In merito al rilievo della volontà del minore italiano ai fini di ritenere sussistente il requisito della convivenza con il parente straniero entro il quarto grado che, da un lato, impedisce l’espulsione di quest’ultimo e, dall’altro, gli attribuisce il diritto al permesso di soggiorno, deve ritenersi integrata pienamente la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c) quando la convivenza è frutto di una scelta consapevole, ed avvenga effettivamente con il familiare straniero, non in via meramente eventuale o incidentale, essendo davvero strumentale alla tutela di esigenze ed interessi del minore stesso. In tal caso la manifestazione di volontà a base della convivenza può essere resa dal rappresentante legale del minore.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 23 settembre 2011, n. 19464
Svolgimento del processo
Il Ministero dell’interno ricorre avverso il decreto della corte d’appello di Perugia del 12 novembre 2008 con il quale è stato confermato il decreto del tribunale di Spoleto del 22 aprile 2008 che aveva annullato il rifiuto di permesso di soggiorno per motivi familiari emesso dal Questore di Perugia il 17 aprile 2007, emesso sul rilievo, ritenuto erroneo, dell’irrilevanza della convivenza con una nipote (figlia della sorella) italiana, ma minore di età e pertanto non in grado di esprimere un’idonea volontà. La corte territoriale, premesso che a fronte della mancata distinzione da parte della norma tra maggiorenne e minorenne l’opposta interpretazione farebbe sorgere dubbi di legittimità costituzionale, ha rilevato che nella specie sia i genitori che lo stesso minore hanno espresso davanti al tribunale la volontà di convivere con la parente straniera con la quale la minore stessa ha dichiarato di avere instaurato solidi legami affettivi e consuetudini di vita.
Inoltre la volontà della minore non rileva nella specie come manifestazione di natura negoziale ma come elemento di fatto che concorre alla realizzazione della fattispecie come avviene in altre ipotesi previste dall’ordinamento, ad esempio in materia di affidamento in caso di separazione e divorzio.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Il Procuratore generale, dopo avere rilevato che la fissazione di novanta ricorsi alla pubblica udienza odierna “a preferenza del rito camerale…. rende oggettivamente impossibile un adeguato intervento da parte del Pubblico ministero, per tal via rischiando di ledere fondamentali principi ordinamentali (art. 11 Cost., comma 2; art. 70, comma 2, art. 379 c.p.c., comma 3 e art. 76 ord. giud.) se pure per nobilissime finalità” ha chiesto che il ricorso si dichiarato inammissibile.
La richiesta del p.g. non merita accoglimento.
Quanto alla contestazione della scelta relativa alle modalità di trattazione del presente ricorso nella pubblica udienza invece che in adunanza in camera di consiglio è sufficiente osservare che si tratta di scelta insuscettibile di sindacato in sede processuale e comunque non adeguatamente criticata mediante puntuale allegazioni di ragioni per le quali avrebbero dovuto ritenersi sussistenti i presupposti per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c.. Peraltro non è dato neppure comprendere per quale ragione la trattazione in pubblica udienza di un numero cospicuo di ricorsi renda “impossibile” un adeguato intervento del p.g., non essendo neppure stato dedotta l’intempestività della comunicazione della fissazione dell’udienza che solo avrebbe potuto in astratto giustificare la critica formulata.
Il ricorso, comunque, è ammissibile perchè ritualmente e tempestivamente notificato e depositato e perchè la puntuale formulazione dei motivi, che soddisfa ampiamente l’onere dell’autosufficienza, si conclude con l’indicazione di specifici quesiti di diritto.
Infine il ricorso è stato ritualmente proposto dal Ministero e non dal Questore il cui provvedimento di rigetto della richiesta di permesso di soggiorno è stato annullato(Cass. n. 2793/2002).
2. Con il primo motivo il ricorrente, deducendo la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, art. 2 e art. 320 c.c., afferma che la convivenza con il parente italiano può essere realizzata solo tra persone capaci d’agire ovvero tra soggetti che siano in grado di compiere una scelta libera e consapevole e soprattutto adeguata ai propri desideri e alle proprie esigenze. Nè tale interpretazione violerebbe il principio d’eguaglianza, perchè la legge considera rilevante la convivenza, è cioè la comunione di vita spirituale e materiale, che il minore instaura con i genitori esercenti la potestà, e non la mera coabitazione con parenti diversi.
Con il secondo motivo si deduce un ulteriore profilo di violazione delle norme sopra indicate, consistente nell’avere la corte territoriale attribuito rilievo alla volontà espressa dai genitori del minore, mentre la volontà di stabilire una comunione di vita materiale e spirituale è un atto personalissimo che non può essere posto in essere dal legale rappresentante.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia contraddittoriamente affermato da un lato che la volontà del minore non ha effetti negoziali e dall’altro che possa avere rilievo come elemento fattuale.
3. Il ricorso, che può essere esaminato unitariamente perchè prospetta questioni strettamente connesse non merita accoglimento.
Si deve premettere che, nella specie, ratione temporis è applicabile il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), nel testo anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 94 del 2009.
La questione relativa al rilievo della volontà del minore italiano ai fini di ritenere sussistente il requisito della convivenza con il parente straniero entro il quarto grado che, da un lato, impedisce L’espulsione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e, dall’altro, attribuisce al familiare straniero il diritto al permesso di soggiorno ai sensi del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28 è stata già esaminata da questa Corte. Una prima volta con la sentenza n. 15246 del 2006 che ha affermato che l’art. 19, comma 2, lett. c), pur essendo evidentemente dettato a tutela del diritto al mantenimento dell’unità familiare e del vincolo parentale, deve essere interpretato nel senso che la convivenza stessa deve essere determinata sulla base di una scelta volontaria, che deve escludersi possa essere espressa da un soggetto minore che non abbia la capacità d’agire.
Con la successiva sentenza n. 567 del 2010, tuttavìa, pur ribadendo il principio in precedenza espresso si è precisato in primo luogo che esso non incide sul diritto alla vita familiare del minore in riferimento alla relazione con il genitore straniero, che rientra nella previsione di cui al D.Lgs. n. 286 del 199, art. 30, comma 1, lett. d) e in secondo luogo, che la manifestazione di volontà a base della convivenza può essere resa dal rappresentante legale del minore. In tal modo resta fermo il presupposto della convivenza quale frutto di una scelta consapevole, ma si offre anche effettiva tutela all’interesse del minore quando la convivenza avvenga effettivamente con il medesimo, non in via meramente eventuale o incidentale, e sia davvero strumentale alla tutela di esigenze ed interessi del medesimo.
Non è pertanto necessario, nella specie, esaminare se le affermazioni della sentenza n. 15246/2006, alla luce dei rilievi della dottrina sulla necessità di ridimensionare la portata dell’incapacità negoziale di cui all’art. 2 c.c., con il riconoscimento della capacità del minore di compiere gli atti giuridici con i quali si esplicano i diritti fondamentali della persona e quelli inerenti la vita quotidiana e cioè la sua partecipazione alla vita di relazione, debbano essere riviste tenendo conto del complesso quadro normativo interno (esemplificativamente, con gli artt. 84, 147, 155, come modificato con la L. n. 54 del 2006 e art. 155 sexies introdotto con la stessa legge – nell’interpretazione data da cass. n. 22398/2009, 9094/2007, 6081/2006 secondo le quali il mancato ascolto del minore è causa di nullità del provvedimento che lo riguarda per violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo artt. 165, 244, 250, 252, 264, 273, 284 c.c.; la L. n. 194 del 1978, art. 12; la L. n. 184 del 1984, artt. 7 e 25; con il D.P.R. n. 416 del 1974 e successive modificazioni sugli organi scolastici elettivi e il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 310, comma 4 sulla scelta riavvalersi o non dell’insegnamento della religione cattolica) internazionale (art. 12 della convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176; art. 3 della convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo approvata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata dall’Italia con L. 20 marzo 2003 n. 77; art. 15 della convenzione di Lussemburgo del 20 maggio 1980 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia ai affidamento dei minori e di ristabilimento dell’affidamento e art. 13 della convenzione de L’Aia 25 ottobre 1980 sulla sottrazione internazionale di minori, ratificate con L. 15 gennaio 1994 n. 64; art. 23 del regolamento Ce 2201/2003) che attribuisce rilevanza giuridica alle manifestazioni di volontà del minore relativamente alle decisioni che riguardano la sua vita affettiva e relazionale.
E’ infatti sufficiente dare continuità al più recente orientamento, poichè nella specie la volontà di instaurare e mantenere la convivenza con il parente straniero è stata manifestata non solo dal minore ma anche da entrambi i genitori e pertanto deve ritenersi integrata pienamente la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c).
Nulla sulle spese non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso.
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