cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 25 febbraio 2015, n. 3802

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 25 giugno 2009 la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto la domanda risarcitoria proposta dalla Società Autolinee Roma – S.A.R. s.r.l. nei confronti del Comune di Roma, in relazione alla riconosciuta illegittimità del diniego del rinnovo della concessione per l’esercizio di talune autolinee.
La Corte territoriale, dopo avere individuato, sulla scorta della disposta consulenza tecnica d’ufficio, il lucro cessante nell’importo di Euro 1.899,49 e il danno emergente nell’importo di Euro 1.519,60, ha determinato l’ammontare della rivalutazione monetaria in Euro 51.945,72 e gli interessi, dalla data della domanda, nella misura del tasso medio di interesse del 4%, da calcolare sulla somma rappresentativa della rivalutazione monetaria media del debito iniziale nel tempo, pari ad Euro 25.972,86.
Avverso tale sentenza la Società Autolinee Roma – S.A.R. s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Resiste con controricorso il Comune di Roma.
La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’ari 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 cod. civ., per avere la Corte territoriale calcolato gli interessi sull’importo rappresentante la media dei valori di rivalutazione monetaria, assumendo, per la relativa decorrenza, la data della domanda e non la data del fatto.
Il primo motivo di ricorso è fondato, giacché la responsabilità extracontrattuale del Comune convenuto, in dipendenza dell’accertata illegittimità del diniego della proroga della concessione per l’anno 1972, comporta, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che gli interessi sulle somme di denaro, liquidate a titolo risarcitorio, decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, in quanto, ai sensi dell’art. 1219, secondo comma, cod. civ., il debitore del risarcimento del danno è in mora (mora ex re) dal giorno della consumazione dell’illecito (v., ad es., (Cass., sez. 3, sentenza del 20 aprile 2009, n. 9338).
2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 cod. civ., per avere la Corte territoriale utilizzato, ai fini del calcolo della rivalutazione e degli interessi, un metodo “ibrido” rispetto a quelli elaborati dalla giurisprudenza, in quanto fondato sull’applicazione di un saggio di interessi del 4%, inferiore a quello legale medio nel periodo di riferimento, ad un importo pari alla metà della somma liquidata all’attualità. La critica è infondata.
Infatti il risarcimento del mancato guadagno provocato dal ritardo nella liquidazione può avvenire attraverso la liquidazione di interessi ad un tasso stabilito dal giudice del merito, valutando tutte le circostanze del caso, fermo restando che gli interessi non – possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma rivalutata, perché la somma dovuta – il cui mancato godimento va risarcito – va aumentata gradualmente nell’intervallo di tempo occorso tra la data del sinistro e quella della liquidazione. In definitiva, i criteri elaborati dalla giurisprudenza (criteri in forza dei quali sull’importo liquidato all’attualità della data della pronuncia possono essere riconosciuti gli interessi compensativi, da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l’equivalente monetario alla data di insorgenza del credito, coincidente con quella dell’evento dannoso, ovvero mediante l’attribuzione di interessi sulla somma liquidata all’attualità ma ad un tasso inferiore a quello legale medio nel periodo di tempo da considerare, ovvero attraverso il riconoscimento degli interessi legali sulla somma attribuita, ma a decorrere da una data intermedia, ossia computando gli interessi sull’importo progressivamente rivalutato anno per anno dalla data dell’illecito: Cass., sez. 2, sentenza del 18 febbraio 2010, n. 3931; v. anche sez. 1, sentenza 7 agosto 2014, n. 17795) esprimono tutti l’esigenza di garantire un computo del danno da ritardo parametrato alla graduale evoluzione nominale del capitale.
Il criterio liquidatorio adottato dal giudice di merito non palesa, rispetto a siffatto obiettivo, alcuna illogicità, né’il ricorrente deduce, al di là della non inquadrabilità dello stesso nei modelli recepiti da altre pronunce, alcun profilo che mostri la razionale inadeguatezza del sistema di calcolo in relazione alle finalità di ristoro che esso deve garantire.
3. Con il terzo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., per non avere la Corte territoriale posto a carico del soccombente Comune gli oneri della consulenza tecnica d’ufficio, sebbene la società ricorrente avesse documentato di avere provveduto all’integrale anticipazione degli importi liquidati a favore del consulente.
Il motivo di ricorso è fondato.
Attraverso la produzione della fattura n. 38 del 2 maggio 2008 e la copia della disposizione di bonifico del 7 maggio 2008, la società ricorrente ha dimostrato di avere interamente anticipato la somma di Euro 6.492.36, a titolo di compenso del consulente tecnico d’ufficio, con la conseguenza che, avendo la Corte d’appello posto le spese di tutti i gradi del giudizio a carico del soccombente Comune, risulta illegittima la mancata considerazione di tale importo nella liquidazione finale.
4. Il quarto e il quinto motivò, per la loro stretta connessione logica, possono essere esaminati congiuntamente.
Con il quarto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 91 cod. proc. civ. e 24 I. n. 794 del 1942, per avere la Corte territoriale, nonostante la produzione di nota specifica con l’indicazione delle spese vive sostenute, nonché dei diritti e degli onorari spettanti, operato una riduzione di tali importi, senza indicate il criterio liquidatorio adottato e lo scaglione tariffario applicato e senza dare puntuale e adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci. Con il quinto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’ari 91 cod. proc. civ., dell’ari 24 della I. n. 794 del 1942 nonché delle tariffe forensi approvate con d.m. 5 ottobre 1994, n. 585 e 8 aprile 2004, n. 127, per il mancato rispetto, da parte della Corte d’appello, dei minimi previsti da queste ultime per la liquidazione degli onorari.
Le critiche sono fondate, in quanto il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata (v., ad es., Cass., sez. 6-2, ordinanza del 30 marzo 2011, n. 7293).
5. Con il sesto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ.,dell’art. 15 delle tariffe forensi approvate con d.m. 5 ottobre 1994, n. 585 e dell’art. 12 delle tariffe approvate con d.m. 8 aprile 2004, n. 127, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi in ordine alla liquidazione delle spese generali.
Il motivo è fondato, dal momento che il rimborso c.d. forfetario delle spese generali costituisce una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge, che spetta automaticamente al professionista difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, dovendosi, quest’ultima, ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente (da ultimo, v., in motivazione, Cass., sez. trib., sentenza del 16 settembre 2011, n. 18894).
6. In definitiva, rigettato il secondo motivo di ricorso e accolti i restanti motivi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il secondo motivo di ricorso, accoglie i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata, in relazione a questi ultimi, e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, demandandole di decidere anche in ordine alla spese del giudizio di legittimità.

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