Vanno rimesse alle Sezioni Unite le seguenti questioni di diritto: “Se sia ammissibile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee” e “Se, in ossequio al favor rei, ferma la configurabilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, ove il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite esclusivamente con la pena pecuniaria, l’aumento di pena per quest’ultimo debba conservare il genere di pena pecuniaria”

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 11 aprile 2018, n.16104.

Vanno rimesse alle Sezioni Unite le seguenti questioni di diritto: “Se sia ammissibile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee” e “Se, in ossequio al favor rei, ferma la configurabilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, ove il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite esclusivamente con la pena pecuniaria, l’aumento di pena per quest’ultimo debba conservare il genere di pena pecuniaria”

CORTE DI CASSAZIONE
sezione quarta penale
SENTENZA 11 aprile 2018, n.16104

Pres. Izzo – est. Picardi
Considerato in diritto

1. Occorre premettere che la questione della legittimità della conversione della pena pecuniaria in pena detentiva in virtù dell’art. 81 cod.pen. non è stata affrontata nei precedenti gradi di giudizio, essendo stata prospettata dai ricorrenti per la prima volta con il presente ricorso. Il suo esame non può, tuttavia, ritenersi precluso, atteso che il motivo attiene alla legalità della pena ed è, dunque, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità a condizione che il ricorso per cassazione sia ammissibile (Sez. 5, n. 24926 del 12/2003, rv. 229812, secondo cui l’illegittimità della pena è rilevabile d’ufficio ed è, quindi, sindacabile indipendentemente dalla deduzione di specifiche doglianze in sede di impugnazione; tuttavia, essa non determina il superamento della preclusione processuale derivante dall’inammissibilità del gravame, che impedisce il passaggio del procedimento all’ulteriore grado di giudizio ed inibisce la cognizione della questione e la rivisitazione del decisum per la formazione del giudicato interno; più recentemente, Sez. 2, n. 44667 del 08/07/2013 ud. – dep. 06/11/2013, Rv. 257612, secondo cui la violazione del principio di legalità della pena è rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di cassazione a condizione che il ricorso non sia inammissibile e l’esame della questione rappresentata non comporti accertamenti in fatto o valutazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità e, da ultimo, argomentando a contrario, Sez. U, n.47766 del 26/06/2015 ud. – dep. 03/12/2015, Rv. 265106, secondo cui nel giudizio di cassazione, l’illegalità della pena non è rilevabile d’ufficio in presenza di un ricorso inammissibile perché presentato fuori termine).

2. Riguardo alla problematica in esame è recentemente riaffiorato il contrasto interpretativo che già aveva diviso la giurisprudenza e richiesto l’intervento delle Sezioni Unite e della Corte costituzionale.

3. In proposito va ricordato che in un primo momento la Consulta, con la sentenza del 4 gennaio 1977, n. 34, aveva espressamente escluso l’applicabilità dell’art. 81 cod.pen. in caso di reati puniti con pene disomogenee, mentre, successivamente, con la sentenza n. 312 del 1988, superando tale precedente, ha ammesso l’applicabilità dell’art. 81 cod.pen. ai reati puniti con pene di specie diversa, precisando, però, in motivazione che ‘non sí tratta di decidere sul piano teorico la maggiore o minore gravità dell’una o dell’altra pena, ma soltanto di far godere all’imputato, quale beneficio dipendente dall’istituto della continuazione, una minore limitazione della libertà personale rispetto a quella che gli deriverebbe dal cumulo materiale delle pene’.

Deve, comunque, sottolinearsi che in nessuna di tali pronunce la Consulta si è soffermata sulla compatibilità con i principi costituzionali dell’eventuale conversione della pena pecuniaria in pena detentiva, limitandosi a rigettare le questioni prospettate in ordine all’ambito applicativo dell’art. 81 cod.pen. alla luce dell’interpretazione della disposizione de qua affermatasi nella giurisprudenza di legittimità.

4. Le Sezioni Unite, in un primo momento, avevano ritenuto che, nel caso in cui i reati in concorso formale tra loro o legati dal vincolo della continuazione fossero puniti dalla legge con pene di specie diversa, anche se dello stesso genere, non potesse trovare applicazione il trattamento sanzionatorio previsto dall’art 81 cod. pen., in quanto l’unificazione di pene di specie diversa in una sola di unica specie avrebbe comportato la violazione dell’art 1 cod. pen., perché avrebbe come effetto l’irrogazione per il reato, per il quale è prevista una pena di altra specie, di una sanzione, anche se quantitativamente ridotta, che non è quella comminata dalla legge e che non è conguagliabile con la prima (Sez. U, n. 12190 del 23/10/1976, rv. 134813).

Successivamente, tuttavia, si è consolidato il diverso l’orientamento secondo cui, una volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati ‘satellite’ non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, senza che rilevi la ‘qualità’ della pena prevista per i reati ‘satellite’ (Sez. U, n. 4901 del 1992, rv. 191129; Sez. U, n.15 del 26/11/1997, rv. 209487; Sez. U, n. 25939 del 2013, non massimata sul punto).

In definitiva, l’omologazione delle pene di specie o genere diverso sarebbe la conseguenza della perdita di autonomia sanzionatoria dei reati meno gravi, nell’ambito dell’unica pena legale di cui all’art. 81 cod.pen. In tale ottica, è pienamente conforme all’art. 1 cod.pen. l’aumento ex art. 81 cod.pen. della pena detentiva prevista per il reato più grave in astratto, secondo il metodo di calcolo cd. della moltiplicazione, anche laddove il reato satellite sia punito esclusivamente con la pena pecuniaria, in quanto la pena stabilita dalla legge non è solo quella prevista dalla singola norma incriminatrice, ma quella che risulta dal coordinamento sistematico delle disposizioni sul trattamento sanzionatorio.

5. Tale soluzione, pur confermata dalla giurisprudenza prevalente (v., tra le altre, Sez. 5, n.35999 del 2015, rv. 265002, e Sez. 5 n. 26450 del 2017, rv. 270540), è stata di recente messa in discussione da Sez. 5, n. 46695 del 2016, rv. 268638, secondo cui deve escludersi l’applicabilità dello speciale criterio di determinazione della pena, stabilito nei primi due commi dell’art. 81 cod. pen., nei casi in cui il concorso formale e la continuazione abbiano ad oggetto reati puniti con pene eterogenee o di specie diversa, poiché in tali ipotesi l’unificazione delle pene diverse, con relativo aumento di quella prevista per il reato più grave, determina la conversione delle pene per i reati satellite in pene più gravi per genere o specie, in violazione del principio del favor rei che ispira la disciplina del reato continuato (a tale precedente si è conformata successivamente Sez. 4, n.46963 del 20/09/2017 ud., dep. 12/10/2017, non massimata sul punto, in cui il problema della legalità della pena è stato affrontato d’ufficio ai sensi dell’art. 609 cod.pen.).

6. Ritiene il collegio che l’orientamento giurisprudenziale attualmente prevalente presenti profili di contrasto con la posizione assunta dalle Sezioni Unite o della giurisprudenza di legittimità in tema di reato continuato, in cui, nella ricostruzione di tale istituto, all’approccio unitario prescelto per la determinazione della pena viene preferito un approccio multifocale, che tende a preservare l’autonomia dei reati satellite rispetto al reato più grave laddove ciò sia funzionale alla realizzazione della ratio del favor rei dell’istituto.

Sembra, difatti, sussistere una incoerenza o, comunque, un mancato coordinamento tra l’orientamento delle Sezioni Unite secondo cui, una volta ritenuta la continuazione, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati ‘satellite’ non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, senza che rilevi la ‘qualità’ di quella originaria (Sez. U, n. 4901 del 1992, rv. 191129; Sez. U, n.15 del 26/11/1997, rv. 209487; Sez. U, n. 25939 del 2013, non massimata sul punto), ed i seguenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che, al fine di preservare la ratio del favor rei, privilegiano una ricostruzione pluralistica del reato continuato:

Sez. U, n. 18 del 16/11/1989, Rv. 183004, secondo cui, in tema di applicazione di indulto a reati unificati con il vincolo della continuazione (sia nell’ipotesi in cui a cagione del titolo alcuni fra i reati unificati siano esclusi ed altri compresi nel provvedimento di clemenza, sia nella diversa ipotesi in cui alcuni dei reati siano stati commessi prima ed altri dopo il termine di efficacia previsto nel decreto di concessione del condono), il reato continuato, a meno che diverse disposizioni al riguardo siano dettate nello specifico provvedimento di clemenza, va scisso, al fine di applicare il beneficio a quei reati che vi rientrano;

– Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, Rv. 207939, secondo cui, ai fini sia dell’articolo 303, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., sia dell’art. 300, comma quarto, stesso codice, nel caso di condanna per più reati avvinti dalla continuazione, per alcuni dei quali soltanto (nella specie per i reati satellite) mantenga efficacia la custodia cautelare, per ‘condanna’ e per ‘pena inflitta’ devono, rispettivamente, intendersi la condanna e la pena inflitte per questi ultimi reati, e non la condanna e la pena inflitte per l’intero reato continuato, in quanto l’unificazione legislativa di più reati nel reato continuato va affermata laddove vi sia una disposizione apposita in tal senso o laddove la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non potendo dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il reo è alla base della ratio del reato continuato (più recentemente v. Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009, Rv. 243588, secondo cui in caso di condanna non definitiva per reato continuato, al fine di valutare l’eventuale perdita di efficacia ai sensi dell’art. 300 comma quarto cod. proc. pen., della custodia cautelare applicata soltanto per il reato satellite, la pena alla quale occorre fare riferimento è quella inflitta come aumento per tale titolo);

– Sez. U, n. 14 del 30/06/1999 Cc., Rv. 214355, secondo cui, nel corso dell’esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che non impediscono la loro concessione e sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi – più recentemente Sez. 1, n. 14563 del 12/04/2006, Rv. 233946;

– Sez. U, n.3286 del 27/11/2008, Rv. 241755, secondo cui, in tema di continuazione, la circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso – più recentemente Sez. 4, n. 4616 del 23/11/2017, Rv. 271947;

– Sez. 3, n. 42891 del 16/10/2008, Rv. 241539, secondo cui, in tema di condizioni di procedibilità, il diritto di querela decorre, in caso di reato continuato, dal momento in cui la persona offesa ha conoscenza certa del fatto – reato e non dall’ultimo momento consumativo della continuazione.

7. Del resto, anche dal punto di vista normativo può rilevarsi che, all’esito dell’intervento del legislatore del 2005 (legge 5 dicembre 2005, n. 251), è stata privilegiata, in un’ottica di favor rei, l’autonomia dei reati, avvinti dal nesso della continuazione, ai fini dell’individuazione del dies a quo della prescrizione.

A ciò si aggiunga che, da un lato, l’art. 81 cod.pen. sembra fare riferimento solo ad un aumento quantitativo della pena base, ma non ad una sua trasformazione qualitativa (v. in particolare ultimo comma ‘l’aumento della quantità di pena’) e, dall’altro, l’art. 669 cod.proc.pen. attribuisce minore gravità alla pena pecuniaria rispetto a quella detentiva, giustificando, in un’ottica di favor rei, una trasformazione della pena detentiva in quella pecuniaria ma non il contrario.

Infine, l’art. 533, secondo comma, cod.proc.pen., nel dividere, con riferimento al reato continuato, il processo di quantificazione della pena in due fasi, mantenendo distinti i singoli reati (‘il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme…sulla continuazione’), consentirebbe la determinazione della pena in termini di addizione della pena eterogenea più favorevole, senza alcuna necessità di trasformare quella pecuniaria in detentiva secondo lo schema della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, che ha una sua ragione d’essere solo in presenza di pene omogenee.

8. Peraltro, anche sul piano costituzionale, la pena detentiva è più grave di quella pecuniaria, essendo il livello di tutela accordato alla libertà personale più elevato di quella predisposta a favore dei beni patrimoniali, come risulta dal confronto tra gli artt. 13 e 42 Cost., per cui appare più conforme al sistema costituzionale la soluzione interpretativa, che, pur affermando l’applicabilità dell’art. 81 cod.pen. ai reati puniti con pene di specie o genere diverso, quantifichi la pena finale tenendo conto della disomogeneità del trattamento sanzionatorio del reato satellite. Si può, difatti, aumentare la pena base del reato più grave punito con la detenzione, fermo il limite di cui all’art. 81, terzo comma, cod.pen., e, con solo riferimento a tale aumento, disporre la conversione in pena pecuniaria grazie all’art. 135 cod.pen., così da assicurare la massima estensione dell’istituto della continuazione e contemporaneamente preservare il favor rei, che ne costituisce la ratio. D’altronde, non mancano precedenti che hanno applicato tale soluzione (Sez. 5, n. 1953 del 24/04/1996, Rv. 206143, secondo cui, in caso di condanna per più reati uniti dal vincolo della continuazione, quando il reato base sia punito con la pena della reclusione e quello satellite con la pena della reclusione o della multa è possibile irrogare la pena prevista per la continuazione nella forma della pena pecuniaria e non necessariamente con quella detentiva. La ammissibilità della continuazione anche tra reati puniti con pena eterogenea consente infatti l’unificazione delle pene appartenenti allo stesso genus reclusione/arresto o multa/ammenda, ma, per il rispetto del principio di legalità, non tra quelle appartenenti a genus differenti. L’aumento di pena dovrà essere commisurato al reato più grave ed il rispetto del limite massimo fissato per l’aumento, che può arrivare sino al triplo, è garantito dal sistema del ragguaglio fissato dall’art. 135 c.p.).

9. In conclusione, il Collegio, in considerazione dei recenti precedenti difformi e delle argomentazioni esposte, ritiene di dover dissentire dal principio enunciato dalle Sez. U, n. 4910 del 27/03/1992, rv. 191129 (confermato dalla giurisprudenza successiva), secondo cui, una volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati ‘satellite’ non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, senza che rilevi la ‘qualità’ della pena prevista per i reati ‘satellite’.

Si giustifica, pertanto, ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod.proc.pen., la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite in ordine alle seguenti questioni di diritto: ‘Se sia ammissibile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee’ e ‘Se, in ossequio al favor rei, ferma la configurabilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, ove il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite esclusivamente con la pena pecuniaria, l’aumento di pena per quest’ultimo debba conservare il genere di pena pecuniaria’.

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite

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