Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 17 gennaio 2014, n. 921
Svolgimento del processo
1 – Con decreto depositato in data 6 febbraio 2007 il Tribunale di Velletri, in accoglimento del ricorso proposto ai sensi dell’art. 710 c.p.c. da B.M.A. nei confronti della moglie L.D. , revocava, con decorrenza dal luglio dell’anno 1990, l’obbligo posto a carico del B. medesimo di contribuire al mantenimento dei figli L. e D. , all’epoca già maggiorenni, obbligo derivante dalla sentenza intervenuta fra detti coniugi in data 21 giugno 1990 e già revocato, quanto al figlio L. , dal dicembre 2001, e, quanto a D. , dal giugno 1999.
1.1 – La Corte di appello di Roma, con il decreto indicato in epigrafe, pronunciando sul reclamo proposto dalla L. , che aveva denunciato l’abnormità di detto provvedimento, rigettava la domanda del B. , ponendo in evidenza l’impossibilità di incidere con efficacia retroattiva sul giudicato formatosi in virtù di precedenti provvedimenti intervenuti in sede di revisione delle condizioni della condizioni della separazione personale dei coniugi.
1.2 – Per la cassazione di tale decisione il B. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui la L. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
2 – Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della L. 8 febbraio 2006, n. 54, si sostiene che la corte di appello avrebbe omesso di considerare il diritto del B. di avvalersi della nuova normativa, comportante il superamento dei limiti imposti dagli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c..
Viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica codesta Suprema Corte se, nel caso oggetto della presente controversia, in virtù dell’art. 4 della legge 54/2006 sia possibile, nonostante la vigenza degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., chiedere l’applicazione delle disposizioni della citata legge, nei modi disciplinati dall’art. 110 c.p.c., con riferimento alla sentenza di separazione giudiziale pronunciata dal Tribunale di Velletri con sentenza n. 614 del 18 aprile – 21 giugno 1990 passata in giudicato”.
2.1 – Con il secondo mezzo si denuncia violazione dell’art. 155 quinquies c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., affermandosi che detta norma deve intendersi nel senso che l’obbligo di uno dei due genitori di contribuire al mantenimento di un figlio convivente con l’altro coniuge cessi “ope legis” al momento del raggiungimento della maggiore età del figlio.
Viene indicato il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “Dica codesta Suprema Corte se, nel caso oggetto della presente controversia, in virtù dell’art. 4 della legge 54/2006, sia possibile applicare retroattivamente le disposizioni di cui all’art. 155 quinquies c.c. con la conseguente modifica delle condizioni, ora per allora, stabilite dalla sentenza di separazione giudiziale pronunciata dal Tribunale di Velletri con sentenza n. 614 del 18 aprile – 21 giugno 1990 passata in giudicato”.
2.2 – Con il terzo motivo si deduce insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alle questioni giuridiche sopra indicate.
3- Il ricorso è infondato, ragion per cui deve rispondersi negativamente ai proposti quesiti di diritto, che, attesa la loro intima connessione, possono essere esaminati congiuntamente.
3.1 – Quanto alla terza censura, ne va rilevata l’inammissibilità, sia per la mancata formulazione di un idoneo momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, nei termini richiesti in base al consolidato orientamento di questa Corte, (Cass. Sez. Un., n. 20603/2007; Cass., n.16002/2007; Cass., n.8897/2008), sia, e sopra tutto, perché il vizio di motivazione non può, come è avvenuto nella specie, riguardare le valutazioni compiute in ordine ad una quaestio iuris (Cass., 11 maggio 2012, n. 7267; Cass., 30 marzo 2012, n. 5123; Cass., Sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054).
3.2 – Questa Corte, con orientamento consolidato, ha affermato il principio, che il Collegio condivide, secondo cui in materia di revisione dell’assegno di mantenimento per i figli, il diritto di un coniuge a percepirlo ed il corrispondente obbligo dell’altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell’accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass., 10 dicembre 2008, n. 28987, in motivaz.; Cass., 17 luglio 2008, n. 19722; Cass., 19 ottobre 2006, n. 22941; Cass., 14 aprile 2005, n. 6975; Cass., 16 giugno 2000, n. 8235).
3.3 – Tale orientamento rimane sostanzialmente valido e non intaccato dall’art. 4, comma 1, della L. n. 54 del 2006, in virtù del quale anche nel caso in cui la sentenza di separazione giudiziale sia già stata emessa al momento della entrata in vigore della stessa legge, ciascuno dei coniugi possa richiedere nei modi previsti dall’art. 710 cod. proc. civ., l’applicazione delle nuove disposizioni della citata legge.
È già stato rilevato che legittimando, per effetto dell’entrata in vigore delle nuove norme (sostanziali) sull’affidamento dei figli, l’apertura del procedimento di modifica previsto dall’art. 710 c.p.c., il legislatore ha implicitamente ricondotto l’innovato regime all’ambito delle sopravvenienze valutabili (Cass., 10 dicembre 2010, n. 24996). La possibilità di instaurare un procedimento di revisione eleva, quindi, il factum principis a rango di circostanza sopravvenuta tale da giustificare, in caso di accoglimento della domanda, la modifica del regime vigente, nell’ambito della particolare efficacia “rebus sic stantibus” che caratterizza le statuizioni, ancorché definitive, attinenti ai rapporti di natura familiare regolati da sentenza di separazione o di divorzio. Ciò non significa che, in deroga ai principi sopra richiamati, la modifica del precedente assetto dei rapporti possa avere efficacia retroattiva, elidendo la stabilità e l’efficacia esecutiva delle decisioni, già coperte dal giudicato, in relazione a rapporti giuridici ricadenti nel periodo anteriore all’instaurazione del giudizio di revisione stesso.
3.4 – Prima dell’entrata in vigore della legge n. 54 del 2006, la giurisprudenza di legittimità era costante nel ritenere che il coniuge, il quale provvedesse direttamente ed integralmente al mantenimento del figlio convivente divenuto maggiorenne e non ancora autosufficiente, fosse legittimato iure proprio a pretendere l’assegno di mantenimento (oltre che il rimborso di quanto sostenuto) dall’altro coniuge (ex multis, Cass. Civ., Sez. 1, 27 maggio 2005, n. 11320; Cass. Civ., Sez. 1, 25 giugno 2004, n. 11863; Cass. Civ., sez. 1, 13 febbraio 2003, n. 2147). Tale “legittimazione”, definita “concorrente” rispetto a quella del figlio maggiorenne, restava subordinata alla mancata iniziativa giudiziaria di quest’ultimo (Cass. Civ., Sez. 1, 24.12.2006, n. 4188; Cass. Civ., Sez. 1, 16.7.1998, n. 6950; Cass. Civ., Sez. 1, 10849/1996; Cass. Civ., Sez. 1, 12.3.1992, n. 3019; Cass. Civ., Sez. 1, 7.11.1981, n. 5874) e si fondava sulla circostanza che in ragione della convivenza uno dei genitori sopporta delle spese che gravano ex art. 148 c.c. su entrambi (Cass. Civ., Sez. 1, 21.6.2002, n. 9067; Cass. Civ., Sez. 1, 16.2.2001, n. 2289; Cass. Civ., Sez. 1, 16.6.2000, n. 8235; Cass. Civ., Sez. 1, 5.12.1996, n. 10849; Cass. Civ., Sez. 1, 29.4.1994, n. 3049). Su tale consolidato quadro giurisprudenziale è intervenuta la nuova formulazione dell’art. 155 quinquies, 1 comma, c.c.. Tale disposizione normativa, inserita nel contesto dedicato allo scioglimento del matrimonio ed alla separazione dei coniugi, espressamente prevede che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.
3.4 – Non è chi non veda come una corretta inter-pretazione di tale norma induca a ritenere che siano fatti salvi i previgenti principi operanti nei giudizi di separazione personale e di divorzio, e attinenti al potere (inteso quale diritto-dovere) del giudice del relativo provvedimento di determinare, nella ricorrenza dei presupposti, il contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne, salvo poi stabilire, “valutate le circostanze”, cioè a dire tenuto conto delle esigenze e delle richieste specifiche, le modalità del relativo versamento. Di certo, la modulazione delle modalità di attuazione del versamento del contributo deve tendere, da un lato, ad assicurare l’autonomia del figlio maggiorenne nella selezione e nella cura dei propri interessi (purché meritevoli di tutela); dall’altro, a non comprimere l’interesse del genitore convivente ad ottenere l’anticipazione di quelle spese, che per forza di cose gravano su di lui, in virtù di un munus specifico (Cass. 8 settembre 1998, n. 8868, Giur. it., 1999, 916), ma che, tuttavia, costituiscono l’adempimento di un obbligo solidale facente capo, ai sensi degli inalterati artt. 147 e 148 c.c., ad entrambi i genitori. Si è al riguardo osservato che con il raggiungimento della maggiore età, ove il figlio tuttora economicamente dipendente continui a vivere con il genitore che ne era affidatario, resta invariata la situazione di fatto oggetto di regolamentazione, e più, specificamente restano identiche le modalità di adempimento dell’obbligazione di mantenimento da parte del genitore convivente, e che la pretesa di quest’ultimo di ricevere dall’altro il contributo a suo carico trova ragione non solo o non tanto nell’interesse patrimoniale del medesimo a non anticipare la quota della prestazione gravante sull’altro, ma anche e soprattutto nel munus a lui spettante di provvedere direttamente ed in modo completo al mantenimento, alla formazione ed all’istruzione del figlio (Cass., 19 gennaio 2007, n. 1146).
3.5 – Deve pertanto ritenersi – esclusa ogni efficacia abrogante alla facoltà sancita dall’art. 155 quinquies c.c. rispetto alle norme che disciplinano i doveri verso i figli, ancorché maggiorenni – che il fondamento giuridico del diritto del coniuge alla percezione dell’assegno di contribuzione al mantenimento del figlio maggiorenne e convivente, nulla essendosi modificato rispetto al munus ad esso spettante di provvedere direttamente ed in modo completo al mantenimento, alla formazione ed all’istruzione del figlio (v. anche Cass. Civ., Sez. 1, 3.4.2002, n. 4765 e Cass. Civ., Sez. 1, 8.9.1998, n. 8868), munus che affonda le radici nelle (immutate) disposizioni di cui agli artt. 147 e 148 c.c., sussista anche dopo l’introduzione della norma contenuta nell’art. 155 quinquies c.c..
È stato adeguatamente sottolineato come la soluzione in esame venga suggerita anche dalla lettura dell’art. 148, comma secondo, c.c., laddove si prevede che il presidente del tribunale, in caso di inadempimento di uno dei due coniugi, possa disporre che una quota dei redditi dell’obbligato sia versata all’altro coniuge o a chi sopporta direttamente le spese di mantenimento della prole. Non minor rilievo assume la collocazione sistematica della norma in questione in un contesto normalmente riservato ai coniugi quali parti essenziali del procedimento (vedi Corte Costituzionale, 14 luglio 1986, n. 185).
Deve pertanto affermarsi che, non essendo intervenuta una sostanziale modifica degli assetti normativi che disciplinano gli obblighi di entrambi i genitori nei confronti dei figli, ancorché maggiorenni, la legittimazione del coniuge convivente (definita normalmente “concorrente”, ma anche, da qualche autore, “straordinaria”) ad agire iure proprio nei confronti dell’altro genitore, in assenza di un’autonoma richiesta da parte del figlio, per richiedere tanto il rimborso, pro quota, delle spese già sostenute per il mantenimento del figlio stesso, quanto il versamento di un assegno periodico a titolo di contributo per detto mantenimento, sussista tuttora (Cass., 24 febbraio 2006, n. 4188).
Il giudice, laddove investito da una domanda proveniente dal genitore convivente con figlio maggiorenne non autosufficiente, dovrà quindi (sussistendone i presupposti) riconoscere in ogni caso il diritto al contributo fatto valere dal genitore che abbia avanzato la relativa domanda, salva la facoltà di modulare in concreto il provvedimento, prevedendo un “versamento” (termine di per sé maggiormente aderente alla regolamentazione di un mero aspetto attuativo del diritto) nelle sue mani, ovvero direttamente nelle mani del figlio maggiorenne, ovvero in parte all’uno ed in parte all’altro. Assume, quindi, rilievo giuridico l’inerzia del figlio maggiorenne alla percezione dell’assegno di mantenimento, essendo comunque salva la possibilità per lo stesso di iniziare un procedimento ordinario inteso al riconoscimento di quel diritto, in maniera tale da eclissare la legittimazione in capo al genitore convivente (Cass., Sez. 1, 24.12.2006, n. 4188; Cass., Sez. 1, 16.7.1998, n. 6950; Cass., Sez. 1, 10849/1996; Cass. Civ., Sez. 1, 12.3.1992, n. 3019; Cass. Civ., Sez. 1, 7.11.1981, n. 5874), salvo il diritto del figlio stesso di intervenire nel procedimento relativo alla determinazione e all’attribuzione dell’assegno (Cass., 19 marzo 2012, n. 4296).
3.6 – Deve quindi osservarsi conclusivamente, sulla base delle considerazioni sopra svolte, che la tesi del ricorrente secondo cui l’introduzione dell’art. 155 quinquies c.p.c. comporterebbe una modifica “ope legis” dei rapporti in materia di mantenimento del figlio maggiorenne, già regolati da una decisione passata in giudicato, e relativi ad epoca anteriore all’introduzione di una domanda di revisione (che, per altro, ove accolta, opererebbe solo dal momento della domanda di revisione stessa e, in ogni caso, atterrebbe non alla sussistenza dell’obbligo di mantenimento, ma alle modalità del versamento del contributo, in tutto o in parte, al figlio maggiorenne), non può in alcun modo essere condivisa.
Le spese processuali seguono al soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.800,00, di cui Euro 2.600,00 per onorari, oltre accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.
Leave a Reply