Corte_de_cassazione_di_Roma

La massima

1. La “dematerializzazione” dei titoli di credito, pur superando la fisicità del titolo, non è incompatibile con il pegno regolare, consentendone forme di consegna e di trasferimento virtuali, attraverso meccanismi alternativi di scritturazione, senza la movimentazione o senza neppure la creazione del supporto cartaceo.

2. Il pegno irregolare determina, in caso di adempimento, non l’obbligo di restituire l’idem corpus, e cioè nella specie i titoli ricevuti, ma il tantundem eiusdem generis e qualitatis e, in caso di inadempimento, l’obbligo di restituire res eiusdem generis e qualitatis per l’eventuale eccedenza tra il valore delle cose al momento della scadenza del credito garantito e l’importo di quest’ultimo. In altre parole, la restituzione si trasforma da obbligazione di specie in obbligazione di genere.

3. Si rientra nella disciplina del pegno irregolare, qualora il debitore, a garanzia dell’adempimento della sua obbligazione, abbia vincolato al suo creditore un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati, conferendo a quest’ultimo anche la facoltà di disporre del relativo diritto, come delineato dall’art. 1851 cod.civ., norma (riferita all’anticipazione bancaria, ma che costituisce tuttavia la regola generale di ogni altra ipotesi di pegno irregolare) in base alla quale il creditore garantito acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire al momento dell’adempimento o, in caso di inadempimento, dovrà rendere per quella parte eccedente l’ammontare del credito garantito, determinata in relazione al valore delle cose al tempo della relativa scadenza.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 17 febbraio 2014, n. 3674

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 1 giugno 2006 la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza emessa in data 7 dicembre 2002 dal Tribunale della stessa città, dichiarava l’inefficacia nei confronti del fallimento della s.r.l. Nuova Ulisse Edizioni (dichiarato il (omissis) ) dell’atto in data 22 ottobre 1991 con cui P.E. e la banca s.p.a. Banec avevano pattuito la costituzione in pegno di titoli, da parte del primo ed a garanzia di crediti della seconda nei confronti della s.r.l. Nuova Ulisse Edizioni; con la stessa sentenza la Corte territoriale condannava la s.p.a. Unipol Banca, subentrata nei rapporti già facenti capo alla s.p.a. Banec, a restituire al predetto fallimento la somma di L. 70.000.0000 (pari ad Euro 36.151,98) oltre interessi dalla domanda al saldo. In particolare, per quanto ancora interessa, la Corte di appello osservava che: 1) il pegno costituito da P.E. a favore della s.p.a. Banec aveva natura di pegno regolare poiché i titoli di Stato costituiti in pegno erano stati esattamente individuati [“per tipo (B.T.P.), quantità (valore nominale di L. 70 milioni), scadenza (ottobre 1993), tasso praticato (12,50%), numero di dossier (deposito n. …), codice ABI (n. …)”] e poiché né l’atto costitutivo del pegno né le allegate condizioni generali di contratto prevedevano la facoltà della banca di disporre dei titoli; inoltre, le parti avevano stipulato un patto di rotatività, incompatibile con un pegno irregolare, prevedendo la facoltà del creditore pignoratizio di riscuotere i titoli alla scadenza e di impiegare gli importi riscossi nell’acquisto di altrettanti titoli della stessa natura e così di seguito ad ogni successiva scadenza, con l’avvertenza che anche i nuovi titoli sarebbero stati soggetti all’originario vincolo di pegno; 2) i titoli in questione, gravati dal pegno per effetto del diritto di sequela proprio delle garanzie reali, vennero acquistati dalla garantita s.r.l. Nuova Ulisse Edizioni, come poteva desumersi dal chiaro tenore della lettera del 31 gennaio 1992, avente per oggetto “conferimento titoli da parte di P.E. a favore di società del gruppo Nuova Ulisse Edizioni”, con la quale il P. aveva chiesto alla banca Banec “di provvedere a quanto è necessario per trasferire detti titoli in altrettanti dossiers… fermo restando la disponibilità di lasciare i nuovi dossiers in pegno delle linee di credito di ciascuna società”. A tale chiara espressione della volontà del P. di attuare il trasferimento alla s.r.l. Nuova Ulisse Edizioni della proprietà dei titoli costituiti in pegno la banca aveva, del resto, conformato la sua condotta in occasione della comunicazione dell’estratto conto al 31 dicembre 1992, contenente il riscontro contabile della vendita dei titoli, ed in occasione della costituzione in mora del P. , alla data del 1 luglio 1992, nella sua sola qualità di fideiussore; 3) poiché la s.r.l. Nuova Ulisse Edizioni aveva acquistato i titoli, il curatore del suo fallimento era legittimato a far valere l’inopponibilità della garanzia ai sensi dell’art. 2787 c.c.; sotto tale profilo, mentre la certezza della data della costituzione del pegno risultava dal timbro postale apposto sulla relativa scrittura ed i titoli oggetto della garanzia erano sufficientemente individuati nell’atto, risultava, invece, manchevole l’indicazione del credito garantito. A tal fine, infatti, doveva ritenersi insufficiente il riferimento alla linea di credito di lire 210.000.000 utilizzabile per 10.000.000 per scoperto di conto corrente e per 200.000.000 per anticipazioni su effetti o ricevute presentati salvo buon fine, atteso che mancava qualsiasi concreto riferimento ai rapporti sui quali era destinata ad incidere l’apertura della nuova linea di credito e, in particolare, al conto sul quale le linee di credito andavano ad innestarsi. Ne conseguiva che il pegno, valido tra le parti, non era tuttavia opponibile ai terzi e, pertanto, al curatore del fallimento.
Unipol Banca s.p.a. propone ricorso per cassazione, deducendo sei motivi. Il fallimento non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1851, 1346 e 1378 c.c., lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva escluso che nella fattispecie ricorresse una ipotesi di pegno irregolare. Infatti, la descrizione dei titoli concessi in garanzia non era preclusiva dell’applicazione dell’art. 1851 c.c. poiché anche nella fattispecie ivi prevista l’oggetto del pegno doveva essere necessariamente determinato; inoltre, la sentenza impugnata non aveva considerato che il P. aveva autorizzato la banca a tenere depositati i titoli presso la Banca d’Italia anche includendoli in un certificato rappresentativo cumulativo di altri titoli della stessa specie con conseguente perdita della individualità e specialità dei titoli concessi in garanzia. Infine, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, il patto di rotatività non può considerarsi incompatibile con il pegno irregolare, in quanto in tal caso il patto incide sull’eventuale debito restitutorio della banca per la parte dei beni costituiti in garanzia che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello, da un lato, aveva ritenuto che i titoli fossero stati specificamente individuati, trascurando l’autorizzazione ad includerli in un certificato cumulativo e, d’altro canto, aveva escluso la volontà delle parti di porre in essere un pegno irregolare, omettendo di considerare, in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. tutte le clausole contrattuali e, in particolare, l’art. 10 delle condizioni generali, che autorizzava la banca “a recuperare il suo credito, senza bisogno di preavviso, di intimazione, di costituzione in mora, di previa escussione e di particolari formalità per il realizzo dei valori costituiti in pegno” e la clausola dell’atto costitutivo del pegno che prevedeva il meccanismo compensativo tipico del pegno irregolare.

Il primo ed il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi e sono infondati. Al riguardo giova ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si rientra, “nella disciplina del pegno irregolare, qualora il debitore, a garanzia dell’adempimento della sua obbligazione, abbia vincolato al suo creditore un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati, conferendo a quest’ultimo anche la facoltà di disporre del relativo diritto, come delineato dall’art. 1851 cod.civ., norma (riferita all’anticipazione bancaria, ma che costituisce tuttavia la regola generale di ogni altra ipotesi di pegno irregolare) in base alla quale il creditore garantito acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire al momento dell’adempimento o, in caso di inadempimento, dovrà rendere per quella parte eccedente l’ammontare del credito garantito, determinata in relazione al valore delle cose al tempo della relativa scadenza” (e plurimis Cass. 16 giugno 2005, n. 12964; Cass. 5 novembre 2004, n. 21237).

Ne consegue che il pegno irregolare determina, in caso di adempimento, non l’obbligo di restituire l’idem, corpus, e cioè nella specie i titoli ricevuti, ma il tantundem eiusdem generis e qualitatis e, in caso di inadempimento, l’obbligo di restituire res eiusdem generis e qualitatis per l’eventuale eccedenza tra il valore delle cose al momento della scadenza del credito garantito e l’importo di quest’ultimo. In altre parole, la restituzione si trasforma da obbligazione di specie in obbligazione di genere. Esattamente, pertanto, la Corte territoriale, ha ritenuto l’incompatibilità con il pegno irregolare non di un generico patto di rotatività (che, comunque, secondo Cass. 5 marzo 2004, n. 4507, “in assenza di diversa previsione, non è in sintonia con i connotati e con la funzione, sostanzialmente satisfattiva, del pegno irregolare“) ma di un patto che preveda, come nella specie, “la facoltà del creditore pignoratizio di provvedere autonomamente alla riscossione dei titoli alla loro scadenza e di impiegare d’ufficio gli importi riscossi nell’acquisto di altrettanti titoli della stessa natura e così di seguito a ogni successiva scadenza dei titoli provenienti dal rinnovo o dai rinnovi, con l’avvertenza che gli importi riscossi e i titoli con essi acquistati sarebbero stati soggetti all’originario vincolo di pegno (v. clausola n. 3 del contratto)” (pagg. 8 e 9 dell’impugnata sentenza). La riscossione dei titoli alla scadenza, e non la vendita in qualsiasi momento, e l’acquisto di titoli della stessa natura rendono, infatti, evidente, come ritenuto dalla sentenza impugnata, la mera surrogazione dell’oggetto di un pegno regolare e non l’attribuzione alla banca della facoltà di disporre dei titoli.

In senso contrario non possono assumere rilievo le clausole, invocate dalla ricorrente, dirette soltanto a semplificare la procedura prevista dall’art. 2797 c.c. in caso di inadempimento del debitore e di conseguente vendita dei titoli, conferendo al creditore la facoltà di procedere direttamente alla vendita e compensare in tutto o in parte il proprio credito con il debito derivante dalla riscossione. Infatti, “la disciplina dettata dall’art. 2797 cod. civ. è derogabile consensualmente, non solo mediante la previsione di forme di vendita diverse da quelle prescritte dal secondo comma, ma anche mediante la dispensa dall’intimazione al debitore ed al terzo garante e dal rispetto del termine per l’opposizione, il cui unico scopo consiste nel consentire al debitore ed al terzo datore del pegno di adempiere spontaneamente o di opporsi alla vendita, senza che l’omissione di tali forme faccia venir meno la riferibilità della vendita alla realizzazione della garanzia pignoratizia, purché essa sia il risultato dell’accordo intervenuto in proposito tra le parti per il soddisfacimento del creditore” (Cass. 28 maggio 2008, n. 13998).

Neppure può darsi rilievo, per escludere una ipotesi di pegno regolare, alla inclusione dei titoli in un certificato cumulativo. La ‘dematerializzazione’ dei titoli di credito, infatti, pur superando la fisicità del titolo, non è incompatibile con il pegno regolare, consentendone forme di consegna e di trasferimento virtuali, attraverso meccanismi alternativi di scritturazione, senza la movimentazione o senza neppure la creazione del supporto cartaceo (Cass. 27 ottobre 2006, n. 23268; Cass. 14 giugno 2000, n. 8107).

Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1321, 1325 n. 1, 2697, 2702 e 1362 c.c., lamentando, da una parte, che la sentenza impugnata aveva desunto l’avvenuto acquisto dei titoli, da parte della s.r.l. Nuova Ulisse Edizioni, sulla base di una comunicazione unilaterale del P. , inidonea a contenere una manifestazione di volontà contrattuale, e non producendo, come sarebbe stato necessario, la delibera assembleare contenente l’atto di conferimento; e lamentando, d’altro canto, che la Corte di appello aveva attribuito rilievo, ai fini della prova dell’avvenuto trasferimento, al successivo comportamento della banca, che era estranea al preteso accordo ed il cui comportamento, pertanto, doveva ritenersi irrilevante ai sensi dell’art. 1362 c.c..

Con il quarto motivo la ricorrente ripropone sotto il profilo del vizio di motivazione le censure già proposte con il terzo motivo.

Il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati. Invero, nel caso in cui il terzo datore di pegno trasferisca ad un terzo, ivi compreso il debitore garantito, la proprietà dei beni o la titolarità dei crediti costituiti in pegno, il creditore pignoratizio è certamente estraneo alla vicenda traslativa, dovendo soltanto subirne gli effetti, nel senso che gli obblighi di rendiconto e di eventuale restituzione esistenti nei confronti del terzo datore di pegno si trasferiscono in favore del terzo, una volta che il creditore pignoratizio ne abbia ricevuto comunicazione (arg. ex art. 1264 c.c.). Il creditore garantito, pertanto, non può pretendere la prova del trasferimento. Nella specie il terzo datore P. ha comunicato alla banca il trasferimento dei titoli e la banca ha adeguato la propria condotta alla nuova situazione.

In questa prospettiva, con conseguente correzione della motivazione, devono essere inquadrati i rilievi della Corte di appello sulla comunicazione effettuata dal P. e sulla condotta successivamente tenuta dalla banca.

Con il quinto motivo si deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2787 c.c., lamentando che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che l’atto costitutivo del pegno non avesse individuato il credito garantito, che, viceversa, era individuato con l’esatta indicazione, per tipologia ed ammontare, delle linee di credito garantite, considerato anche che il credito garantito traeva origine esclusivamente dal rapporto di affidamento, mentre il rapporto di conto corrente rappresentava soltanto lo strumento e la modalità concreta per l’utilizzo della concessa linea di credito.

Con il sesto motivo si ripropongono sotto il profilo del vizio di motivazione le censure già proposte con il quinto motivo.

Il quinto motivo è fondato. In proposito, si deve premettere che, la Corte territoriale ha esattamente interpretato la portata del terzo comma dell’art. 2787 c.c., alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, affermando che “affinché il credito garantito possa ritenersi sufficientemente indicato, non occorre che esso venga specificato, nella scrittura costitutiva di pegno, in tutti i suoi elementi oggettivi, bastando che la scrittura medesima contenga elementi idonei a consentirne l’identificazione (cfr., e plurimis, Cass. 12 luglio 1991, n. 7794)”. La Corte territoriale ha anche ricostruito, senza che sul punto siano state sollevate obiezioni, la portata della pattuizione nel senso che, come dalla stessa risultava testualmente, la garanzia reale era stata concessa “in relazione alla linea di credito di L. 210.000.000 utilizzabile per 10.000.000 Scop. di c/c e 200.000.000 Anticipo su effetti e/o ricevute scadenza Revoca”. In tale situazione, tuttavia, la sentenza impugnata è incorsa in una falsa applicazione dell’art. 2787, terzo comma, affermando che i suddetti elementi non consentivano l’individuazione del credito garantito. Il vizio di falsa applicazione di legge – che riguarda il momento in cui si applica la norma al caso concreto, dopo avere individuata ed esattamente interpretata la prima e dopo avere ricostruito esattamente il secondo nei suoi elementi di fatto – ricorre quando in relazione alla fattispecie concreta si traggono dalla norma conseguenze giuridiche che contraddicono la sua pur corretta interpretazione (cfr. Cass. 26 settembre 2005, n. 18782; Cass. 25 maggio 1987, n. 4698). Nella specie, il rapporto dal quale derivava il credito garantito era specificamente individuato a nulla rilevando l’omessa menzione del rapporto di conto corrente sul quale i risultati dell’apertura di credito erano destinati a confluire. Invero, la circostanza che le operazioni connesse ad un contratto di apertura di credito vengano eseguite in conto corrente non priva i due contratti della loro autonomia (Cass. 13 aprile 2006, n. 8711). Ne consegue che l’indicazione del credito complessivamente concesso e delle modalità (scoperto di conto corrente e anticipo su effetti e/o ricevute) nelle quali lo stesso poteva essere usufruito integravano gli estremi richiesti dall’art. 2787 cit..

Il sesto motivo resta assorbito.

P.Q.M.

accoglie il quinto motivo del ricorso e dichiara assorbito il sesto; rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

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