Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 26 novembre 2013, n. 26424
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 9.02.2004 P..T. citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, F.M.S. , con cui aveva convissuto more uxorio nel periodo decorso dal 1993 al 2002 e generato due figli, chiedendo sia la declaratoria 1) dell’avvenuta costituzione di una famiglia di fatto e 2) dell’avvenuto concorso di entrambi i conviventi nella spesa sostenuta per l’acquisto della casa in cui essi avevano convissuto dal 1999 e sia 3) la condanna della convenuta al pagamento in suo favore della metà del valore dell’immobile acquistato o, in subordine, 4) della metà della somma erogata per l’acquisto del bene o, in ulteriore subordine, 5) di tutte le somme da lui sborsate. L’attore esponeva tra l’altro che l’immobile, al pari del mutuo, era stato intestato alla convenuta per motivi fiscali ed era stato acquistato per il corrispettivo dichiarato in rogito di £ 440 milioni ed effettivo di L. 620 milioni, che tale corrispettivo era stato pagato in parte, e cioè per l’importo di L. 139.622.610 da lui, che aveva altresì sborsato la complessiva somma di L. 28.700.000 per acquisto di una autovettura, anch’essa intestata alla convivente, oltre che per l’arredamento della cucina, per la tinteggiatura della casa e per l’installazione dell’antifurto. La F. , costituitasi in giudizio, eccepiva la non ripetibilità delle somme predette in quanto corrisposte in adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., dato lo stato di convivenza tra le parti; concludeva aderendo alla domanda sub 1) dell’attore e chiedendo il rigetto delle altre pretese.
Con sentenza del 3-9.11.2006 il Tribunale accoglieva la domanda subì), comune ad entrambe le parti ed inerente alla declaratoria dell’intervenuta costituzione tra di loro di una famiglia di fatto, nonché quella sub 2) del T. , osservando che non era contestato che egli avesse contribuito all’acquisto dell’immobile. Respingeva invece la domanda sub 3), fondata sulla equiparazione della famiglia di fatto a quella legittima, ritenendo le due situazioni non assimilabili e conseguentemente non applicabile la normativa della comunione legale (artt. 177 e segg. c.c.). Il primo Giudice osservava poi che non potevano essere accolte neppure le domande restitutorie dell’attore, inquadrabili nello schema dell’azione generale di arricchimento delineata dall’art. 2041 c.c..
Con sentenza del 27.05.2011 la Corte di appello di Milano in parziale accoglimento del gravame del T. , condannava la F. a pagargli la somma di Euro 73.879,412, con interessi legali dalla domanda.
La Corte territoriale osservava e riteneva che:
– non potessero in effetti essere accolte le domande introduttive sub 3 e 4, volte rispettivamente alla condanna della convenuta al pagamento della metà del valore dell’immobile acquistato nel 1999 o, in subordine, della metà della somma erogata per l’acquisto del medesimo bene, in quanto presupponevano l’applicabilità del regime patrimoniale legale proprio della famiglia fondata sul matrimonio e non estensibile alla famiglia di fatto, segnatamente in relazione alla normativa sulla comunione legale;
– l’appello del T. andava invece parzialmente accolto relativamente ai motivi inerenti al rigetto delle sue domande subordinate di restituzione degli attuati esborsi;
– il primo giudice aveva ricondotto le pretese restitutorie all’azione generale di arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. e le aveva disattese ritenendo la ricorrenza di una giusta causa di ritenzione delle dazioni, per il fatto che erano state effettuate in esecuzione dell’obbligazione naturale derivante dalla convivenza more uxorio delle parti e dato anche che la loro misura era proporzionata ai doveri morali e sociali assunti dal T. con l’instaurazione di tale rapporto;
– il T. aveva contestato la proporzionalità tra le somme da lui sborsate ed i doveri assunti nei confronti della sua compagna;
– premesso che la F. svolgeva l’attività di ufficiale giudiziario, che all’inizio della convivenza le parti avevano abitato in alloggio di esclusiva proprietà di lei, che la stessa aveva ammesso che lui aveva contributo al pagamento delle rate di mutuo e non contestato specificamente l’entità delle somme da lui pagate, la doglianza dell’appellante era fondata in quanto:
a) le elargizioni del T. erano sproporzionate per eccesso, data la retribuzione da lui percepita quale ufficiale giudiziario (Euro 2.000,00 mensili alla fine della convivenza ossia nel 2002) valutata in rapporto all’entità della somma dallo stesso elargita (L. 139.622.610) ed al prezzo dell’immobile (L. 620 milioni), nonché tenuto conto dell’incontroversa circostanza che lui dovesse corrispondere il contributo al mantenimento di un altro figlio nato dal suo precedente matrimonio;
b) le non contestate ragioni fiscali che avevano consigliato l’intestazione alla convenuta sia del mutuo che della nuova abitazione, portavano inoltre ad escludere il carattere di spontaneità delle prestazioni eseguite dal T. , sicché anche sotto questo profilo le somme in esame non potevano ritenersi corrisposte in adempimento di una obbligazione naturale non ripetibile;
c) dalla ctu risultavano spese £ 56.700.975 tratte dal c.c. contestato n. 817 Carisbo, £ 128.700.000 provenienti dal c.c. Cariplo n. XXXXXXXX anch’esso cointestato ma in titolarità effettiva al solo T. , che pertanto aveva complessivamente effettuato esborsi per L. 157.050.480 (1/2 di L. 56.700.975 + L. 128.700.000), da cui andavano detratte L. 14.000.000 imputabili all’acquisto del veicolo intestato alla F. ed effettuato in relazione ai doveri di mutua assistenza, con un residuo pertanto di L. 143.050.487, pari ad Euro 73.879.411;
d) la prova che il c.c. Cariplo fosse di pertinenza del solo T. emergeva ulteriormente dal fatto che lui lo aveva acceso all’inizio della convivenza, la relativa provvista corrispondeva ai proventi lavorativi da lui incassati nello stesso periodo, da quel c.c. provenivano le rimesse alla moglie separata dell’attore, vi erano giroconti tra i due conti correnti contestati alle parti, dal contenuto degli estratti conto, da assegni bancari ed accrediti provenienti dal T. , dall’assenza di documentazione relativa a detto conto offerta dalla F. , che risultava essere anche titolare di altro c.c. personale;
e) il rilievo della F. , secondo cui se la provvista del c.c. fosse stata riconducibile al solo T. , egli non avrebbe contribuito al sostentamento della famiglia, non appariva condivisibile, considerando che il ctu aveva dato atto che lui aveva percepito nel periodo 1994-2002 compensi per un totale di L. 327 milioni ed aveva versato in totale circa L. 322 milioni, somma nella quale erano compresi gli importi destinati all’acquisto dell’abitazione.
Avverso questa sentenza la F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrato da memoria e notificato il 31.07.2012 al T. che il 25.10.2012 ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso la F. denunzia:
1. “Carenza di motivazione”.
Censura la sua condanna al pagamento, quale indebito arricchimento, della somma di Euro 73.879,412 oltre accessori, deducendo che l’impugnata sentenza è priva di motivazione e comunque dotata di motivazione solo apparente in riferimento sia alla conclusione di non proporzionalità delle dazioni attuate dal T. , in tesi raggiunta considerando solo l’importo da lui corrisposto per l’acquisto dell’immobile e non anche tramite la ponderazione delle specificità del caso, quali pure la durata decennale del rapporto e gli oneri di spesa che gravavano o che avrebbero dovuto gravare sullo stesso, e sia alla ripetibilità totale e non solo parziale degli esborsi.
2. “Carenza di motivazione ed illogicità della motivazione stessa”.
Contesta la conclusione per la quale era risultato provato che tutti i versamenti in contanti effettuati sul c.c. cointestato Cariplo provenissero dal T. , sostenendo che essa invece non era stata dimostrata, essendo stata tratta solo dalla ctu contabile, da prove indiziarie ed apparenti, dalla sua mancata contestazione e dalla sua mancata produzione di documentazione afferente a quel conto. Lamenta inoltre pure l’illogicità delle argomentazioni rispetto al rilievo che ove i prelievi fossero stati destinati all’acquisto della nuova casa, il T. non avrebbe contribuito al mantenimento della famiglia di fatto, posto anche che non risultava alcun prelievo destinato a questo diverso scopo.
I due motivi, suscettibili di esame unitario, non hanno pregio.
La ricorrente pone censure in parte inammissibili perché o mere critiche in fatto, assiomatiche, prive di riferimenti a riscontri probatori emersi nei gradi di merito, o infondate a fronte anche del fatto che era rimasto definitivamente accertato che il T. aveva contributo all’acquisto della nuova abitazione, intestata soltanto a lei. In particolare l’impugnata decisione si pone in aderenza al dettato normativo ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale (in tema cfr Cass. n. 11330 del 2009; n. 3713 del 2003; n. 1007 del 1980; n. 389 del 1975) e si rivela sorretta da irreprensibili argomenti, anche laddove è stata ritenuta provata e non solo non contestata l’ingente entità della dazione attuata dal T. , nonché esclusa la relativa spontaneità e, quindi, pure la sua riconducibilità a liberalità, puntualmente analizzando le condizioni economiche delle parti e gli oneri di mantenimento a carico di lui nonché versificando l’esorbitanza dell’esborso e del prezzo d’acquisto dell’immobile dai limiti della proporzionalità e dell’adeguatezza rispetto all’apprezzato contesto.
Inoltre, come noto, la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 cod. civ.) sia nei confronti dei terzi sia nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto, salvo la prova contraria a carico della parte che deduce una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (cfr, tra le numerose altre, Cass. n. 28839 del 2008). Nella specie la titolarità effettiva in capo al solo T. del conto corrente cointestato alle parti, appare essere stata irreprensibilmente e condivisibilmente desunta da una serie di dati oggettivi inerenti alla provenienza del denaro depositato sul conto ed agli atti di relativa disposizione, e ciò senza nemmeno giustamente omettere la verifica del rapporto delle movimentazioni con gli obblighi gravanti sul medesimo T. , tra cui quello di mantenimento anche del figlio legittimo, nato dal suo precedente matrimonio.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
La F. , soccombente, va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Liquidate con in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la F. al pagamento in favore del T. , delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.300,00 per compenso ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori come per legge.
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