Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 7 novembre 2013, n. 44916
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con sentenza del 7 febbraio 2012 il Tribunale di Salerno condannava alla pena di euro 100,00 di ammenda ciascuno i coniugi A.L. e M.C., imputati del reato di cui agli artt. 110 e 659 c.p. perché, in concorso tra loro, mediante schiamazzi e rumori provocati dal suono del pianoforte e dall’abbaiare del loro cane, disturbavano le occupazioni ed il riposo di C.I.
A sostegno della decisione il giudice territoriale poneva la testimonianza della p.l. e quelle della condomina L.R. e del teste a discarico D’A.F.
2. Avverso detta sentenza ricorrevano in appello gli imputati, assistiti dal difensore di fiducia, appello convertito in ricorso di legittimità ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 568 c.p.p., vertendosi in ipotesi di condanna alla sola pena pecuniaria eppertanto non appellabile.
Lamentava in particolare la difesa ricorrente l’erroneità della decisione dappoichè fondata sulle sole testimonianze della C. e della L., non affidabili per l’astio intercorrente tra le medesime ed i coniugi A. per ragioni di pessimo vicinato, come dimostrato con le dichiarazioni rese in dibattimento dal teste D’A. Denunciava altresì parte ricorrente che quello di abbaiare è un diritto esistenziale del cane e che non risultava acquisita al processo la prova dei requisiti del reato contestato, in particolare la potenzialità a disturbare più persone, l’intensità dei denunciati rumori molesti. Deduce infine il difensore che non sarebbe stata adeguatamente valutata la circostanza che le denunce della p.l. riguardano le ore pomeridiane e non già quelle notturne.
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici.
Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass., Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baratti, Rv. 239735; Cass. sez. 2°, sentenza n. 7380 dell’11/01/2007, dep. Il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina, Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061).
3.2. Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente ritenuto con la sentenza impugnata.
Di merito è infatti la valutazione probatoria argomentata in ricorso delle testimonianze della p.l., della L. e del D’A., così come l’argomentare difensivo in ordine alla intensità dei rumori molesti e quanto alla ricorrenza nella fattispecie dei requisiti costitutivi della contravvenzione contestata.
A tale ultimo proposito giova evidenziare che le testimonianze dibattimentali hanno dimostrato la diffusività delle molestie cagionate dagli imputati ad un intero condominio, circostanza non esclusa neppure dal teste a discarico e che il disturbo del riposo delle persone ha rilevanza penale anche se consumato nelle ore pomeridiane (Cass., Sez. I, 12/01/1996, n. 1005).
Rispondono, infine, del reato di cui all’art. 659 comma 1 c.p., secondo insegnamento di questa Corte, un uomo e una donna che non impediscono il molesto abbaiare, anche in ore notturne, di due cani di loro proprietà, custoditi nel cortile di un edificio condominiale (Cass., Sez. I, 19/04/2001, Barbagallo e altri).
4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile ed alla declaratoria di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in euro 1000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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