L’art. 30 ord. pen. contempla due distinte ipotesi, in presenza delle quali è possibile- concedere il permesso. La prima, disciplinata dal comma 1, riguarda l’imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente. La seconda, disciplinata dal comma 2, è definita con riferimento a tre elementi: il carattere eccezionale della concessione; la particolare gravità dell’evento; l’attinenza dei medesimo alla vita familiare.
L’eccezionalità della concessione e la particolare gravità dell’evento si confermano e rafforzano vicendevolmente, concorrendo a definire un fatto dei tutto al di fuori della quotidianità sia per il suo intrinseco rilievo sia per la non frequenza del suo verificarsi.
Quanto all’attinenza alla vita familiare, sebbene la disposizione faccia uso soltanto di questo aggettivo, è da ritenere che il legislatore abbia inteso contemplare, come ha espressamente fatto per l’analogo permesso premio previsto per l’imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, eventi legati alla vita della famiglia sia legale che di fatto. L’istituto del permesso ex art. 30 ord. pen. si connota, quindi, come rimedio eccezionale diretto a evitare, per finalità di umanizzazione della pena, che all’afflizione propria della detenzione si assommi inutilmente quella derivabile all’interessato dall’impossibilità di essere vicino ai congiunti o di adoperarsi in favore degli stessi in occasione di vicende particolarmente avverse della vita familiare. Sotto tale profilo, dunque, l’istituto di cui all’art. 30 ord. pen. si caratterizza in modo tale da non consentirne l’utilizzazione come strumento del trattamento.
Il permesso ordinario deve essere tenuto distinto dal permesso premio (art. 30 ter ord. pen.) che ha, invece, una valenza premiale, come suggerisce, dei resto, la stessa denominazione dell’istituto. La relativa esperienza costituisce parte integrante del programma di trattamento (art. 30-ter, comma 1).
Il permesso premio è un incentivo alla collaborazione del detenuto con l’istituzione carceraria in funzione del premio previsto e, al tempo stesso, rappresenta uno strumento di rieducazione, in quanto consente un iniziale reinserimento dei condannato in società.
Il beneficio diviene, altresì, attraverso l’osservazione da parte degli operatori penitenziari degli effetti sul condannato del temporaneo ritorno in libertà, strumento diretto ad agevolarne la progressione rieducativa

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 30 agosto 2016, n. 35813

Ritenuto in fatto

1. II 25 novembre 2014 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila rigettava il reclamo presentato da I. G. avverso il provvedimento col quale il locale Magistrato di sorveglianza aveva rigettato la richiesta di permesso dallo stesso avanzata ai sensi dell’art. 30 ord. pen. allo scopo di potere “convolare a nozze con la sua compagna e di …perfezionare l’unione morale e materiale tra i coniugi, come previsto dal Codice Civile e dai Patti Lateranensi”.
2. Il Tribunale osservava che il provvedimento di rigetto si fondava sull’impossibilità di ricondurre la ragione addotta a sostegno della richiesta alla categoria degli eventi familiari di particolare gravità, cui l’art. 30, comma 2, subordina la concessione del beneficio invocato, che “presuppongono situazioni di pericolo o di emergenza familiare, connotate da eccezionalità e da particolare gravità”. Mentre “la necessità di consumare il matrimonio anche in vista della procreazione di figli non può però ricondursi nell’ambito applicativo” di cui al suddetto articolo, “avendo piuttosto, quale evento dal contenuto positivo, valenza trattamentale cui è finalizzato il diverso istituto del permesso premio, applicabile sempre che ne ricorrano le condizioni di ammissibilità”.
3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, I. G., il quale lamenta inosservanza ed erronea applicazione di legge, nonché vizio della motivazione con riferimento alle ragioni poste a base del diniego dei beneficio invocato, espressive di un’interpretazione restrittiva del comma 2 dell’art. 30 Ord. pen. e tali da svuotare di contenuto il valore positivo della norma, considerato il quadro di riferimento dei diritti costituzionalmente garantiti (artt. 2, 27 e 29) e delle garanzie della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (artt. 3 e 8) in cui si colloca l’istituto in oggetto e quindi la sua precipua finalità umanitaria.

Considerato in diritto

1. II ricorso non è fondato e va, pertanto, rigettato.
2. Invero, l’art. 30 ord. pen. contempla due distinte ipotesi, in presenza delle quali è possibile- concedere il permesso. La prima, disciplinata dal comma 1, riguarda l’imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente. La seconda, disciplinata dal comma 2, è definita con riferimento a tre elementi: il carattere eccezionale della concessione; la particolare gravità dell’evento; l’attinenza dei medesimo alla vita familiare.
Come evidenziato in ultimo da Sez. 1, n. 11581 del 05/02/2013 – dep. 12/03/2013, Grillo, Rv. 255311 “L’eccezionalità della concessione e la particolare gravità dell’evento si confermano e rafforzano vicendevolmente, concorrendo a definire un fatto dei tutto al di fuori della quotidianità sia per il suo intrinseco rilievo sia per la non frequenza del suo verificarsi.
Quanto all’attinenza alla vita familiare, sebbene la disposizione faccia uso soltanto di questo aggettivo, è da ritenere che il legislatore abbia inteso contemplare, come ha espressamente fatto per l’analogo permesso premio previsto per l’imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, eventi legati alla vita della famiglia sia legale che di fatto. L’istituto del permesso ex art. 30 ord. pen. si connota, quindi, come rimedio eccezionale diretto a evitare, per finalità di umanizzazione della pena, che all’afflizione propria della detenzione si assommi inutilmente quella derivabile all’interessato dall’impossibilità di essere vicino ai congiunti o di adoperarsi in favore degli stessi in occasione di vicende particolarmente avverse della vita familiare. Sotto tale profilo, dunque, l’istituto di cui all’art. 30 ord. pen. si caratterizza in modo tale da non consentirne l’utilizzazione come strumento del trattamento (cfr. sul punto anche Corte Cost. n. 84 del 1977).
Il permesso ordinario deve essere tenuto distinto dal permesso premio (art. 30 ter ord. pen.) che ha, invece, una valenza premiale, come suggerisce, dei resto, la stessa denominazione dell’istituto. La relativa esperienza costituisce parte integrante del programma di trattamento (art. 30-ter, comma 1).
Il permesso premio è un incentivo alla collaborazione del detenuto con l’istituzione carceraria in funzione del premio previsto e, al tempo stesso, rappresenta uno strumento di rieducazione, in quanto consente un iniziale reinserimento dei condannato in società. (Corte Cost. sent. n. 90 del 1988).
Il beneficio diviene, altresì, attraverso l’osservazione da parte degli operatori penitenziari degli effetti sul condannato del temporaneo ritorno in libertà, strumento diretto ad agevolarne la progressione rieducativa (Corte Cost. n. 227 e 504 del 1995)”.
3. Nel caso in esame I. G. ha avanzato l’istanza di permesso ai sensi dell’art. 30, comma 2, e non – come astrattamente possibile – dell’art. 30 ter ord. pen. Correttamente, quindi, il Magistrato di sorveglianza ha respinto la richiesta e il Tribunale di sorveglianza ha rigettato il reclamo avverso il citato provvedimento, atteso che l’analogia delle situazioni disciplinate nell’art. 30, comma 2 con quelle previste dal comma 1 della medesima disposizione rende evidente che la concessione dei permesso ai sensi dell’art. 30 ord. pen. presuppone la sussistenza di situazioni di pericolo o di emergenza familiare, connotate da eccezionalità e da particolare gravità, come evidenziato dall’ordinanza impugnata. Alla luce di detti profili la necessità di convolare a nozze e consumare il matrimonio non può costituire un evento suscettibile di essere ricondotto alla categoria degli eventi eccezionali, caratterizzati da particolare gravità, idoneo a giustificare il ricorso alla previsione contenuta nell’art. 30 ord. pen. (Sez. 1, n. 48165 del 26 novembre 2008 e nello stesso senso la sentenza in ultimo citata).
4. Al rigetto dei ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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