Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 9 aprile 2014, n. 15831

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente
Dott. CAVALLO Aldo – rel. Consigliere
Dott. CASSANO Margherita – Consigliere
Dott. MAZZEI Antonella P. – Consigliere
Dott. LA POSTA Lucia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4801/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del 11/01/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/11/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe:
-ha confermato quella di primo grado – deliberata, all’esito di giudizio abbreviato, dal GUP del Tribunale di Asti – relativamente all’affermazione di penale responsabilita’ di (OMISSIS) per il reato di tentato omicidio allo stesso contestato (capo A della rubrica), per avere in (OMISSIS), compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte del proprio figlio (OMISSIS) di anni cinque, tenendo premuto con forza un cuscino sul suo volto, fino a quando il bambino non aveva perso i sensi per anossia; nonche’ per il reato di porto ingiustificato di un strumento atto ad offendere contestato all’imputato (capo B, della rubrica), per avere, nelle stesse circostanze di luogo e di tempo, portato fuori dalla propria abitazione senza giustificato motivo, una sorta coltello con lama da lui stesso realizzato, al fine di commettere il reato di cui al capo A;
– ha riformato invece la pronuncia di primo grado, relativamente al trattamento sanzionatorio, in quanto, ferma l’unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione, ha ritenuto le gia’ concesse attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti della premeditazione e di aver commesso il fatto contro il discendente, e per l’effetto ha rideterminato la pena in anni 5 (cinque) e mesi 4 (quattro) di reclusione, oltre le pene accessorie.
1.1. I giudici di appello, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimita’ – pur riconoscendo che l’imputato, al momento della commissione dei fatti a lui contestati, versava in uno stato di sofferenza emotiva provocato dalla separazione di fatto dalla moglie (OMISSIS), legatasi ad un altro uomo – hanno infatti ritenuto infondate le censure mosse dalla difesa alla sentenza di primo grado, in punto di imputabilita’, osservando: che il consulente del Pubblico ministero, nella sua relazione successiva di circa due mesi rispetto all’epoca del fatto, pur rilevando la relativa modestia del patrimonio intellettuale dell’imputato, aveva riconosciuto, pero’, la sua piena capacita’ di intendere e di volere; che anche volendo ritenere sussistenti gli aspetti di fragilita’ caratteriale ed emotiva evidenziati nella consulenza di parte e condivisibile la diagnosi di disturbo border line della personalita’ formulata in occasione del ricovero ospedaliero del (OMISSIS) avvenuto subito dopo i fatti, occorreva tuttavia considerare che per giurisprudenza pacifica “ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, i disturbi della personalita’ possono rientrare nel concetto di infermita’, purche’ siano di consistenza, intensita’ e gravita’ tali da incidere concretamente sulla capacita’ di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale” (Sez. 2, n. 24535 del 22/05/2012 – dep. 20/06/2012, Bonadio, Rv. 253079) eventualita’ che la Corte territoriale riteneva di escludere, in considerazione: (a) dell’anamnesi del soggetto assolutamente negativa; (b) del tenore del bigliettino manoscritto lasciato nell’abitazione della moglie, del contenuto della sua confessione e di una lettera del 9 maggio 2011; (c) del rilievo che la diagnosi formulata in occasione del ricovero dell’imputato (disturbo border line della personalita’) era stata verosimilmente influenzata dal peggioramento dello stato psichico conseguente alla commissione del fatto ed all’applicazione della misura cautelare; (d) che i miglioramenti nel corso della detenzione erano stati rapidi ed evidenti.
2. Avverso l’indicata sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del suo difensore, avvocato (OMISSIS), che ne denunzia la illegittimita’ per violazione di legge e vizio di motivazione, relativamente alla decisione di non riconoscere all’imputato la diminuente prevista dall’articolo 89 cod. pen., evidenziando al riguardo che i giudici di appello: (a) avevano attribuito rilevanza ad un dato – il tenore del biglietto lasciato dall’imputato – ritenuto non significativo da entrambi i consulenti tecnici; (b) avevano riconosciuto, con evidente contraddittorieta’, fondatezza e rilevanza alla diagnosi formulata in occasione del ricovero ospedaliero post factum, che pure riconosceva l’esistenza di “un’alterazione psichica”, salvo poi attribuire tale stato, senza alcun ancoraggio logico motivazionale specifico e tecnicamente supportato, al peggioramento dello stato psichico dei soggetto conseguente alla commissione del fatto e valorizzare, quindi, il dato non decisivo del netto miglioramento delle condizioni con il trascorrere del tempo, da ricollegarsi, per altro alle cure mediche praticate, senza considerare che gli stati emotivi e passionali sono di per se’ “transitori, non costituzionali”.
In conclusione, accertata l’esistenza nell’imputato di un’alterazione psichica e cio’ gia’ a pochi minuti dalla consumazione del fatto in occasione del suo ricovero in pronto soccorso, e l’avvenuto sovrapporsi a tale stato patologico, di un intenso stato emotivo, la Corte avrebbe dovuto accertare se tale sovrapposizione era maturata nei pochi minuti trascorsi tra la consumazione del tentativo omicidiario ed il trasporto in ospedale, ovvero se tale sovrapposizione esisteva gia’ al momento del fatto per cui e’ causa, e l’aver omesso di fornire adeguata risposta a tale quesito, integrerebbe di per se’ un vizio motivazionale, tale da comportare l’annullamento quanto meno con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN FATTO
1. L’impugnazione proposta nell’interesse di (OMISSIS) e’ inammissibile in quanto basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimita’ o comunque manifestamente infondati.
1.1 Ed invero, con riferimento alle censure mosse in ricorso alla sentenza impugnata – che attengono esclusivamente alla riconosciuta capacita’ di intendere e di volere del (OMISSIS) – occorre ricordare che lo stabilire se l’imputato fosse, al momento di commissione del reato, del tutto o in parte privo di tale capacita’ per infermita’ mentale costituisce, come questa Corte ha gia’ avuto molte volte occasione di affermare (in termini Sez. 1, Sentenza n. 2883 del 24/1/1989, Rv. 180615 e piu’ di recente Sez. 1, Sentenza n. 42996 del 21/10/2008, Rv. 241828), una questione di fatto la cui valutazione compete esclusivamente al giudice del merito, con l’ausilio delle risultanze peritali, e si sottrae al sindacato di legittimita’ se sorretta da congrua motivazione.
Congrua motivazione che nel caso di specie si ritrova nella sentenza impugnata nella quale le valutazioni del consulente del P.M., che si e’ espresso per la piena capacita’ di intendere e di volere del (OMISSIS) al momento del fatto, e quelle, parzialmente difformi, del consulente della difesa, sono state sottoposte ad analitico confronto in esito al quale si e’ evidenziato, con adeguato apparato argomentativo sulla base di precisi e concreti riferimenti alle risultanze processuali, come gli esami effettuati e l’analisi del comportamento e delle dichiarazioni dell’imputato e della sua vita pregressa inducessero senz’altro ad escludere che la condizione di stress derivante dalla crisi del rapporto coniugale e dalla conseguente squalificazione – agli occhi dell’imputato – del ruolo di madre della moglie, potesse integrare un vero e proprio status patologico (sia pure transeunte) in grado di compromettere significativamente la capacita’ d’intendere e di volere.
Nel (OMISSIS), in altri termini, non e’ stato riscontrato alcun sintomo di patologie psichiche di significativa gravita’ ma, a tutto concedere, solo un disturbo di personalita’ “borderline”, non connotato da intensita’ e gravita’ tali da potere incidere sulla capacita’ di intendere e di volere in modo da porsi in nesso eziologico con il commesso reato, condizione che e’ invece necessaria, secondo i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni unite 25/1/05, Raso, perche’ a siffatte anomalie si possa attribuire rilievo ai sensi degli articoli 88 e 89 cod. pen..
2. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinabile in euro 1000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

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