Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 29 gennaio 2014, n. 1893
Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza del 9 maggio 2010 il Tribunale di Milano pronunciò la separazione personale dei coniugi M.M.L. e P.M. , con addebito al primo, a carico del quale pose l’obbligo del versamento di un assegno mensile di Euro 8000,00 in favore della P. .
2. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 15 luglio 2011, rigettò il gravame del M. .
Respinte le istanze istruttorie, per essere le prove testimoniali richieste dall’appellante inammissibili per la genericità ed inconferenza dei capitoli articolati, e superflue le ulteriori istanze avanzate, osservò la Corte di merito, in relazione alla doglianza concernente l’addebito della separazione al M. , che i coniugi, sposati sin dal 1962, avevano vissuto una vita agiata, essendo il marito un industriale di successo, e la P. essendosi dedicata, per scelta comune, esclusivamente alla famiglia, gestendone ed anche investendone le risorse finanziarie, fino a quando il M. aveva intrapreso una relazione con un’altra donna, con la quale era partito per un lungo viaggio mentre la moglie era impegnata in delicate terapie per una patologia tumorale, e con la quale si era poi trasferito in ….
Quanto alla doglianza relativa alla spettanza ed alla entità dell’assegno di mantenimento, la Corte di merito rilevò che il M. aveva sempre svolto un’attività imprenditoriale che gli aveva garantito redditi presumibilmente anche superiori a quelli, già elevati, dichiarati fiscalmente, ed aveva partecipazioni in società estere e fondi all’estero, come dimostrato in occasione dell’acquisto a Londra di una casa per il figlio.
Né il M. aveva comprovato una variazione in peggio del suo tenore di vita, e poco credibili risultavano le sue dichiarazioni dei redditi più recenti, che, da ultimo, indicavano un reddito annuo lordo di soli 30.000,00 Euro, essendo ancora attiva la società che egli aveva costituito con il fratello, che occupava 120 dipendenti, pur a fronte delle affermazioni del M. in ordine ad una pretesa riduzione del valore delle sue partecipazioni azionarie nella società medesima per una asserita crisi della stessa.
Anche la decisione dell’appellante, adottata in fase di separazione, di risolvere un contratto di locazione con detta società, relativo ad un immobile di sua proprietà, con canone di Euro 190.000,00 annui, per sostituirlo con un comodato d’uso gratuito, venne interpretata come un tentativo di apparire privo di redditi, più che essere attribuita a difficoltà della società.
La Corte ambrosiana confermò quindi l’entità dell’assegno in favore della P. , ormai non più giovane ed ammalata, titolare solo di una pensione dell’importo lordo di Euro 5000,00 annui, non essendole sufficiente per mantenere l’elevato tenore di vita goduto durante la vita matrimoniale la mera proprietà di titoli provenienti dalla divisione tra i coniugi di un comune dossier al quale il M. aveva fatto cenno.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre quest’ultimo sulla base di sette motivi. Resiste con controricorso la signora P. .
Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ. e dell’art. 115 cod.proc.civ..
Avrebbe errato la Corte di merito nel respingere le istanze istruttorie del M. , dirette – e ritenute dal ricorrente indispensabili all’uopo – a provare sia i fatti estintivi o modificativi del diritto della signora P. a percepire l’assegno di mantenimento, sia i fatti estintivi delle ragioni dell’addebito della separazione. In particolare, poi, la richiesta di esibizione degli estratti conto di tutti i conti correnti bancari e titoli intestati, cointestati o comunque riferibili alla P. avrebbe consentito una ricostruzione completa della situazione patrimoniale della stessa. Il giudice di secondo grado, respingendo le istanze istruttorie proposte dal M. , avrebbe deliberato sulla sola base delle dichiarazioni della P. , senza valutarne la veridicità.
2. – Il motivo è inammissibile.
Esso impinge in scelte discrezionali del giudice del merito, che, nella specie, ha ritenuto, quanto alle prove testimoniali, generici o inconferenti i capitoli articolati, ed ha valutato superflue le ulteriori istanze alla stregua delle acquisizioni probatorie agli atti. La censura si risolve, in definitiva, nella richiesta a questa Corte di una nuova valutazione in ordine alla rilevanza delle prove richieste, inibita al giudice di legittimità.
3. – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151, secondo comma, cod.civ. La Corte di merito avrebbe addebitato la separazione dei coniugi al M. senza avere comparato le condotte di entrambi al fine di stabilire se il comportamento censurato non fosse solo l’effetto di una frattura coniugale già verificatasi. Al riguardo l’attuale ricorrente aveva indicato una serie di comportamenti posti in essere dalla moglie in violazione dei doveri matrimoniali sui quali il giudice di merito non avrebbe condotto alcuna analisi, così come nessuna indagine avrebbe compiuto circa la sussistenza di un nesso di causalità tra la relazione extraconiugale del M. e la crisi matrimoniale.
4. – Con il terzo motivo si lamenta omessa e/o insufficiente motivazione in ordine al fatto controverso rappresentato dai comportamenti dei coniugi che avevano portato alla impossibilità della prosecuzione della convivenza, ai fini della pronuncia sull’addebito della separazione. La Corte di merito, pur rilevando la sussistenza di deduzioni del M. con riguardo a comportamenti tenuti dalla moglie in costanza di matrimonio, idonei a violare i doveri coniugali e rendere insostenibile la prosecuzione della convivenza, avrebbe omesso di motivare in ordine agli stessi, trascurando di indicare le ragioni che l’avevano portata ad escludere la rilevanza, ai fini dell’addebito, di detti comportamenti.
5. – Le censure, che, avuto riguardo alla stretta connessione che le avvince, intese come sono entrambe a contestare la statuizione sull’addebito della separazione al M. , sono infondate.
La Corte di merito ha fornito una articolata e plausibile motivazione del proprio convincimento circa la esistenza di un nesso di causalità tra la infedeltà dell’attuale ricorrente ed il naufragio del rapporto matrimoniale di cui si tratta, disegnando un quadro di vita serena ed agiata della famiglia sino all’inizio della relazione extraconiugale del M. , ed, in particolare, sino alla decisione dello stesso di partire per un lungo viaggio con la nuova compagna proprio mentre la moglie, sposata con lui dal lontano 1962, si sottoponeva ad una delicata terapia antitumorale.
Tale comportamento, ritenuto gravemente lesivo dei doveri matrimoniali, ha indotto il giudice di secondo grado a confermare la decisione del primo giudice di addebitare la separazione al M. , nella convinzione dell’effetto dirompente che esso ha prodotto su di un collaudato equilibrio di coppia.
La decisione si sottrae ad ogni censura, tanto più che le pretese violazioni addebitabili alla P. risultano del tutto generiche, oltre che sfornite di alcun riscontro.
6. – Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 156, primo e secondo comma, cod.civ. con riguardo al riconoscimento ed alla quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore della signora P. . La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della drastica riduzione del patrimonio del M. intervenuta negli ultimi anni e del progressivo incremento del patrimonio della moglie, né del carattere solo tendenziale dell’obiettivo di assicurare al coniuge avente diritto all’assegno di mantenimento il medesimo tenore di vita di cui lo stesso ha goduto in costanza di matrimonio.
7. – Con il quinto motivo si denuncia ancora violazione dell’art. 156 cod.civ. per avere la Corte di merito fatta propria la quantificazione dell’assegno di mantenimento compiuta dal giudice di prime cure in termini astratti ed ipotetici, omettendo di ricondurla ai fattori concreti che connotavano il caso di specie. Nessun accertamento sarebbe stato compiuto in ordine all’effettiva situazione patrimoniale di entrambi i coniugi: la Corte si sarebbe limitata ad una generica ricostruzione del passato successo imprenditoriale del M. , senza disporre indagini e senza nemmeno aderire alla sua richiesta di emissione di un ordine di esibizione degli estratti conto di tutti i conti correnti bancari e titoli intestati alla P. .
8. – Con il sesto motivo si deduce contraddittoria motivazione sul fatto controverso del peggioramento delle condizioni economiche del M. .
La Corte di merito avrebbe, da un lato, rigettato le istanze di quest’ultimo per dimostrare tale peggioramento, e, dall’altro, ritenuto che lo stesso non lo avesse provato.
9. – Con il settimo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod.civ. Il giudice di secondo grado avrebbe violato il principio praesumptio de praesumpto non admittitur, supponendo che il M. avesse mantenuto la precedente situazione patrimoniale – non già sulla base di fatti provati, ma di elementi presuntivi e congetture.
10. – I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi, siccome diretti tutti a contestare la spettanza e la misura dell’assegno di mantenimento posto a carico del ricorrente, sono privi di fondamento.
La Corte territoriale ha confermato la debenza e la quantificazione dell’assegno in favore della signora P. già operata dal primo giudice sulla base del materiale probatorio acquisito, ricostruendo la situazione patrimoniale del M. alla stregua dell’attività imprenditoriale da lui svolta, delle partecipazioni in società estere, degli accantonamenti esteri, emergenti anche dall’acquisto di una casa a Londra per il figlio.
Quanto al convincimento espresso dal giudice di secondo grado in ordine alla non veridicità delle più recenti dichiarazioni dei redditi dello stesso M. , esso ha trovato una specifica spiegazione, tra l’altro, nella persistente attività della azienda di famiglia, che, nonostante l’asserita crisi in cui verserebbe, dispone di circa 120 dipendenti, oltre che nella rinuncia del M. , per effetto della risoluzione di un contratto di locazione di un immobile di sua proprietà, ad un canone di Euro 190.000,00 annui.
In definitiva, la statuizione della Corte ambrosiana confermativa della decisione di primo grado quanto alla spettanza ed entità dell’assegno di mantenimento risulta conforme alla normativa la cui violazione è invocata dal ricorrente, ed esaustivamente motivata.
11. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del principio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo, devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
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