Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 26 gennaio 2018, n. 3900. Nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, il principio dispositivo

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5. Sul piano piu’ strettamente processuale, l’obbligo per il giudice di merito di prendere in esame ogni ulteriore pregiudizio dedotto dal ricorrente si desume dal rilievo per cui, se e’ vero che la riparazione per ingiusta detenzione si differenzia dal risarcimento del danno da illecito sia per il profilo sostanziale della non necessaria integralita’ del ristoro, desumibile dalla fissazione di un tetto limite ai sensi dell’articolo 315 c.p.p., comma 2, (Sez. 4, n. 39815 del 11/07/2007, Bevilacqua, Rv. 23783701), sia per il correlato profilo processuale dell’esclusione dell’onere della prova in merito all’entita’ del danno, desumibile dall’aggettivo “equa” utilizzato dal legislatore (articolo 314 c.p.p., comma 1), e’ pero’ costante l’affermazione della Corte che, nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, il principio dispositivo, per il quale la ricerca del materiale probatorio necessario per la decisione e’ riservata alle parti, tra le quali si distribuisce in base all’onere della prova, e’ temperato dai poteri istruttori del giudice, il cui esercizio d’ufficio, eventualmente sollecitato dalle parti, si svolge non genericamente ma in vista di un’indagine specifica, secondo un apprezzamento della concreta rilevanza al fine della decisione, insindacabile in sede di legittimita’ se non sotto il profilo della correttezza del procedimento logico (Sez. 4, n. 4070 del 08/10/2013, dep.2014, Cacopardo, Rv.25842401; Sez. 4, n. 18848 del 21/02/2012, Ferrante, Rv. 25355501). Corollario di tale principio non puo’ che essere l’onere della parte di allegare l’esistenza del danno, la sua natura ed i fattori che ne sono causa e, d’altro canto, il dovere del giudice di prendere in esame tutte le allegazioni della parte in merito alle conseguenze della privazione della liberta’ personale e, dunque, di esaminare se si tratti di danni causalmente correlati alla detenzione e se sia stata fornita la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di dette conseguenze.

6. Nell’ordinanza impugnata, in merito ai criteri seguiti dalla Corte territoriale onde pervenire alla liquidazione della somma indicata, si legge in primo luogo la precisazione che l’istante aveva lamentato danni quantificati nella misura di Euro 920.000,00; dopo aver condiviso l’assunto dell’istante concernente l’impatto della vicenda sulla posizione soggettiva in ragione della visibilita’ sociale correlata al ruolo ricoperto, la Corte ha, quindi, escluso che l’istante avesse fornito il minimo elemento di prova atto a corroborare una liquidazione sganciata dalla logica equitativa. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha liquidato una somma pari al doppio di quella risultante dall’applicazione del mero criterio aritmetico ed ha, dunque, tenuto conto della concreta afflittivita’ della cautela subita, fornendo adeguata motivazione, idonea a dare contezza delle ragioni per le quali ha ritenuto di non potersi discostare oltre la predetta misura dal criterio aritmetico.

7. Nel ricorso non sono state evidenziate allegazioni e prove ulteriori rispetto a quelle esaminate dalla Corte di Appello, la cui pronuncia risulta pertanto completa, tendendo piuttosto le censure ad ottenere una diversa valutazione in merito, non consentita in sede di legittimita’.

7.1. Giova, per altro verso, precisare che le massime d’esperienza dalle quali il giudice della riparazione deve desumere le gravi ripercussioni sulle condizioni di salute e di relazione derivanti dall’ingiusta detenzione rappresentano il substrato logico e giuridico sul quale si fonda lo stesso istituto in esame e risultano espresse nella individuazione del minimo indennizzo liquidabile in base al criterio aritmetico. Le conseguenze personali e familiari menzionate dall’articolo 643 cod. proc. pen., al quale rimanda in materia di ingiusta detenzione l’articolo 315 c.p.p., comma 3, devono, infatti, essere oggetto di specifico esame da parte del giudice di merito, svolgendo la funzione di adeguare la riparazione alle peculiarita’ del caso concreto, purche’ siano dedotte e provate nella loro funzione individualizzante.

7.2. Quanto all’entita’ della somma liquidata, non trattandosi di somma simbolica o irrisoria, ne’ quantificata secondo criteri arbitrari, il Collegio ritiene che il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento, precisando che la natura indennitaria esclude che possano essere riconosciuti veri e propri risarcimenti. Date tali premesse, la valutazione della congruita’ dell’importo riconosciuto, come detto, si sottrae al sindacato di legittimita’ (Sez. 4, n. 24225 del 04/03/2015, Pappalardi, Rv. 26372101; Sez. 4, n.10690 del 25/02/2010, Cammarano, Rv. 24642401).

8. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato; segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento e la condanna alla refusione delle spese in favore del Ministero resistente, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese di giudizio in favore del Ministero resistente, liquidate in mille Euro.

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