Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 26 ottobre 2015, n. 21712
Ritenuto in fatto
1. In data 8.6.2005, veniva notificato a A.B. il decreto ingiuntivo n. 18875/2005, emesso dal Tribunale di Milano, con il quale gli era ingiunto il pagamento della somma di Euro 17.000.000, portata da cinque assegni bancari rimasti insoluti, nonché la somma si Euro 1.700,00, a titolo di penale ex art. 3 della I. n. 386 del 1990, oltre interessi legali, in favore della Societe Du Casinò Du Palais De La Mediterrannee S.A..
1.1. L’opposizione proposta dall’intimato, con atto di citazione notificato il 23.9.2005, veniva accolta dal Tribunale di Milano, con sentenza n. 10293 del 30.7.2008.
2. Avverso tale decisione proponeva appello la società francese, accolto dalla Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 642/2013, depositata T8/2/2013.
2.1. Con tale pronuncia il giudice di seconde cure, considerato applicabile alla fattispecie l’art. 1965 code civil francese, riteneva che la norma – a tenore della quale non è concessa azione per il pagamento di un debito di gioco o di scommessa – non impedisse ai Casinò, la cui attività è autorizzata dalla legge e regolamentata dai pubblici poteri, di agire in giudizio per richiedere il pagamento di assegni privi di copertura, quand’anche il debito del traente sia un debito di gioco.
3. Per la cassazione della sentenza n. 642/2013 ha, quindi, proposto ricorso A.B. nei confronti della Societe Du Casinò Du Palais De La Mediterrannee S.A., affidato ad un unico motivo. L’intimata non ha svolto attività difensiva.
4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Considerato in diritto
1. Con l’unico motivo di ricorso, A.B. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1965 del code civil francese e dell’art. 15 della l. n. 218 del 1995, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c..
1.1. Avrebbe errato la Corte di Appello, a parere del ricorrente, nel ritenere che l’art. 1965 del code civil – ritenuto dal giudice di seconde cure applicabile alla fattispecie concreta, in forza del disposto degli artt. 57 della l. n. 218 del 1995 e 4 della Convenzione di Roma del 19.6.1980 – a tenore del quale “la loi n’accorde aucune action pour une dette du jeu ou pour le paiement d’un pari” (“la legge non accorda azione per un debito di gioco o per il pagamento di una scommessa”), non possa trovare applicazione, a favore del giocatore, nel caso in cui il creditore del debito di gioco si identifichi, come nella specie, in un casinò autorizzato. Tale erroneo convincimento si fonderebbe, invero, su di un risalente arresto della giurisprudenza francese (Cour de Cassation 4.3.1980), secondo cui la domanda di pagamento dell’importo di un assegno senza provvista, proposta da un casinò, la cui tenuta “est autorisee par la loi et reglementee par les pouvoirs public” (“è autorizzata dalla legge e regolamentata dai pubblici poteri”), non può essere rigettata a motivo che il debito del traente è un debito di gioco, per il quale il citato art. 1965 del code civil non accorda azione in giudizio.
1.2. In tal modo opinando, tuttavia, la Corte territoriale non si sarebbe attenuta – ad avviso dell’A. – al disposto dell’art. 15 della l. n. 218 del 1995, secondo cui “la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo”. La norma di cui all’art. 1965 del code civil sarebbe stata, invero, interpretata nel tempo, dalla giurisprudenza francese, nel senso che, pur dovendo confermarsi che la disposizione succitata non si applica ai debiti di gioco contratti con i casinò autorizzati, resta fuori da tale affermazione di principio l’ipotesi in cui il debito non derivi direttamente dal gioco, ma da un “mutuo” concesso al giocatore dal casinò, per consentirgli di partecipare alla giocata.
2. Il mezzo è fondato.
2.1. Va rilevato, al riguardo, che – nel caso di specie – il Casinò di Nizza agiva in sede monitoria per ottenere dall’A. il pagamento della somma di Euro 17.000,00, portata da cinque assegni bancari rimasti insoluti, nonché la somma si Euro 1.700,00, a titolo di penale ex art. 3 della l. n. 386 del 1990. Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione l’A. , assumendo che gli assegni erano stati emessi per un debito di gioco, per il quale, dunque, non è concessa azione in giudizio, ai sensi dell’art. 1933 c.c., e che non ricorrevano i presupposti per l’applicabilità della penale di cui alla legge suindicata. Il Tribunale adito accoglieva l’opposizione, ma la sentenza è stata, dipoi, riformata dalla Corte di Appello, che ha ritenuto applicabile – in forza del combinato disposto degli artt. 57 l. n. 218 del 1995 e 4 della Convenzione di Roma – l’art. 1965 del code civil francese, omologo dell’art. 1933 c.c. italiano, secondo il quale “la legge non accora alcuna azione per il debito di gioco o per il pagamento di una scommessa”). Tale norma – ad avviso della Corte territoriale – sarebbe stata, tuttavia, interpretata dalla Cour di Cassation nella decisione del 4.3.1980, nel senso che – poiché la tenuta dei giochi di azzardo nei casinò è autorizzata dalla legge, e tali stabilimenti sono autorizzati a ricevere degli assegni – la domanda di pagamento dell’importo di un assegno senza provvista non può essere rigettata a motivo che il debito del traente è un debito di gioco, per il quale la legge non accorda alcuna azione.
2.2. Premesso quanto precede, va osservato che, ai sensi dell’art. 57 della l. n. 218 del 1995 (contenente la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), “le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19.6.1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la legge 18 dicembre 1984 n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili”.
L’art. 4 della Convenzione di Roma, a sua volta, dispone: “1. Nella misura in cui la legge che regola il contratto non sia stata scelta a norma dell’articolo 3, il contratto è regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto” (….) 2. Salvo quanto disposto dal paragrafo 5, si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale o, se si tratta di una società, associazione o persona giuridica, la propria amministrazione centrale.
2.3. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, è evidente che – dovendo la “prestazione caratteristica” del contratto posto in essere dalle parti essere certamente individuata, con riferimento al caso concreto, nella dazione delle “fiches” da parte del casinò – l’individuazione della legge applicabile in quella francese, operata dal giudice di appello sulla base del criterio di collegamento suindicato, deve reputarsi senz’altro corretta. E, d’altra parte, l’A. non censura affatto l’applicabilità della norma di cui all’art. 1965 del code civil affermata alla Corte territoriale, ma si duole del fatto che tale disposizione sia stata interpretata dal giudice di appello in violazione al disposto dell’art. 15 della l. n. 218 del 1995, secondo cui “la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo”.
2.4. Ciò posto, va anzitutto osservato, al riguardo, che, in forza del combinato disposto degli artt. 57 l. 218 del 1995 e 4 della Convenzione di Roma, qualora il rapporto controverso sia regolato dalla legge straniera, è ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di detta legge, la cui interpretazione, al pari della legge nazionale, appartiene alla competenza istituzionale della Corte nell’esercizio della funzione di nomofilachia (Cass. 8630/2005). Dall’art. 15 della legge n. 218 del 1995, ai cui sensi la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo, discende, poi, che il diritto straniero, una volta riconosciuto applicabile alla fattispecie concreta, deve essere interpretato dal giudice italiano secondo i criteri ermeneutici suoi propri (Cass. 25735/2014). E tuttavia, il dovere del giudice di ricercare le fonti del diritto deve intendersi posto anche con riferimento alle norme giuridiche dell’ordinamento straniero, ma non implica l’obbligo per il giudice di acquisire fonti giurisprudenziali o dottrinarie che corroborino l’una o l’altra delle possibili letture del testo normativo (Cass. 2791/2002; 5708/2014).
2.5. Tanto premesso in via di principio, va rilevato che il testo dell’art. 1965 del code civil nulla dice circa il caso specifico – ricorrente nella specie – concernente razionabilità del debito di gioco da parte del Casinò, limitandosi la norma all’enunciazione del principio generale secondo cui per i debiti di gioco e di scommessa non è concessa azione in giudizio. Sicché una eventuale esenzione dal rispetto di detta norma da parte di tali enti, ipotizzata dalla Corte di Appello nel caso concreto, non si desume dal testo della stessa.
È giocoforza fare ricorso, dunque, all’interpretazione che della disposizione in parola ha dato la giurisprudenza francese, avvalendosi di quella allegata dal ricorrente, sottoposta, peraltro, a verifica da parte di questa Corte.
2.6. A tal fine, occorre muovere anzitutto dal rilievo che la sentenza della Cour de Cassation del 4.3.1980, valorizzata dalla Corte di Appello di Milano, è fondata sull’affermazione secondo cui, quando tale debito è contratto con un casinò, la cui tenuta e autorizzata dalla legge e regolamentata dai pubblici poteri, la domanda di pagamento dell’importo di assegni consegnati al casinò dal giocatore e rimasti insoluti per mancanza di provvista non può essere disattesa, per il fatto che il debito del traente è un debito di gioco.
La monolitica affermazione della Corte francese – nel menzionato arresto giurisprudenziale del 1980 – ancora, dunque, l’esclusione della possibilità per il cliente della casa da gioco di invocare il disposto dell’art. 1965 del code civil, a tenore del quale non è concessa azione per i debiti da gioco, alla sola qualità soggettiva del creditore della somma portata da assegni insoluti, ovverosia all’essere quest’ultimo un casinò autorizzato e controllato dai pubblici poteri, senza distinzioni di sorta con riferimento al tipo di rapporto dal quale il credito in questione deriva.
2.7. Senonché, la successiva giurisprudenza della Cassazione francese – e si tratta ormai di un indirizzo consolidato – ha, introdotto, al riguardo, una fondamentale distinzione, affermando che – se è pur vero che il cliente di un casinò la cui attività è autorizzata dalla legge e regolamentata dai pubblici poteri non può avvalersi del disposto dell’art. 1965 del code civil, per paralizzare l’azione di pagamento proposta nei suoi confronti dalla casa da gioco – deve, tuttavia, da ritenersi che tale affermazione di principio non si attagli al caso in cui il debito in questione “se rapporte a des prets consentis par le casino pour alimenter le jeu” (si riferisca a prestiti concessi dal casinò per alimentare il gioco”) (cfr., ex plurimis, Cour de Cassation 31.1.1984, n. 82-15904; Cour de Cassation 20.7.1988, n. 86-18995; Cour de Cassation 3.6.1998, n. 96-13047; Cour de Cassation 10.9.2014, n. 13-22001).
2.8. Se ne deve di conseguenza inferire, con riferimento al caso in esame, che la Corte di Appello di Milano, nell’escludere l’applicabilità, a favore dell’A. , del disposto dell’art. 1965 del code civil, non ha fatto corretta applicazione di tale norma secondo i criteri ermeneutici adottati nel tempo dall’ordinamento la cui disciplina regola la fattispecie concreta, come impone l’art. 15 della l. n. 218 del 1995.
2.9. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, l’unica la censura proposta dall’A. deve essere accolta.
3. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, la quale dovrà procedere a nuovo esame della controversia, accertando la natura del rapporto intercorso tra le parti, ai fini della corretta applicazione della norma di cui all’art. 1965 del code civil. A tal fine, la Corte territoriale si atterrà al seguente principio di diritto: “se è vero che il cliente di un casinò la cui attività è autorizzata dalla legge e regolamentata dai pubblici poteri non può avvalersi del disposto dell’art. 1965 del code civil, per paralizzare l’azione di pagamento proposta nei suoi confronti dalla casa da gioco, tale affermazione di principio non si attaglia al caso in cui il debito in questione si riferisca a mutui concessi dal casinò per alimentare il gioco”.
4. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
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