SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Sentenza 1 ottobre 2012, n. 37713

Rileva in fatto e diritto

Con sentenza, deliberata il 3 febbraio 2012 e depositata 2 marzo 2012, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale ordinario di quella stessa sede – Sezione distaccata di Gallipoli, 25 marzo 2011, di condanna, nel concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena di cinque mesi di arresto e Euro 23.000 di ammenda a carico di M.C., imputato del reato di cui agli articoli 44, comma 1, lettere b) e c) del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, emanato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per aver eseguito, senza permesso di costruzione, lavori in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in (omissis).

Con riferimento ai motivi di gravame e in relazione a quanto assume rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità, la Corte territoriale ha osservato: la polizia giudiziaria ha constatato e documentato la realizzazione, all’interno dei preesistenti manufatti, di un bagno e di una cucina, nel primo corpo di fabbrica, e di sette stanze (ciascuna da trenta metri quadrati) nel secondo corpo di fabbrica; la preesistenza dell’edificio non esentava l’appellante dal permesso di costruzione, in quanto il giudicabile ha creato all’interno degli immobili “stanze e strutture chiuse ex novo”, così ponendo in essere “un intervento di nuova costruzione”; è, poi, irrilevante l’accertamento del concreto “impatto negativo” sul paesaggio; anche nel caso di demolizione e ricostruzione del medesimo immobile è necessaria la autorizzazione paesaggistica; e nella specie le opere hanno comportato l’aumento della volumetria; quanto, infine, al trattamento sanzionatorio, il primo giudice ha contenuto la pena base nei minimi edittali e la ha ridotta per effetto delle circostanze attenuanti generiche, sicché la dosimetria della pena non appare afflittiva.

2. — Ricorre l’imputato, col ministero del difensore di fiducia, avv ——–, mediante atto recante la data del 23 maggio 2012, col quale sviluppa due motivi con i quali dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione agli articoli 3, 10, 22, 37 e 44 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, cit. (primo motivo) e in relazione agli articoli 149 e 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (secondo motivo); nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione anche sotto il profilo della formale violazione degli articoli 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. (con entrambi i mezzi di impugnazione).

2.1 – Col primo motivo il difensore deduce: non è stato realizzato alcun “aumento volumetrico degli immobili”; il teste esaminato non ha indicato consistenza e entità del preteso incremento, supposto conseguente alla “diversa tipologia” dei materiali impiegati nella ricostruzione (conci di tufo delle pareti e muri di attico); irrilevante — peraltro in carenza di emergenze dibattimentali in proposito — è la realizzazione “all’interno [delle costruzioni] di più ambienti rispetto a quelli preesistenti”; le c.d. “opere interne” non sono sottoposte a concessione o autorizzazione amministrativa; e tanto ribadisce l’articolo 9 del Regolamento edilizio del comune di Gallipoli; nella specie, comunque, la superficie utile è rimasta inalterata; le opere realizzate rientrano nella “manutenzione straordinaria”, nel “restauro o risanamento conservativo” o, tutt’al più, nella ristrutturazione c.d. “leggera”, per la quale è sufficiente la sola denunzia di inizio dei lavori.

2.2 – Col secondo motivo il difensore oppone: il precedente di legittimità invocato dalla Corte territoriale non è pertinente; nella specie, infatti, si è trattato non della “totale demolizione e ricostruzione” del fabbricato, bensì del “rifacimento” dei vetusti solai; non sono variate né la volumetria, né le superfici utili; sotto nessun profilo risulta leso il bene giuridico protetto; la previsione della possibilità della sanzione accessoria della rimessione in pristino esclude che possa ritenersi punibile “la mera disobbedienza” in difetto della offensività della condotta.

3. — Il ricorso merita accoglimento.

3.1. — Secondo la rappresentazione della Corte territoriale, circa l’accertamento operato nel dibattimento, la condotta del ricorrente si è esaurita in interventi, di vario tipo, tutti all’interno dei fabbricati e le opere realizzate non hanno comportato alcun ampliamento del perimetro esterno dei manufatti, né la elevazione delle rispettive altezze.

E, bensì, vero che (innovando rispetto al precedente indirizzo, che escludeva, in assoluto, la possibilità di configurare la contravvenzione in relazione a tutte le ristrutturazioni interne che lasciavano inalterata la sagoma della costruzione) la più recente giurisprudenza di questa Corte suprema di cassazione ha fissato il principio di diritto secondo il quale le cosiddette opere interne, non più previste nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come categoria autonoma di intervento edilizio sugli edifici esistenti, quando comportino aumento di unità immobiliari o modifiche dei volumi, dei prospetti e delle superfici ovvero mutamento di destinazione d’uso rientrano negli interventi di ristrutturazione edilizia per i quali è necessario il permesso di costruire (v., da ultimo, Sez. III, n. 47438 del 24/11/2011 – dep. 21/12/2011, Truppi, Rv. 251637).

Nella specie, tuttavia, appare innanzi tutto fuori discussione – neppure forma oggetto di contestazione — il mutamento della destinazione di uso dei fabbricati.

Quanto all’aumento volumetrico, genericamente supposto dalla Corte territoriale, l’assunto relativo (al di là del rilevo dell’omessa quantificazione della cubatura realizzata in eccedenza) è resistito dal riconoscimento della stessa Corte di merito che la “superficie iniziale” della costruzione era rimasta, in esito ai lavori eseguiti, affatto “inalterata”.

Epperò — contrariamente all’assunto del giudice a quo – è da escludersi che integri “aumento volumetrico”, il quale richiede il permesso di costruzione, ogni diversa distribuzione in vani, per numero e ampiezza, della identica superficie totale calpestatale, salvo, beninteso il caso — non ricorrente nella specie — della realizzazione di “unità immobiliari” autonome (v, in proposito, Sez. 3, n. 20350 del 16/03/2010 – dep. 28/05/2010, Magistrati, Rv. 247177).

3.2 – Neppure è configurabile il residuo reato di cui all’articolo 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

Fermo il principio che la contravvenzione “ha natura di reato di pericolo e non richiede per la sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente”, pur tuttavia devono escludersi “dal novero delle condotte penalmente rilevanti [..] quelle che si prospettino inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici” (Sez. 3, n. 34764 del 21/06/2011 – dep. 26/09/2011, Fanciulli, Rv. 251244).

E tale è, per l’appunto, alla luce delle considerazioni illustrate nel paragrafo che precede, il caso oggetto del presente scrutinio di legittimità.

Mentre – è appena il caso di aggiungere — non è assolutamente pertinente il precedente evocato dalla Corte territoriale (Sez. 3, n. 45072 del 24/10/2008 – dep. 04/12/2008, Lavanco e altro, Rv. 241788), trattandosi di arresto concernente la edificazione di “opera nuova [la quale] non aveva niente a che vedere con quella preesistente demolita” sicché costituiva “un organismo edilizio completamente diverso”.

3.3 – Consegue l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata perché 0 fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

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