Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 27 settembre 2011, n. 34930. Il prolungamento dei termini di cui all’art. 174 c.p.p. non trova applicazione quanto all’avviso al difensore, che non rientra nel novero delle persone, diverse dall’imputato, per le quali l’autorità giudiziaria procedente emette “ordine o invito”.

Il testo integrale

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I PENALE
Sentenza 27 settembre 2011, n. 34930

Svolgimento del processo
1. Con ordinanza 8 luglio 2010 il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha rigettato la richiesta di riesame presentata avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere applicata in data 10 giugno 2010 dal G.i.p. dello stesso Tribunale a B.M., indagato in ordine ai reati di omicidio volontario in danno di R.A., commesso in (OMISSIS), e di porto illegale di una pisola, entrambi aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7. 1.2. Il Tribunale, dopo aver premesso che l’indagato nelle more della trattazione del procedimento era stato sentito dal Magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione, ribadendo la sua assoluta estraneità ai fatti e chiedendo di essere messo a confronto con C.C. che l’aveva accusato dell’omicidio, procedeva alla disamina delle ragioni di doglianza della difesa, sviluppate con la richiesta di riesame e la successiva memoria, e riteneva:
– infondata l’eccezione preliminare di nullità dell’avviso d’interrogatorio dinanzi al G.i.p. del Tribunale di Catanzaro, che era stato delegato dal G.i.p. del Tribunale di Napoli che aveva emesso la misura cautelare, rilevando che – la ricezione dell’avviso, non contestata esplicitamente, era provata;
– l’avviso al difensore poteva essere dato anche a mezzo fax, nulla prevedendo l’art. 294 cod. proc. pen. in merito alle formalità dell’avviso;
– la valutazione della tempestività dell’avviso condotta in concreto permetteva di rilevare che l’avviso al difensore, fatto il 23 giugno 2010 alle ore 1,57 (rectius: 12,57) per l’interrogatorio fissato alle ore 9,30 del giorno successivo, era stato tempestivo, atteso il lasso temporale e la distanza (poco più di quattrocento km.) tra il luogo dell’interrogatorio e lo studio del professionista e tenuto conto della possibilità per quest’ultimo di chiedere un differimento per sue difficoltà personali;
– infondata la richiesta difensiva volta a contestare la sussistenza del quadro indiziario che era “granitico” in virtù delle circostanze emerse.
1.3. Il fatto cui si riferiva l’ordinanza custodiale era l’omicidio di R.A., avvenuto il (OMISSIS) nel corso della faida fra il clan Di Lauro e i cd. scissionisti, mentre la vittima si trovava nell’esercizio commerciale gestito da L.S., che dalle indagini successive era risultato essere la vittima designata dell’agguato in quanto nipote del boss P.R., passato dal clan Di Lauro ai cd. scissionisti.
Il Tribunale ricostruiva la vicenda e i dati emersi dalle indagini svolte e riteneva fondata la prognosi di reità del B. sulla base di plurimi elementi indiziari tra loro convergenti.
In merito alla dinamica del fatto e alle circostanze di tempo e di luogo di consumazione dello stesso venivano richiamate le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti ( Ba.
L., F.G., S.V., Ri.Ed., Ri.Pa. e A.N., moglie della vittima), le emergenze dei rilievi e degli accertamenti tecnici e fotografici esperiti sul luogo dell’accaduto e le risultanze degli accertamenti medico-legali da cui emergeva che la vittima era stata raggiunta da quattro colpi d’arma da fuoco – tre al capo e uno alla spalla destra – che ne avevano provocato la morte.
La riconducibilità del fatto al clan Di Lauro veniva argomentata sulla base della relazione di servizio redatta il (OMISSIS) da due carabinieri del R.O.S., maresciallo capo Co. e appuntato C., che, transitando casualmente in prossimità del luogo del fatto, avevano avuto modo di notare B.M., dagli stessi conosciuto come persona appartenente alla criminalità organizzata, appostato nei pressi del negozio ove era avvenuto l’agguato, e di rilevare gli estremi della targa del motociclo su cui viaggiava.
Elementi di conforto a tale impostazione investigativa venivano individuati nella conversazione intercorsa tra P.R. (appartenente al clan dei cd. scissionisti e ristretto in carcere) e il nipote L.S., oggetto dell’intercettazione ambientale dell’8 febbraio 2005, nel contenuto del colloquio (riportato nella sentenza del 12 dicembre 2008 della Corte d’assise di Napoli, relativa all’omicidio di V.G.) intercorso il 5 novembre 2004 tra D.L.U. e Pe.Lu. (entrambi alleati di D. L.C.), evidenziante la fluidità del gruppo Di Lauro e le critiche mosse a D.L.M., ritenuto inadeguato al ruolo di capo per essersi circondato di ragazzi inesperti da lui stesso armati, e, infine, nelle sentenze del 4 aprile 2006 del G.u.p. del Tribunale di Napoli e del 12 dicembre 2008 della Corte d’assise di Napoli, contenenti la ricostruzione degli omicidi posti in essere dal gennaio 2004 alla primavera del 2005. 1.4. Il Tribunale richiamava, desumendone la natura di riscontro estrinseco individualizzante, le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia C.C., sulla base delle quali, rese dopo la presentazione spontanea dello stesso il 31 dicembre 2009 ai carabinieri con la volontà di iniziare un percorso di collaborazione, era stata disposta nel febbraio 2010 la riapertura delle indagini, già archiviate, nei confronti – tra gli altri – di B.M. indicato come l’esecutore materiale dell’omicidio.
Il C., affiliato organicamente al clan Di Lauro contestualmente all’arresto di D.L.C. il 21 gennaio 2005, e, quindi, tre giorni prima dell’omicidio di R. e controllato in compagnia del B. due giorni del detto episodio delittuoso, aveva partecipato a una riunione, svoltasi intorno al 24 gennaio 2005, nel corso della quale M.C. e Pi.Gi. entrambi deceduti) e T.N. avevano mostrato un foglio, contenente un elenco di nomi, ricevuto da D.L.C., e avevano comunicato la decisione di uccidere un parente di P. che lavorava in un centro di telefonia. In tale contesto il B. era stato inviato, con altre due persone, a localizzare il negozio in cui operava la vittima prescelta e, subito dopo, era iniziata la fase organizzativa dell’omicidio che aveva comportato anche la consegna al B. di un documento con false generalità.
Il collaboratore aveva anche riferito che l’omicidio aveva coinvolto, per errore, una persona diversa da quella individuata, per essere, secondo quanto detto dal B., la vittima l’unica persona presente all’interno del negozio; aveva aggiunto che non era possibile che M. e Pi. avessero deciso di commettere tale delitto senza il consenso di D.L.M., che aveva assunto la reggenza del gruppo dopo l’arresto del fratello D.L.C. e lo rappresentava a tutti gli effetti, e aveva precisato di avere appreso da Pi.Gi. che D.L.M. era stato informato dell’errore di persona nell’esecuzione dell’omicidio.
1.5. Ad avviso del Tribunale, andava valutata positivamente l’attendibilità intrinseca del detto collaboratore per la sua intraneità al contesto criminale gravitante nel clan Di Lauro, nel quale era maturato il mandato omicidiario, e per la sua frequentazione con B.M., che l’aveva confermata dinanzi al Magistrato di sorveglianza; per essersi il medesimo accusato di essere entrato a far parte del clan Di Lauro tre giorni prima dell’omicidio R. e dell’omicidio di Ca.Nu., del quale non era indagato, e che ha dichiarato di avere commesso con il B., condannato per detto reato dalla Corte d’assise di Napoli con sentenza del 18 novembre 2009; per essersi lo stesso costituito spontaneamente in assenza di provvedimenti restrittivi e per la coerenza e lucidità della ricostruzione delle vicende relative all’omicidio di R.A.
1.6. Le dichiarazioni del collaboratore C. erano supportate nei confronti del B., secondo il Tribunale, da una pluralità di elementi di riscontro:
– osservazione da parte dei carabinieri dell’ingresso del predetto alle ore 12,45 del giorno dell’omicidio (avvenuto alle ore 13,00 circa) nel locale a fianco del negozio di L.S., coincidente con la fase del sopralluogo indicata dal collaboratore;
– identificazione da parte dei carabinieri del ciclomotore fermo sulla strada, in corrispondenza di una traversa nei pressi del detto negozio, come detto dal collaboratore, con una persona a bordo, poi allontanatasi con il predetto, con il ciclomotore in uso allo stesso il (OMISSIS);
– assoluta somiglianzà delle fattezze fisiche dello stesso B. con quelle indicate dalla guardia giurata che aveva visto l’allontanamento dell’omicida, da valutare, in mancanza di autonomo valore decisivo, nella complessità dei dati raccolti, e non contrastate dalla diversità del giubbino rilevato dai Carabinieri “in momenti contigui ma diversi” e dall’assenza d’impronte digitali sulla porta e di tracce di DNA sul casco integrale rinvenuto in zona, riferibili all’indagato;
– controllo del medesimo B. il (OMISSIS) con documento d’identità falso intestato, con la sua foto, a I.A.;
– dichiarazioni dei collaboratori Pr.Ma., p. m., Pi.An. e pi.gi., già positivamente valutate in plurimi provvedimenti giudiziari, con riguardo alla ricostruzione degli equilibri all’interno del clan Di Lauro, e specificatamente le dichiarazioni di Pr.Ma. in merito alla qualità di D.L.C. quale mandante dell’omicidio del parente di P.R.
1.7. Le esigenze cautelari trovavano, secondo il Tribunale, sicuro fondamento nella gravità dei fatti, nell’efferatezza dimostrata nel progettare l’omicidio e nella pericolosità sociale desumibile dal curriculum criminale.
Sulla base di tali elementi la misura coercitiva della custodia cautelare era l’unica idonea a tutelare le esigenze della collettività e proporzionata all’entità dei fatti e alla sanzione irroganda all’esito del giudizio.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, B.M., che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla tempestività e regolarità dell’avviso del suo interrogatorio, e violazione delle norme processuali collegate all’esercizio del diritto di difesa, e denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 174 cod. proc. pen. In particolare, si deduce che il Tribunale ha omesso di motivare con riferimento a due censure sottoposte al suo esame: l’una attinente alla impossibilità per la difesa, in relazione ai tempi ristrettissimi connessi alla notifica dell’avviso, di prendere visione degli atti posti a sostegno dell’ordinanza custodiate, e l’altra alla impossibilità di leggere il nome del Giudice che aveva disposto l’incombente.
Secondo la difesa, che solleva al riguardo questione di legittimità costituzionale, la limitazione del prolungamento dei termini di comparizione, ai sensi dell’art. 174 cod. proc. pen., solo per l’imputato e gli altri soggetti che non risiedono nel circondario e per le persone destinatane di intimazione o di ordine crea disparità di trattamento nei confronti dei difensori dell’imputato o dell’indagato destinatari di avviso, oltre a violare la norma costituzionale che sancisce il diritto di difesa.
Nè, secondo la difesa, la presentazione di istanza di differimento, indicata come possibile soluzione dal Tribunale della libertà era una strada percorribile, potendo il difensore non conoscere l’esito dell’istanza trasmessa via fax e apprendere, a interrogatorio avvenuto, i particolari dell’imputazione provvisoria, senza poterli utilizzare. Nè la notifica era stata regolarmente effettuata, in quanto, disposta per mezzo della P.G., era stata fatta via fax, senza la prova della disposta autorizzazione della trasmissione di atti con mezzi tecnici diversi.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla violazione dell’obbligo di motivazione, travisamento del fatto deducibile dal testo del provvedimento impugnato e carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Secondo il ricorrente, l’ordinanza impugnata, in cui manca la convergenza del molteplice, non ha evidenziato l’esistenza di un quadro indiziario coerente alle risultanze d’indagine e non ha considerato evenienze a lui favorevoli, allegate e indicate.
In particolare, si deduce che il convincimento del Tribunale, alla stregua dello stesso testo dell’atto impugnato, ha travisato il dato di fatto attinente al vaglio dell’attendibilità intrinseca del collaboratore di giustizia C.C., che non poteva essere fatto dalla Corte d’assise di Napoli che aveva condannato il ricorrente per l’omicidio Ca. un mese prima dell’inizio della collaborazione dello stesso C..
L’attendibilità intrinseca del collaboratore non poteva neppure derivare dalla circostanza che lo stesso aveva iniziato da libero la sua collaborazione, potendo essere molteplici le ragioni di detta collaborazione, oltre a quelle riportate nel verbale illustrativo del 18 gennaio 2010, dal quale non erano rilevabili, in quanto stralci omissati, motivi di risentimento del collaboratore verso l’indagato o altri; nè il riscontro alle dichiarazioni del collaboratore poteva derivare dalla ritenuta intraneità dello stesso indagato al gruppo Di Lauro, oggetto di altro processo e non probativa del ruolo dell’indagato nell’omicidio, mentre è stata omessa ogni attività di riscontro in merito ai presenti alla “ideazione del delitto”, che avrebbe consentito di rilevare, come dedotto dalla difesa, che Lo.Vi. indicato come concorrente nel delitto era detenuto e che l’unico dei presenti all’ideazione rimasto vivo, T.N., non era stato raggiunto da provvedimento cautelare.
La difesa censura, infine, la valutazione fatta dal Tribunale con riferimento al materiale indiziario, quanto alla somiglianza proposta dall’unico teste, che aveva visto l’omicida, riferibile a un numero elevatissimo di persone, all’abbigliamento indossato dal “killer solitario”, al ciclomotore utilizzato dall’indagato e alla irrilevanza delle notazioni difensive in merito al prelievo delle impronte papillari e del DNA sul materiale trovato sul casco.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione.
2. Quanto al primo motivo, sono destituite di fondamento le doglianze concernenti le modalità e la tempestività dell’avviso al difensore dell’avviso dell’interrogatorio dell’indagato da parte del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro su delega del G.i.p. del Tribunale di Napoli, che aveva emesso la misura cautelare.
2.1. Questa Corte ha più volte affermato che in tema d’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare, poichè l’art. 294 cod. proc. pen. prevede che l’avviso sia dato al difensore senza prescriverne la notifica e senza fissare modalità particolari di effettuazione, può essere utilizzato qualunque strumento idoneo a comunicare i dati necessari, e quindi anche a mezzo telefono o mediante telefax, senza che sia necessaria l’osservanza delle forme di cui all’art. 149 cod. proc. pen. con la spedizione del telegramma confermativo, poichè l’adempimento non si inserisce in un procedimento di notifica e incombe sul difensore l’onere di apprendere il contenuto essenziale degli atti trasmessi e di ascoltare le comunicazioni memorizzate (tra le altre, Sez. 6, n. 26719 del 21/03/2003, dep. 19/06/2003, Stelo, Rv. 227707; Sez. 4, n. 2341 del 07/05/2003, dep. 23/01/2004, Leone, Rv. 227409, e, da ultimo, Sez. 5, n. 37283 del 01/07/2010, dep. 19/10/2010, Visone, Rv. 248637).
Tali modalità di effettuazione dell’avviso al difensore, che non incontrano limiti di utilizzo anche da parte della P.G., supponendo solo l’urgenza della comunicazione per la ristrettezza e la perentorietà dei termini previsti, sono state ritenute valide ed efficaci da questa Corte, che ha indicato come strumenti idonei anche il fonogramma e il telegramma e ha ritenuto sussistente l’onere del difensore di rendere attuabile la ricezione degli atti che lo riguardano e di assicurarsi della perfetta funzionalità degli apparecchi di cui è dotato il proprio studio professionale, anche in tema di avviso al difensore dell’udienza di convalida e per il contestuale giudizio direttissimo (Sez. U., n. 39414 del 30/12/2002, dep. 22/11/2002, Arrivoli, Rv. 222554; Sez. 4, n. 12252 del 19/01/2005, dep. 30/03/2005, Stramaglia, Rv. 231214), e in tema di avviso al difensore dell’udienza nel procedimento di riesame (Sez. 4, n. 18937 del 23/02/2004, dep. 22/04/2004, Bonetti e altro, Rv. 229405; Sez. 1, n. 37200 del 07/07/2004, dep. 22/09/2004, Cadarelli, Rv. 229980; Sez. 4, n. 16369 del 17/12/2007, dep. 21/04/2008, Pagliuca, Rv. 239530).
2.2. Nella specie, al difensore è stato dato avviso a mezzo fax alle ore 12,57 del 23 giugno 2010 dell’interrogatorio di B.M. fissato per il 24 giugno 2010 alle ore 9.30. Di tale avviso, valido ed efficace alla luce dei principi di diritto suddetti che il Collegio condivide, il difensore ha avuto anche conoscenza effettiva, come dallo stesso ammesso e riscontrato dal Tribunale che ha dato atto della produzione da parte della difesa della copia dell’avviso e della indicazione da parte della stessa dei termini di spedizione del medesimo.
2.3. Quanto alla tempestività dell’avviso, si rileva che l’art. 294 c.p.p., comma 4 prevede che del cd. interrogatorio di garanzia “è dato tempestivo avviso” al pubblico ministero e al difensore, che ha l’obbligo di intervenire. Il successivo comma quinto si limita a disporre che per gli interrogatori da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice che non ritenga di procedervi personalmente, richiede il giudice per le indagini preliminari del luogo.
In mancanza di statuizioni in ordine al termine con cui deve essere dato avviso al difensore dell’espletamento dell’atto e non potendo applicarsi analogicamente per diversità di ratio i termini previsti per attività di diversa natura deve ritenersi applicabile il principio della tempestività di detto avviso, e quindi ritenersi valido ed efficace l’avviso che abbia posto il difensore nelle condizioni di intervenire all’interrogatorio dell’indagato, anche eventualmente a mezzo sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen., o di chiedere che l’atto sia ritardato per il tempo strettamente necessario ad assicurare la sua presenza (tra le altre, Sez. 6, n. 2909 del 10/07/1995, dep. 21/09/1995, D’Avino, Rv. 202461; Sez. 6, n. 3559 del 29/09/2000, dep. 22/11/2000, Ekwelum e altri, Rv. 217387; Sez. 1, n. 38611 del 11/10/2005, dep. 20/10/2005, Jerbi, Rv. 232556)
2.4. Nel caso in esame, dalla documentazione prodotta dal ricorrente, e riscontrata in sede di riesame, risulta che il difensore è stato avvisato, come già detto, a mezzo fax il 23 giugno 2010 alle ore 12,57, del compimento per rogatoria dell’interrogatorio dell’indagato il 24 giugno 2010 alle ore 9,30.
Il lasso temporale di circa ventiquattro ore tra l’avviso e l’atto da espletare e la distanza di circa quattrocento chilometri tra lo studio del professionista e il luogo dell’interrogatorio fondatamente sono stati ritenuti dal Tribunale tali da rendere assolutamente tempestivo l’avviso, attesa la sufficienza del termine ad assicurare al difensore di partecipare all’espletamento dell’atto e di richiedere, opponendosi alla sua presenza difficoltà di carattere personale e non oggettive, il differimento dell’atto per il “tempo strettamente necessario” per essere presente.
Nè, attesi gli adempimenti esecutivi conseguenti all’esecuzione dell’ordinanza cautelare e i tempi e le modalità di espletamento dell’interrogatorio, previsti dal codice di rito, colgono nel segno le deduzioni del difensore, che nessuna richiesta di differimento ha presentato, in merito ai tempi occorrenti per accedere agli atti di indagine, organizzare la difesa e conoscere le ragioni dell’indagato.
2.5. Dalla dedotta impossibilità di leggere il nome del Giudice che ha disposto l’interrogatorio non deriva alcuna invalidità dell’atto, richiedendo il codice, in genere, tra i requisiti formali del provvedimento l’indicazione, nell’intestazione, dell’autorità che l’ha pronunciato e non necessariamente l’indicazione del nominativo del giudice da cui la decisione promana (Sez. 6, n. 3671 del 28/11/1996, dep. 13/03/1997, Graviano, Rv. 207159; Sez. 6, n. 1355 del 15/04/1998, dep. 09/06/1998, Ferretti L, Rv. 211086).
2.6. La difesa ha anche sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 174 cod. proc. pen. sul rilievo che la limitazione del prolungamento dei termini di comparizione, previsto da detta disposizione, solo per l’imputato e gli altri soggetti che non risiedono nel circondario e per le persone destinatane d’intimazione o di ordine, e non per i difensori dell’imputato o dell’indagato destinatari di avviso, crea disparità di trattamento ed è in contrasto con il diritto di difesa, costituzionalmente garantito.
La doglianza è manifestamente infondata.
L’art. 174 cod. proc. pen., invero, stabilisce, nel caso di diversità del luogo di residenza da quello in cui ha sede l’autorità procedente, al primo comma, il prolungamento dei termini di comparizione per l’imputato e, al secondo comma, estende tale disposizione alla “presentazione di ogni altra persona per la quale l’autorità procedente emette ordine o invito”.
Questa Corte ha già affermato che detto prolungamento dei termini non trova applicazione quanto all’avviso al difensore, che non rientra nel novero delle persone, diverse dall’imputato, per le quali l’autorità giudiziaria procedente emette “ordine o invito” (Sez. 4, n. 2202 del 23/06/1999, dep. 04/08/1999, Brando, Rv. 214585).
Tale principio di diritto, condiviso dal Collegio, esclude che possa profilarsi alcun dubbio sui limiti di applicazione della norma, in ogni caso estranea ai termini dell’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare.
3. Quanto al secondo motivo, che attiene al quadro indiziario di colpevolezza, si rileva che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che non valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511), e la loro valutazione, a norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, deve procedere applicando, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F., n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).
Si è, al riguardo, affermato che, se la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di “prova” idoneo a integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare, e si riferisce al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, è problema diverso quello delle regole da seguire, in sede di apprezzamento della gravità indiziaria ex art. 273 cod. proc. pen., per la valutazione dei dati conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598).
3.1. Relativamente alle regole da seguire, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1 bis nel delineare i confini dei libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4 pone un espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.
Con specifico riferimento alla chiamata di correo, l’indicata norma richiede, infatti, che tale elemento conoscitivo per valere quale grave indizio di colpevolezza deve essere apprezzato nella sua attendibilità intrinseca e nella sua capacità dimostrativa e persuasività probatoria per mezzo dei riscontri esterni individualizzanti, inerenti alle modalità oggettive del fatto descritto dal chiamante e soggettivamente indirizzati, coerentemente agli “effetti rigorosamente ad personam” del provvedimento cautelare al quale la valutazione è strumentale, fermo restando che detta valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento de libertate e, quindi, come già detto, allo stato degli atti, sulla base di materiale conoscitivo ancora in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma l’elevata probabilità di colpevolezza del chiamato (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598, citata).
3.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che a esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331, e, da ultimo, Sez. 1. n. 1842 del 11/11/2010, dep. 21/01/2011, non massimata).
3.3. Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti e l’indicazione del quadro indiziario a carico dell’indagato, operate dal Tribunale, sono conformi ai principi di diritto suddetti, congrui e coerenti con le acquisizioni processuali richiamate nella decisione, e conformi ai canoni della logica e della non contraddizione.
3.4. Il Tribunale, infatti, esattamente interpretando le norme applicate e dando conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, sorretta da logica motivazione, ha ritenuto sussistente a carico del ricorrente una solida piattaforma indiziaria ancorando il proprio giudizio a elementi specifici risultanti dagli atti, dalla cui valutazione globale, condotta anche alla luce delle deduzioni difensive, ha tratto un giudizio in termini di qualificata probabilità circa l’attribuzione dei reati contestati al predetto.
Sono state, infatti, valorizzate:
– quanto alla dinamica del fatto omicidiario e alle circostanze di tempo e di luogo di consumazione dello stesso, le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, le emergenze dei rilievi e degli accertamenti tecnici e fotografici esperiti sul luogo dell’accaduto e le risultanze degli accertamenti medico-legali;
– quanto alla riconducibilità del fatto al clan Di Lauro, le emergenze della relazione di servizio dei carabinieri del R.O.S. del (OMISSIS), della conversazioni intercettate l’8 febbraio 2005 e il 5 novembre 2004 e delle sentenze del 4 aprile 2006 del G.u.p. del Tribunale di Napoli e del 12 dicembre 2008 della Corte d’assise di Napoli e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia C. C., Pr.Ma., p.m., Pi.An. e pi.gi.;
– quanto alla riconducibilità del fatto a B.M. le dichiarazioni del collaboratore di giustizia C.C. – la cui attendibilità intrinseca ha formato oggetto della condivisa valutazione da parte del G.i.p. e dell’autonoma valutazione svolta dall’ordinanza impugnata – ampiamente richiamate, come le ulteriori risultanze acquisite, nella premessa in fatto di questa sentenza, e le risultanze degli accertamenti investigativi, costituenti anche specifico riscontro alle dichiarazioni del collaboratore C., svolti dai carabinieri, articolati nella osservazione dell’ingresso del B. alle ore 12,45 del giorno dell’omicidio (avvenuto alle ore 13,00 circa) nel locale a fianco del negozio di L.S. all’interno del quale l’omicidio è stato commesso, nella identificazione del ciclomotore fermo sulla strada nei pressi del detto negozio con una persona a bordo, poi allontanatasi con lo stesso B., con il ciclomotore in uso a quest’ultimo il (OMISSIS), nell’assoluta somiglianza delle fattezze fisiche dello stesso B. con quelle indicate dalla guardia giurata che aveva visto l’allontanamento dell’omicida, nell’effettivo contatto avuto dai carabinieri con il padre del medesimo, nella sua irreperibilità dopo il fatto, e nel controllo del medesimo B. il (OMISSIS) con documento d’identità falso intestato, con la sua foto, ad altra persona.
Si è ritenuto che il dato delle fattezze fisiche del B. riferibili a quelle del killer andava valutato, in mancanza di autonomo valore decisivo, nella complessità degli elementi raccolti a carico, non contrastati dalla diversità del giubbino, rilevato dalla guardia giurata e dai carabinieri “in momenti contigui, ma diversi”, e dall’assenza di impronte digitali del B. nei pressi del negozio e di tracce del suo DNA sul casco integrale rinvenuto in zona, trattandosi di dati neutri, per la repentinità dell’azione omicidiaria e il difetto di prova della chiusura della porta del negozio e per la non certa riconducibilità del casco agli esecutori dell’omicidio e al B. in particolare.
3.5. A fronte dell’articolato giudizio espresso dal Tribunale, il ricorrente ha opposto infondate doglianze, prospettate come dimostrative della illegittimità e inadeguatezza della motivazione.
3.5.1. Sono destituite di fondamento innanzitutto le doglianze che si appuntano sulla dedotta non valutata inattendibilità del collaboratore C.C.
Secondo il ricorrente, il Tribunale è incorso in un travisamento del dato di fatto attinente al vaglio dell’attendibilità intrinseca del detto collaboratore per aver ritenuto che lo stesso fosse stato fatto dalla Corte d’assise di Napoli che aveva condannato esso ricorrente per l’omicidio Ca. un mese prima dell’inizio della collaborazione dello stesso C.
Tali deduzioni intendono, tuttavia, conferire rilevanza decisiva a un dato di fatto che il Tribunale ha richiamato quale ulteriore e conclusivo elemento dell’ampia, articolata e già esaustiva disamina autonomamente svolta circa l’attendibilità del collaboratore C., autoaccusatosi anche dell’omicidio C. commesso unitamente al B. (condannato per tale fatto dalla Corte d’assise di Napoli), e contestato dalla difesa per le discrasie emerse in detto processo.
Si tratta, pertanto, di deduzioni che non incidono sul solido apparato argomentativo che supporta l’ordinanza impugnata.
3.5.2. Le valutazioni del Tribunale contenute nella detta ordinanza, per la loro adeguatezza e congruenza logica, quanto al profilo dell’attendibilità intrinseca del collaboratore e quanto al profilo della credibilità e coerenza del suo narrato, sono immuni anche dalle ulteriori censure sviluppate con lo stesso motivo, e quindi da quelle che riguardano la genesi della collaborazione, fondate sulla generica possibile pluralità delle ragioni della medesima, da quelle che riguardano l’intraneità dell’indagato al gruppo Di Lauro, disgiunte dal rilievo della intraneità del collaboratore a detto gruppo e della riconducibilità allo stesso del fatto omicidiario, da quelle relative ai presenti alla “ideazione del delitto”, affidate alla mera indicazione fattane dallo stesso ricorrente, e da quelle che vedono nella sola parola del collaboratore priva di riscontri il collegamento del B. al fatto, escludendo la sussistenza dei plurimi, sussistenti e indicati, riscontri di carattere individualizzante.
3.5.3. Del tutto infondate sono anche le censure che attengono alla valutazione fatta dal Tribunale con riferimento al materiale indiziario, quanto alla somiglianza proposta dall’unico teste, che aveva visto l’omicida, riferibile a un numero elevatissimo di persone, all’abbigliamento indossato dal “killer solitario”, al ciclomotore utilizzato dall’indagato, alla irrilevanza delle notazioni difensive in merito al prelievo delle impronte papillari e del DNA sul materiale trovato sul casco.
Si tratta di censure di merito volte a opporre alla piattaforma indiziaria ricostruita e congruamente argomentata in sede cautelare sulla base di specifici dati fattuali, dando adeguata risposta alle medesime deduzioni difensive, una diversa interpretazione delle risultanze delle indagini, una diversa valutazione della loro concludenza e una generica e infondata lettura alternativa della vicenda processuale, precluse in sede di legittimità. 4. Il ricorso, essendo infondato in ogni sua deduzione, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento del Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

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