Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 12 gennaio 2016, n. 882
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristina – Presidente
Dott. MAZZEI Antonella P – rel. Consigliere
Dott. CASA Filippo – Consigliere
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 19/11/2014 del Tribunale di sorveglianza di Venezia.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonella Patrizia Mazzei;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Salzano Francesco, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 19 novembre 2014 il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha respinto il reclamo proposto da (OMISSIS), in espiazione di cumulo di pene di anni 24, mesi 5 e giorni 25 di reclusione per i reati di cui agli articoli 416 bis, 575 e 629 c.p. ed altri, anche aggravati dalla Legge n. 203 del 1991, articolo 7, con fine pena previsto al 1 ottobre 2034, diretta ad ottenere un permesso di necessita’ per recarsi presso la casa di accoglienza “(OMISSIS)” di (OMISSIS), dove incontrare la moglie e trattenere un rapporto intimo con lei.
A ragione della decisione il Tribunale ha addotto che la consumazione del matrimonio (il (OMISSIS) si era sposato con rito civile nel corso della detenzione, il 6 aprile 2009, con la donna cui era gia’ unito in precedenza e dalla quale ha avuto due figli di sette e dieci anni al tempo della decisione) non rientrava nella previsione di cui all’articolo 30, comma 2, Ord. Pen., quale evento familiare di particolare gravita’, legittimante il permesso anche a favore dei detenuti che non fruiscono di permessi premio, e, a conforto, ha richiamato la conforme giurisprudenza della Corte di legittimita’ (sentenza n. 48165 del 2008).
L’esercizio dell’affettivita’, inteso come espressione della sessualita’, allo stato della normativa vigente e’ assicurato al detenuto dal permesso premio e non dal permesso cosiddetto di necessita’, che l’interessato ha invocato anche al fine di evitare l’annullamento del matrimonio per mancata consumazione.
2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS) tramite il difensore, avvocato (OMISSIS) del foro di Padova, il quale deduce due motivi.
2.1. Erronea applicazione delle legge penale speciale e manifesta illogicita’ della motivazione.
(OMISSIS) ha chiesto la consumazione del matrimonio, da ritenersi evento unico e irripetibile ed ontologicamente eccezionale, e non l’esercizio (ordinario) dell’affettivita’. Tale atto non e’ rinviabile ai tempi lunghissimi del permesso premio.
L’articolo 30, comma 2, Ord. Pen. non va circoscritto ai soli eventi pregiudizievoli o deteriori per la condizione del nucleo familiare di appartenenza del condannato.
L’interpretazione restrittiva, illegittimamente e illogicamente sostenuta, contrasterebbe con la Legge n. 898 del 1970, articolo 3, punto f), della e con le disposizioni che tutelano la famiglia.
2.2. In subordine, il ricorrente sollecita questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 30, comma 2, Ord. Pen., nell’interpretazione fattane dal diritto vivente, per violazione dell’articolo 2 Cost. e articolo 3 Cost. (comma 2), articolo 27 Cost. (comma 3), articoli 29 e 117 Cost., in riferimento agli articoli 8 e 12 Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali), nella parte in cui dopo la parola “gravita’” non prevede le parole “o rilevanza”.
3. Il Procuratore generale, nella requisitoria depositata il 25 marzo 2015, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
1.1. Questa Corte ha gia’ affermato che non costituisce motivo grave che, se accertato, puo’ legittimare la concessione di permesso al detenuto a norma della Legge 26 luglio 1975, n. 354, articolo 30, di Ordinamento penitenziario (abbreviata in Ord. Pen.), la necessita’ di trascorrere un breve periodo di tempo con il coniuge, al fine di consumare il matrimonio celebrato in carcere da parte di detenuto che non si trovi ancora nelle condizioni di poter beneficiare del permesso premio ai sensi del successivo articolo 30-ter (Sez. 1, n. 48165 del 26/11/2008, Rannesi, Rv. 242437).
1.2. Il sollevato dubbio di costituzionalita’ in relazione all’articolo 2 Cost., articolo 3 Cost. (comma 2), articolo 27 Cost. (comma 3), articoli 29 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli articoli 8 e 12 Cedu, e’ manifestamente infondato, poiche’ rientra nella discrezionalita’ propria del legislatore la limitazione della possibilita’ di concedere ai condannati e agli internati il permesso cosiddetto di necessita’, previsto dalla Legge n. 354 del 1975, articolo 30, ai soli casi di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente e, solo eccezionalmente, per eventi familiari di particolare gravita’, in adesione alla struttura e finalita’ dell’istituto che non costituisce un beneficio premiale, supponente una soglia minima di pena gia’ espiata e la positiva valutazione della condotta in carcere, bensi’ una misura concedibile a qualsivoglia condannato proprio per il suo carattere emergenziale ed eccezionale e, quindi, coerentemente limitata a situazioni la cui gravita’ si ponga in termini di irreparabilita’ attuale (morte di un familiare o di un convivente) o concretamente probabile (imminente pericolo di vita degli stessi), o sia comunque connotata dall’incombere di eventi familiari particolarmente pregiudizievoli.
Ne consegue che esula dai limiti del controllo di legittimita’ costituzionale l’operazione additiva, sostanzialmente richiesta con la trasmissione degli atti al Giudice delle leggi, in funzione dell’interpretazione estensiva della nozione di “evento familiare di particolare gravita’” fino a ricomprendervi l’evento di “speciale rilevanza”, in cui resterebbe incluso il diritto del detenuto di esercitare la propria sessualita’ a seguito di matrimonio contratto in carcere (sulla inammissibilita’ delle questioni di costituzionalita’ che richiedano interventi additivi in materia riservata alla discrezionalita’ del legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, si vedano, ex plurimis, le sentenze della Corte cost. n. 301 del 2012, n. 134 del 2012 e n. 271 del 2010; e le ordinanze: n. 138 del 2012 e n. 113 del 2012).
Va aggiunto che e’ manifestamente infondata la censura del ricorrente che riconduce l’esercizio della propria affettivita’ nella sfera sessuale al diritto di sposarsi e di formare una famiglia (articolo 29 Cost. e articolo 12 Cedu) e al diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8 Cedu), da riconoscere anche alle persone condannate, in stato di detenzione in carcere, attraverso l’istituto del permesso di cui all’articolo 30 Ord. Pen..
La Corte Edu ha gia’, piu’ volte, ricordato che qualsiasi detenzione regolare rispetto all’articolo 5 della Cedu comporta, per la sua stessa natura, una restrizione alla vita privata e famigliare dell’interessato e che tali restrizioni sono legittime se non abbiano ecceduto quanto e’ necessario, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della medesima Convenzione, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, in una societa’ democratica (c.f.r., tra le piu’ recenti: Dec. 1/4/2014, Bellomonte c. Italia, e Dee. 9/3/2013, Riina c. Italia).
E, nel caso di specie, considerata la gravita’ dei reati per cui e’ condanna in espiazione (inclusi nel catalogo di cui all’articolo 4-bis Ord. Pen.), il lontano fine pena (2034) e la non remota decorrenza di essa (dal 18 settembre 2010) le limitazioni subite dal ricorrente nella sua vita privata e famigliare risultano del tutto proporzionate agli scopi legittimamente perseguiti attraverso l’esecuzione della pena senza che lo Stato abbia oltrepassato il margine di apprezzamento di cui gode in materia.
2. Segue il rigetto del ricorso anche per manifesta infondatezza della questione di costituzionalita’ prospettata e, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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