Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 12 settembre 2014, n. 37585
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 26.9.2011, il Tribunale di Trieste in composizione monocratica dichiarava T.P. e T.F. responsabili, in concorso tra loro e con G.M. (giudicata separatamente), di una duplice violazione dell’art. 681 c.p. (rispettivamente accertate in data (omissis) e in data (omissis) ), per aver consentito, la prima quale socia di fatto responsabile della gestione, il secondo quale co-gestore di fatto, nell’ambito dell’attività di discoteca o di intrattenimento musicale esercitata presso “(omissis) “, l’accesso di un numero di persone superiore (614 la prima volta, 1164 la seconda) a quello di 168 indicato nell’autorizzazione comunale del 9.6.2009.
2. Con sentenza del 9.5.2013, la Corte d’Appello di Trieste, in parziale riforma della pronuncia del primo Giudice, sostituiva la pena detentiva inflitta a T.P. con quella di 15.000,00 Euro di ammenda, confermando nel resto la decisione impugnata.
2.1. Nell’esaminare il primo motivo di gravame, comune a entrambi gli imputati, la Corte d’Appello riaffermava la certezza del dato fattuale relativo alla presenza, in occasione dei due controlli di P.G. effettuati presso l’”(omissis) “, di un numero di persone nettamente superiore a quello autorizzato, evincendolo dalle testimonianze rese dal primo accertatore L.S. e da B.L. , Comandante della Compagnia Carabinieri di Trieste, che coordinò le operazioni del secondo accertamento.
Evidenziavano i Giudici territoriali che, in entrambi i casi, il conteggio aveva riguardato solo le persone in uscita da un’area delimitata, quella destinata alla discoteca all’aperto e che l’accesso al punto d’imbarco per tornare sulla terraferma dall’area discoteca non era comune alle altre zone della diga, servite da altro passaggio; tali assunti, riferiti dagli agenti operanti, frutto delle specifiche modalità di controllo e privi di contenuti valutativi, erano stati confermati anche dal teste C.A. , bagnino della società NEREIDE, titolare dell’autorizzazione relativa all’attività di trattenimento danzante, e dall’ing. G. , autore di relazione tecnica commissionatagli dalla citata società, i quali avevano affermato che dall’area dello stabilimento balneare, per accedere al punto d’imbarco della diga, si poteva transitare sia da apposito passaggio che dall’area ristorazione/intrattenimento, senza che le due zone dovessero necessariamente interferire l’una con l’altra.
Anche i due testi a discarico Tr. e Gi. avevano confermato la circostanza, peraltro desumibile dallo stesso stato dei luoghi documentato dalla pianta acquisita agli atti che consentiva di escludere che il deflusso verso la terraferma da parte di soggetti che non si trovavano all’interno dell’area danzante avvenisse, principalmente, transitando per quella zona.
Secondo la Corte triestina, non era decisivo l’argomento introdotto dalla difesa di T.P. , avente ad oggetto il dato relativo al rapporto tra la superficie dell’area destinata al trattenimento danzante ed il numero di persone individuate dalla P.G. in occasione del controllo di cui al capo b) della rubrica (quello del 13-14.8.2009), trattandosi di calcolo evidentemente variabile a seconda dell’indice di affollamento utilizzato per l’operazione.
2.2. In sintonia con il primo Giudice, la Corte di secondo grado disattendeva, poi, la tesi sostenuta dalla difesa della T. in ordine all’applicabilità del disposto dell’art. 80 T.U.L.P.S. ai soli luoghi chiusi e non alle aree scoperte, in quanto, tra le prescrizioni imposte dall’autorità a tutela della pubblica incolumità, rientravano anche quelle relative alle vie di esodo ed alla capacità di deflusso delle persone ospitate nell’area destinata a discoteca, che doveva essere garantita in relazione alle particolari condizioni ed allo stato dei luoghi interessati al trattenimento; inoltre, l’autorizzazione comunale rilasciata, che richiamava, in premessa, proprio l’art. 80 TULPS, individuava uno specifico limite numerico dell’affollamento dell’area e tale prescrizione, dunque, non poteva che essere stata adottata ai fini della tutela della pubblica incolumità (Cass., Sez. I, sent. n. 3128 del 29.9.2011-25.1.2012, RV. 251843).
2.3. Venendo alla responsabilità dell’imputato T.F. , osservava la Corte distrettuale che non potevano considerarsi pertinenti, né aderenti alle risultanze processuali, i riferimenti dell’appellante all’assenza, in capo all’imputato, dei requisiti di continuatività e stabilità della qualità assunta nell’ambito della NEREIDE s.r.l..
Doveva rilevarsi, in primo luogo, che il T. , non solo era presente, sul luogo del fatto, insieme alla figlia P. , in occasione dell’accertamento di cui al capo b) dell’imputazione, come riferito dal teste B. , ma aveva anche interloquito con quest’ultimo su aspetti concernenti il controllo, seguendo personalmente le relative operazioni sino al sequestro effettuato dagli operanti.
Che l’attività svolta dal T. , nell’ambito della gestione del locale, non fosse affatto occasionale, risultava, poi, con chiarezza dalle dichiarazioni del teste BA. , il quale, dipendente della NEREIDE quale addetto alla manutenzione presso la diga, aveva riferito di essere stato assunto proprio dall’imputato, con il quale aveva intrattenuto il relativo colloquio, aggiungendo che sia il predetto che la figlia P. si interessavano attivamente della gestione del locale.
Ulteriori convergenti elementi di prova si desumevano dalla deposizione della teste D.M. , in servizio con mansioni di cuoca presso la Capitaneria di Porto di Trieste, la quale aveva dichiarato di essere andata una sera (il (…)), su richiesta del T. , alla diga, dove aveva cucinato per circa un’ora in sostituzione del cuoco ammalato; tale circostanza era stata confermata dal sottufficiale della Capitaneria CO.Th. .
Anche il teste C. , pur non avendo confermato quanto riferito nella fase procedimentale, aveva ribadito di aver visto l’imputato talvolta in ufficio.
Quanto, infine, alle dichiarazioni rese dai due testi a discarico TR. e GI. in ordine ai rapporti intrattenuti esclusivamente con T.P. , esse non escludevano, di per sé, il ruolo effettivamente rivestito dal T.F. , posto che, nella comune gestione dell’esercizio, gli imputati ben potevano distribuirsi le sfere operative di competenza.
Il TR. , poi, non poteva considerarsi seriamente attendibile, dal momento che, in occasione del suo esame, aveva fornito una risposta – relativa alla ricezione di direttive dalla signora P. – addirittura anticipando la domanda del difensore che aveva tutt’altro oggetto.
In conclusione, doveva confermarsi la sentenza impugnata quanto alla responsabilità di entrambi gli imputati.
3. Ha presentato ricorso per cassazione T.F. per il tramite del suo difensore di fiducia.
3.1. Con il primo motivo, deduce, vizio di motivazione in relazione alla statuizione sull’elemento oggettivo del reato.
La Corte di Appello era giunta ad escludere quello che il primo Giudice aveva acclarato, ossia che un passaggio tra l’area adibita a intrattenimento danzante e lo stabilimento balneare effettivamente vi fosse e fosse rimasto aperto; ciò che avrebbe consentito il passaggio di persone così da rendere sostanzialmente inattendibile l’accertamento svolto dalla P.G. in uscita dall’area transennata, fondante le imputazioni contestate.
Sul punto la Corte si era affidata solo alle deposizioni degli accertatori, senza considerare l’elemento cruciale costituito dalle planimetrie della diga che evidenziavano inequivocamente il passaggio in questione.
La mancata considerazione di tale elemento documentale comportava un evidente vulnus della motivazione, che aveva preso in esame, incongruamente e illogicamente, solo una parte degli elementi probatori acquisiti.
Non esaustiva appariva la sentenza impugnata nel disattendere l’ulteriore argomento difensivo sulla incongruenza del numero delle persone conteggiate rispetto alla superficie dell’area adibita ad intrattenimento (335 mq) che avrebbe portato ad una media di 1,83 persone a metro quadro nel primo episodio e di 3,48 persone a metro quadro nel secondo.
Né poteva essere a tal fine invocata la relazione tecnica dell’ing. G. , in cui si ipotizzava quale mero metodo di calcolo una possibile presenza di due persone per mq come “tetto” di presenze nel locale.
Così facendo, la Corte triestina aveva confuso il piano del dato teorico e astratto con quello della risultanza fattuale concreta, denunciando un ulteriore profilo di illogicità.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia l’inosservanza e/o l’erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche (art. 606 lett. b) c.p.p.).
Dopo aver illustrato il quadro di riferimento normativo, giurisprudenziale e dottrinario sulla figura dell’amministratore di fatto, il difensore del ricorrente evidenziava come i testi escussi (C. , Tr. e Gi. ) avessero costantemente individuato in T.P. il loro referente all’interno della NEREIDE s.r.l., escludendo qualsiasi coinvolgimento in attività gestorie da parte del di lei padre.
Il solo teste di segno contrario BA. non poteva considerarsi pienamente attendibile, a fronte di un esame dibattimentale contrassegnato da risposte incongrue e cadute di memoria.
Doveva, pertanto, concludersi per l’erroneità della sentenza impugnata, che rendeva falsa applicazione delle norme civilistiche atte a qualificare un soggetto, in forza dell’attività gestoria da lui svolta, quale “amministratore di fatto”, ciò sulla scorta di una permanente confusione tra l’attribuzione a un soggetto di detta qualità e la condotta minima rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 681 c.p., che ben poteva consistere nello svolgimento di un’attività saltuaria e non sistematica.
Sotto altro profilo errava la Corte d’Appello nel ritenere dimostrato in capo al T. , nonostante l’equivocità del testimoniale assunto, lo svolgimento di un’attività gestoria rilevante ai fini dell’attribuzione della qualità di “amministratore di fatto” della NEREIDE s.r.l..
Risultava, quindi, evidente la falsa applicazione delle norme poste dagli artt. 110-681 c.p. con particolare riferimento alla erronea qualifica di “co-gestore di fatto” attribuita al ricorrente.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo riguarda la prova dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 681 c.p., contestata sulla base del rilievo che la Corte di Appello di Trieste, affidandosi alle sole deposizioni degli accertatori e non tenendo conto della planimetria in atti, aveva escluso l’esistenza di un passaggio, situato tra l’area adibita a intrattenimento danzante e lo stabilimento balneare, che poteva consentire il transito di persone dall’uno all’altro luogo, così da rendere sostanzialmente inattendibile l’accertamento svolto dalla P.G. in uscita dall’area transennata sul numero dei soggetti presenti nello spazio adibito alle danze.
Tale rilievo, che ripropone, nella sostanza, le osservazioni e deduzioni già formulate in sede di gravame, in contrapposizione argomentativa alle non condivise risposte già ricevute, si scontra, con non consentite incursioni nel merito, con una esaustiva e affatto illogica e contraddittoria lettura delle emergenze processuali svolta in sede di merito.
La sentenza d’appello, infatti, con motivazione esente da evidenti incongruenze e da interne contraddizioni, ha analizzato le risultanze probatorie, illustrando gli elementi fattuali, tratti dai due sopralluoghi effettuati, rispettivamente, dalla Capitaneria di Porto (teste L.S. ) per il primo episodio (dalle ore 00,35 alle ore 2 del (omissis)) e dai Carabinieri della Compagnia di Trieste (teste B. ) per il secondo (nella notte tra il (omissis) ), nonché dalle dichiarazioni dei testi (S. , B. , G. , ma anche da quelle dei testi introdotti dalla difesa Tr. e Gi. ) e dalla planimetria dei luoghi, e ha coerentemente giustificato la loro ricostruzione, anche alla luce delle deduzioni difensive, puntualizzando:
– che il conteggio delle persone presenti era stato fatto all’uscita dall’area transennata della discoteca all’aperto e, subito dopo, al momento in cui le stesse persone prendevano il barchino per la terraferma, proprio al fine di non duplicare il conteggio;
– che, per passare dalla zona dello stabilimento balneare alla zona d’imbarco vi era un’area apposita e non bisognava percorrere necessariamente l’area destinata all’intrattenimento musicale, sicché non si creava possibilità di confusione tra coloro che si trovavano nella zona balneare – che, tra l’altro, dopo le ore 19-19,30 erano chiusi – e coloro che erano presenti all’interno dell’area discoteca.
È, dunque, radicalmente infondato il rilievo della difesa ricorrente per cui la Corte di merito avrebbe erroneamente escluso l’esistenza di un passaggio dalla zona dello stabilimento balneare a quella dello spazio discoteca, avendo, viceversa, i Giudici correttamente dato atto, in base all’univoco testimoniale assunto e alla planimetria, dell’esistenza di due passaggi alternativi (uno solo dei quali coinvolgente l’area adibita a intrattenimento danzante) per raggiungere il punto d’imbarco dallo stabilimento; precisando, inoltre, proprio sulla base delle risultanze della planimetria in atti – che la difesa, a torto, aveva ritenuto trascurata – che la via di accesso separata dalla zona di balneazione al punto d’imbarco era più comoda e rapida di quella, più lunga e disagevole, che doveva passare per l’area discoteca.
Sempre in fatto, quindi egualmente inammissibile, la censura sulla incongruenza del numero delle persone conteggiate rispetto alla superficie dell’area adibita ad intrattenimento (335 mq), peraltro affrontata con argomentare più che plausibile, imperniato sulla variabilità del calcolo a seconda dell’indice di affollamento utilizzato.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Al riguardo il Collegio osserva che la contravvenzione prevista dall’art. 681 c.p. è configurabile ogniqualvolta l’agente organizzi un pubblico spettacolo in assenza di licenza e delle prescrizioni ad essa normalmente inerenti ovvero senza avere osservato le prescrizioni imposte, ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 80, (T.U.L.P.S.) dall’autorità a tutela dell’incolumità pubblica (Sez. 1, Sentenza n. 3128 del 29/9/2011 – dep. 25/1/2012, Pennarola, Rv. 251843).
Per quanto concerne il soggetto attivo del reato, destinatario della norma di cui all’art. 681 c.p. è “chiunque”, cioè tutti coloro i quali, a qualunque titolo e in qualunque veste aprono o tengono aperti luoghi di pubblico spettacolo, trattenimento o ritrovo, senza aver osservato le prescrizioni dell’autorità a tutela dell’incolumità pubblica.
Nella disposizione generica “chiunque” è, quindi, compreso, non solo il titolare di diritto del locale, per esserne proprietario in forza di un titolo giuridico valido, ma altresì chiunque gestisca di fatto il locale stesso, giacché scopo della norma è quello di tutelare la pubblica incolumità e di prevenire eventuali danni o lesioni alle persone che frequentano il locale stesso (Sez. 6, Sentenza n. 7659 del 14/5/1973, Palchetti, Rv. 125337); conseguentemente, la norma de qua si applica anche nei confronti di chi, occasionalmente e se pure per una sola volta, abbia aperto un luogo di pubblico spettacolo (Sez. 1, Sentenza n. 33779 del 10/6/2013, Tonetto, Rv. 257176).
La Corte di merito, in coerenza con le descritte coordinate normative e giurisprudenziali, ha ravvisato in capo al ricorrente la qualità di co-gestore di fatto, unitamente alla figlia P. , della NEREIDE s.r.l., sulla base delle fonti testimoniali assunte, correttamente evincendone il coinvolgimento, in forma continuativa e stabile, nella gestione dell’azienda dai seguenti elementi fattuali:
– il T. era presente, in azienda, insieme alla figlia P. , in occasione dell’accertamento di cui al capo b) dell’imputazione, e, come riferito dal teste B. , aveva interloquito con quest’ultimo su aspetti concernenti il controllo, seguendo personalmente le relative operazioni sino al sequestro effettuato dagli operanti;
– il T. si era personalmente occupato dell’assunzione del teste B. quale addetto alla manutenzione presso la diga, come riferito da esso teste, il quale aveva aggiunto che sia l’imputato che la figlia P. si interessavano attivamente della gestione del locale: in particolare, il ricorrente “ogni giorno, dopo il turno di lavoro, giungeva in diga e si dedicava attivamente a gestire tutta l’attività” impartendo le opportune direttive ed era solito rimanere sul posto “fino alla fine di ogni serata, a volte anche fino alle due o alle tre del mattino” (foglio n. 8 della sentenza impugnata);
– la teste D.M. , in servizio con mansioni di cuoca presso la Capitaneria di Porto di Trieste, aveva dichiarato di essersi recata la sera del (…), su richiesta del T. , presso la diga, dove aveva cucinato per circa un’ora in sostituzione del cuoco ammalato, circostanza confermata dal sottufficiale della Capitaneria CO.Th. .
A fronte di argomenti del tutto scevri da vizi logici o da illogicità manifeste, la difesa ricorrente ha rappresentato in modo alquanto distorto le emergenze istruttorie dibattimentali, omettendo di considerare, accanto alla deposizione del BA. (a torto indicato quale unico teste a carico), quelle del Capitano B. e della cuoca D.M. ; tacciando, in modo generico e assertivo, di inattendibilità la testimonianza del BA. predetto e descrivendo il testimoniale a discarico (formato dalle dichiarazioni dei testi C. , TR. e GI. ) in termini di coesione e univocità.
I Giudici di seconde cure, a tal proposito, hanno dato risposte razionali e sempre contenute nei limiti della plausibile opinabilità di apprezzamento, insindacabile in questa sede, osservando:
– quanto al teste BA. , che il difetto di memoria sull’identità della persona con la quale aveva sottoscritto il contratto di lavoro per la NEREIDE, a distanza di tre anni dal fatto, non indeboliva, ma, anzi, rafforzava la sua attendibilità, essendo comprensibile che ricordasse l’identità della persona che l’aveva, nella sostanza, assunto, piuttosto che l’identità di quella con la quale aveva concluso l’adempimento formale della sottoscrizione del contratto;
– quanto alle dichiarazioni del teste C. , che egli, pur non avendo confermato quanto riferito nel corso delle indagini a proposito del coinvolgimento del T. nella gestione dell’azienda, aveva, comunque, dichiarato di aver visto il ricorrente qualche volta in ufficio;
– infine, quanto alle deposizioni rese dai testi TR. (sui profili di inattendibilità del quale, valutati dalla Corte, si è dato atto nella parte espositiva del fatto) e GI. sul rapporti intrattenuti esclusivamente con T.P. , che esse non escludevano, di per sé, il ruolo effettivamente rivestito dal ricorrente, dal momento che, nella comune gestione dell’esercizio, gli imputati ben potevano distribuirsi le rispettive sfere operative di competenza.
Anche la censura sulla qualificazione della condotta del T.F. come co-gestione di fatto dell’azienda in esame si rivela, pertanto, infondata.
3. Il ricorso, in conclusione, va, nel complesso, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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