La massima
In materia di arbitrato, le modifiche apportate all’art. 829 c.p.c. dalla legge di riforma sono volte a delimitare l’ambito dell’impugnazione del lodo come riflesso della nuova disciplina dell’accordo arbitrale, con la conseguenza che le convenzioni concluse prima del 2.3.06 continuano ad essere regolate dalla legge previgente, che prevedeva l’impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente. Tali clausole, ancorché difformi dal nuovo modello negoziale, devono pertanto essere interpretate secondo la normativa codicistica anteriore; ne consegue che, in difetto di una disposizione che ne sancisca la nullità o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la loro salvezza deve ritenersi insita nel sistema pur in difetto di un’esplicita previsione della norma transitoria.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA 19 aprile 2012, n.6148
Ritenuto in fatto
Immobiliare C. C. s.r.l. e B.M.G. sottoscrissero l’8.6.2000 un contratto preliminare con il quale la prima si obbligava a vendere e la seconda ad acquistare, per sé o per persona da nominare, un appartamento al grezzo facente parte di un fabbricato ancora da edificare, sito nel comune di (…).
Le parti pattuirono che eventuali controversie insorte dal contratto sarebbero state rimesse alla decisione di un arbitro unico. Nell’agosto del 2006 la promittente venditrice contestò alla promissaria acquirente l’inadempimento alle obbligazioni assunte ed, avvalendosi della clausola risolutiva espressa contenuta nel regolamento negoziale, le comunicò che il contratto doveva intendersi risolto per suo fatto e colpa.
Nel settembre successivo M.G..B. , unitamente ad A..V. – persona da lei designata quale acquirente dell’immobile – promosse giudizio arbitrale per ottenere l’emanazione di un lodo che tenesse luogo, ai sensi dell’art. 2932 c.c., del contratto non concluso. Immobiliare C. si costituì in giudizio chiedendo che fosse riconosciuta la legittimità del suo recesso dal preliminare, con conseguente diritto alla ritenzione della caparra versata da B. , o che, in subordine, il contratto venisse dichiarato risolto per inadempimento della promissaria acquirente. L’arbitro unico, con lodo del 6.3.08, respinse le domande proposte da B. e V. e, in accoglimento della riconvenzionale dell’Immobiliare C.a, dichiarò che quest’ultima aveva legittimamente esercitato il proprio diritto di recesso.
I soccombenti impugnarono il lodo dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia, eccependo preliminarmente l’illegittimità costituzionale dell’art. 27 del d. lgs. n. 40/06, nella parte in cui stabilisce che il riformato art. 829 comma 3 c.p.c., che ha previsto l’impugnabilità nel merito del lodo per violazione delle regole di diritto solo se espressamente pattuita dalla parti o dalla legge, sia immediatamente applicabile a tutti gli arbitrati introdotti in data successiva alla sua entrata in vigore, ancorché nascenti da clausole arbitrali anteriormente stipulate; chiesero quindi che il lodo venisse dichiarato nullo per violazione, fra l’altro, dell’art. 1537 c.c. e che la Corte pronunciasse sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.. Immobiliare C., costituitasi, eccepì preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione, ai sensi dei commi 2 e 3 del riformato art. 829 c.p.c., e concluse nel merito per il suo rigetto.
Con sentenza del 2.4.010 la Corte adita, in parziale accoglimento dell’impugnazione, annullò il lodo, respinse ogni altra domanda proposta dalle parti e compensò le spese del giudizio. Per quanto ancora nella presente sede interessa, la Corte territoriale rilevò preliminarmente che non v’era bisogno di rimettere al giudice delle leggi la q.l.c. dell’art. 27 del d. lgs. n. 40/06 perché, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma transitoria, dovevano applicarsi alle impugnazioni tutte le norme di nuova istituzione non derogabili dalle parti ovvero quelle per le quali, se derogabili, le parti non avevano in precedenza disposto, sicché non poteva ritenersi travolta la clausola contrattuale che prevedeva l’impugnabilità del lodo ai sensi del previgente art. 829 comma 2 c.p.c.; ritenne poi fondata la censura con la quale B. e V. avevano dedotto la nullità del lodo per violazione dell’art. 1537 c.c., norma applicabile alla sola vendita definitivamente conclusa ma non al preliminare, atteso il diritto del promittente compratore a misurare l’immobile quando la sua estensione sia criterio di determinazione del prezzo complessivo; affermò, pertanto, che gli impugnanti, cui era stato negato di misurare l’immobile, avevano legittimamente rifiutato di stipulare il definitivo. Imm.re C. C. ha chiesto la cassazione della sentenza, con ricorso affidato a cinque motivi ed illustrato da memoria. B. e V. hanno resistito con controricorso ed hanno a loro volta proposto ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo del ricorso principale, Immobiliare C. C. denuncia violazione dell’art. 112 cpc, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione, da essa sollevata, ai sensi dell’art. 829 comma 2 c.p.c., sul rilievo della rinuncia degli impugnanti ai motivi di nullità per violazione delle regole di diritto.
2) Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 27 n. 4 d. lgs. n. 40/06. Osserva che, in presenza di una disciplina transitoria che ha ben presente la distinzione fra convenzioni di arbitrato e domande di arbitrato e che stabilisce in modo chiaro ed inequivoco che le nuove norme introdotte dagli artt. 21-25 (fra cui quella che ha modificato l’art. 829 c.p.c.) si applicano ai procedimenti arbitrali la cui domanda sia stata proposta dopo il 2.3.06, non v’è spazio per una diversa interpretazione e che pertanto, allorché la convenzione sia stata stipulata nel vigore della previgente disciplina, è riservata alle parti diligenti di introdurre la possibilità di impugnare il lodo per violazione delle regole di diritto, esteriorizzando in modo adeguato la corrispondente volontà.
3) Con il terzo motivo, la ricorrente, denunciando vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, deduce che il rilievo officioso della Corte territoriale, di dover applicare nella specie la normativa anteriore alla riforma, appare privo di fondamento logico-giuridico.
4) I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti.
Nel regime anteriore alla riforma, l’allora comma 2 dell’art. 829 c.p.c. prevedeva, in senso diametralmente opposto all’attuale comma 3, che ‘l’impugnazione per nullità è..ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile’. Ciò significa che, in mancanza di esplicite previsioni derogatrici, le parti che stipulavano il patto compromissorio intendevano riservarsi la possibilità di impugnare il lodo per violazione di norme sostanziali.
Ebbene, costituisce principio generale del nostro ordinamento, discendente dall’applicazione dell’art. 11 delle preleggi, che le condizioni di efficacia e gli effetti di un atto negoziale, che sia espressione di una valida manifestazione di volontà delle parti, sono disciplinati dalla legge in vigore al momento in cui esso è adottato e non possono essere modificati da una legge successiva (Cass. nn. 17995/07, 11876/07, Cass. S.U. n. 15608/01).
L’irretroattività della legge, se pur non elevata, fuori della materia penale, a dignità costituzionale, rappresenta, del resto, una regola essenziale del sistema, cui, salvo un’effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini (Corte costituzionale n. 155/90). In materia contrattuale, l’unica eccezione a tale principio è costituita dall’intervento di una nuova disposizione di legge che, introducendo una norma imperativa condizionante l’autonomia negoziale delle parti, incida sul contenuto dei contratti di durata anteriormente stipulati, o di quelli che non hanno ancora avuto esecuzione alla data della sua entrata in vigore, determinando la sopravvenuta nullità o inefficacia della clausola pattizia in essi inserita che sia eventualmente in contrasto con la norma imposta, la quale sostituisce o integra per l’avvenire la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto. (Cass. n. 1689/06).
Non è certo questo il caso della clausola compromissoria stipulata anteriormente all’entrata in vigore della legge di riforma dell’arbitrato, non essendovi alcuna norma, fra quelle introdotte dagli artt. 20/25 del d.lgs. n. 40/06, che ne abbia decretato la sopravvenuta invalidità: il comma 3 dell’art. 829 cpc riformato, nell’escludere l’impugnazione del lodo per la violazione di regole di diritto relative al merito della controversia, salva l’espressa diversa volontà delle parti, si è infatti, nella sostanza, limitato ad operare un capovolgimento del regime anteriore, riconducendo a regola ciò che era in precedenza previsto come eccezione e ad eccezione ciò che era in precedenza previsto come regola.
Ritenere che, per effetto della disposizione transitoria di cui all’ari 27 del citato d.lgs., la nuova regola debba essere obbligatoriamente applicata anche alle convenzioni di arbitrato concluse prima del 2.3.06 solo perché il giudizio arbitrale è stato introdotto in data successiva (e che perciò sia preclusa alle parti l’impugnazione del lodo per violazione di norme sostanziali ancorché, all’epoca della stipulazione del patto compromissorio esse non fossero tenute a manifestare espressamente una volontà in tal senso) equivarrebbe ad ammettere che, in assenza di una ragione giustificatrice, la norma contrasta con i principi generali che si sono appena enunciati in materia di irretroattività della legge e di immodificabilità della disciplina contrattuale per effetto di mutamenti successivi della legislazione. Invero, come è stato correttamente osservato in dottrina, siffatta interpretazione implicherebbe l’automatica sostituzione del contenuto della convenzione di arbitrato a suo tempo previsto e voluto dai contraenti, ricollegando al loro silenzio un significato diametralmente opposto a quello stabilito dalla legge al momento della stipulazione del patto, così privandoli di un mezzo di impugnazione al quale, in quel momento, certamente non intendevano rinunciare: gli effetti giuridici della volontà negoziale validamente manifestata dalle parti verrebbero dunque ad essere modificati d’imperio da una legge successiva, pur se ancora tutelati e riconosciuti dall’ordinamento in favore di tutti coloro che, avendo stipulato il patto dopo il 2.3.06, hanno avuto cura di prevedere espressamente l’impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto.
Così interpretata la norma transitoria violerebbe, inoltre, i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost..
Sotto il primo profilo, essa determinerebbe disparità di trattamento non solo fra i contraenti che hanno stipulato la convenzione arbitrale in data anteriore e quelli che l’hanno invece stipulata in data posteriore all’entrata in vigore della legge di riforma (consentendo, per quanto si è appena detto, solo a questi ultimi di scegliere se conservare la possibilità di impugnare il lodo per violazione di norme sostanziali), ma persino fra tutti gli appartenenti alla prima delle due categorie, i quali manterrebbero o meno il diritto a detta impugnazione a seconda della data di promovimento del giudizio arbitrale, e dunque in dipendenza di un fattore del tutto casuale, non essendo certamente prevedibile la data di insorgenza della lite. Sotto il secondo profilo, la norma comprimerebbe il diritto delle parti alla tutela giurisdizionale, nonostante la contraria volontà dalle stesse manifestata allorché sottoscrissero la clausola compromissoria senza escludere espressamente l’impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto sostanziale, nella vigenza di un regime in cui tanto bastava a consentire l’impugnazione. Neppure può ipotizzarsi, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente, che, una volta entrata in vigore la legge di riforma, fosse dovere dei contraenti attivarsi per modificare il testo della clausola compromissoria, aggiungendovi espressamente la previsione che in precedenza vi era implicitamente inclusa: per adeguare la clausola alla disciplina sopravvenuta non basterebbe, infatti, l’iniziativa di una delle parti, ma occorrerebbe l’accordo di entrambe.
Né, sotto altro profilo, la mancata attivazione potrebbe essere interpretata come rinuncia a far valere motivi di nullità del lodo per violazione di norme sostanziali, posto che la volontà di rinunciare ad un diritto si può desumere solo da un comportamento concludente, che non può consistere nell’inerzia del titolare rispetto al compimento di un’ attività che non è dovuta.
Va, da ultimo, rilevato che le modifiche apportate all’art. 829 c.p.c. dalla legge di riforma sono volte a delimitare l’ambito dell’impugnazione del lodo come riflesso della nuova disciplina dell’accordo arbitrale, laddove le convenzioni concluse prima del 2.3.06 continuano ad essere regolate dalla legge previgente, che prevedeva l’impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente. Tali clausole, ancorché difformi dal nuovo modello negoziale, devono pertanto essere interpretate secondo la normativa codicistica anteriore; ne consegue che, in difetto di una disposizione che ne sancisca la nullità o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la loro salvezza deve ritenersi insita nel sistema pur in difetto di un’esplicita previsione della norma transitoria.
4) Con il quarto motivo di ricorso Imm.re Contrada Canova, denunciando violazione degli arti 1385 e 1455 c.c., rileva che la Corte territoriale è pervenuta all’annullamento del lodo limitandosi ad affermare che, poiché l’art. 1537 c.c. non è applicabile al preliminare, gli impugnanti, cui era stato negato di misurare l’appartamento, avevano legittimamente rifiutato di stipulare il definitivo, senza effettuare alcuna comparazione fra la pretesa sua inadempienza e quella da essa imputata alla promissaria acquirente, di non aver offerto neppure in via informale il prezzo residuo.
5) Con il quinto motivo, la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, osserva che il giudice d’appello ha erroneamente ritenuto che fosse circostanza ‘pacifica’ che essa avesse impedito agli impugnanti di misurare l’appartamento, laddove costoro avevano lamentato soltanto di non aver potuto procedere alla misurazione in contraddittorio.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati nei limiti che di seguito si precisano.
Il giudice d’appello, affermando che l’inadempimento dell’Immobiliare Canova all’obbligo di consentire ai promissari acquirenti di effettuare la misurazione dell’appartamento giustificava il rifiuto di costoro di stipulare il rogito (e dunque di pagare il residuo prezzo dell’immobile) ha implicitamente operato il giudizio di comparazione richiesto dall’art. 1460 c.c..
Sennonché la pacificità della circostanza assunta dalla Corte di merito a fondamento della decisione è smentita dalla lettura delle pagine del lodo riportate in ricorso (che a loro volta richiamano la corrispondenza intercorsa fra le parti), dalle quali si evince che B. e V. non lamentarono mai che fosse stato loro impedito di eseguire le misurazioni, ma solo che la promittente venditrice avesse rifiutato di procedervi in contraddittorio.
Ne consegue che, poiché la misurazione in contraddittorio non è un diritto del promissario acquirente (Cass. n. 11279/95), il fatto che B. e V. avessero ritenuto di non poterla (o di non doverla) effettuare, se non in presenza della promittente venditrice, non poteva essere imputato a fatto e colpa di quest’ultima e non poteva costituire circostanza di per sé sufficiente a giustificare il rifiuto a stipulare il rogito.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio della causa, per un nuovo giudizio, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
Resta assorbito il ricorso incidentale, sorretto da un unico motivo, con il quale B. e V. si dolgono della compensazione delle spese del giudizio di merito.
P.Q.M.
La Corte respinge i primi tre motivi del ricorso principale, accoglie il quarto ed il quinto motivo e dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, per un nuovo giudizio, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
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