, non giustificandosi,alla stregua della formulazione letterale dell’art. 2710 c.c., la scissione tra il rapporto, facente capo all’imprenditore, ed il rapporto azionato dalla Curatela, che agisce in revocatoria come terzo.
La norma infatti individua l’ambito applicativo della speciale disciplina probatoria nel riferimento, necessariamente collegato, all’imprenditore ed al rapporto d’impresa.
Tale interpretazione è altresì coerente con la giurisprudenza che, in caso di ammissione al passivo, nel quale il Curatore è parimenti terzo, non riconosce all’imprenditore la possibilità di avvalersi della speciale efficacia probatoria dell’art. 2710 c.c., nel giudizio di opposizione allo stato passivo (così tra le ultime, le pronunce 10081/2011, 25570/2010, SU 4213/2013).
Il secondo motivo è infondato.
A riguardo va rilevato che col motivo in oggetto, nella sua duplice prospettazione, il ricorrente intenderebbe censurare la pronuncia per non avere almeno valutato l’estratto delle scritture contabili prodotto come elemento probatorio, sia analiticamente che alla luce degli atti di causa.
E’ agevole rilevare l’errore di fondo su cui è basato il motivo.
Ed infatti, non applicandosi l’art. 2710 c.c., che come già rilevato, costituisce norma speciale, in deroga al generale principio per cui i documenti provenienti da una parte non fanno prova a favore della stessa, le scritture contabili non assumono alcuna valenza probatoria a favore della Curatela (e la stessa efficacia probatoria attribuita dall’art. 2710 c.c., non costituisce prova legale, può essere contrastata dalla controparte con mezzi contrari, specifiche argomentazioni e deduzioni, la cui valutazione spetta al giudice del merito: così le pronunce 26216/2011 e 6501/2012, tra le ultime).
3.1.- Conclusivamente, il ricorso va respinto.
Non si da pronuncia sulle spese, non essendosi costituita l’intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2013.
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