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4. La Corte di appello, che condivideva la riconducibilita’ della immagine raffigurata nel manifesto alla bandiera nazionale italiana o a una parte visibile della stessa che doveva essere spazzata via con la scopa di saggina, riteneva che la convinzione che detta bandiera dovesse far posto a quella tirolese esprimesse il diritto di liberta’ di opinione politica e che i consiglieri o assessori provinciali eletti non avessero la competenza giuridica per concretizzare le convinzioni politiche dei rappresentanti del “(OMISSIS)”, e cioe’ la scissione della provincia dal resto del territorio nazionale e quindi la modificazione dello stesso e della costituzione dello Stato.
Vi era, invece, una mera visione politica, non attuabile dai rappresentanti del movimento, e l’idea di un mondo migliore, piu’ correttamente di una migliore amministrazione provinciale, era espressa nel manifesto “nell’idea del “Kehraus”, della rimozione del vecchio e cioe’ della vecchia amministrazione statale, rappresentata dalla bandiera nazionale con colori “spenti, e la sostituzione del vecchio con il “nuovo, vale a dire il nuovo governo sudtirolese, indipendente dallo Stato”.
Nel giudizio della Corte, la rappresentazione della scopa, senza integrare vilipendio della bandiera nazionale, rappresentava metaforicamente il concetto di “Kehraus”, sconosciuto alla lingua italiana, intraducibile e non conosciuto neppure dalla popolazione di lingua tedesca della provincia di Bolzano, e da intendere nel senso di “fine” o “conclusione” di un evento, ovvero del potere statale nella provincia di Bolzano.
In detto contesto, il contestato manifesto suggeriva una diversa interpretazione politicamente fondata, da inquadrarsi nella peculiare autonomia riservata dalla consolidata democrazia a una terra di confine, caratterizzata dalla presenza di minoranze etniche e linguistiche e di una minoranza politica secessionista, che, per mancanza di intelligenza politica, aveva compiuto un’azione negligente, perche’ imprudente e sconsiderata, e non un’offesa premeditata e inequivocabile alla bandiera italiana.
5. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trento, chiedendone l’annullamento sulla base di due motivi.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia mancanza di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per avere la Corte di appello assolto gli imputati per difetto dell’elemento soggettivo senza rendere conto delle ragioni logico-giuridiche della decisione assolutoria.
Ne’, nel riferimento a un c.d. “Kehraus”, si e’ spiegato in quali termini gli imputati si fossero ispirati allo stesso, il cui significato neppure e’ stato chiarito, oltre a essere stato definito in sentenza intraducibile e non comprensibile neppure dai cittadini di lingua tedesca del Tirolo.
5.2. Con il secondo motivo e’ denunciata contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
Secondo il ricorrente, che richiama e ripercorre le premesse fattuali e i contenuti delle decisioni di merito, la Corte di appello e’ pervenuta a una spiegazione circa il significato della immagine rappresentata sul manifesto, del tutto apparente, poiche’ il “fare piazza pulita con una scopa della bandiera italiana” equivale a paragonare la stessa allo sporco raccolto con la scopa e a denigrarla, per l’effetto, quale emblema dello Stato italiano.
Inoltre, la “pseudospiegazione” circa “una seconda interpretazione politicamente fondata” e’, ad avviso del ricorrente, all’evidenza assurda per la raffigurazione nei manifesti di una rappresentazione simbolica delle convinzioni politiche con univoco fine di dileggio e intento denigratorio verso la chiara immagine della vera e propria bandiera italiana.
6. In data 18 ottobre 2016 gli imputati, per mezzo del loro difensore avv. (OMISSIS), hanno depositato memoria con la quale, richiamati i motivi della impugnazione proposta dal Procuratore generale, chiedono che il ricorso sia dichiarato inammissibile e in subordine rigettato, deducendo:
– quanto al primo motivo, la pretestuosita’ della denuncia di omessa motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato, ammettendo lo stesso ricorrente e criticando nel secondo motivo le ragioni della sentenza assolutoria;
– quanto al secondo motivo, l’afferenza delle censure ad apprezzamenti di fatto, inammissibili in sede di legittimita’, mentre la motivazione della sentenza e’ del tutto logica nella esclusione di un loro intento denigratorio.
Tale motivazione e’, in ogni caso, contenuta nell’alveo dell’ordinamento interno e in generale in quello delle norme sovranazionali pertinenti al bilanciamento dell’esercizio del diritto di liberta’ di manifestazione del pensiero con la tutela del prestigio delle istituzioni e i valori morali della societa’ statuale, alla luce della sentenza n. 20 del 1974 della Corte costituzionale e della giurisprudenza della Corte EDU sul diritto alla liberta’ di espressione, sancito dall’articolo 10 della Convenzione.
Nella specie, la critica politica, pur contenendo una certa dose di provocazione nel manifesto incriminato, non ha rappresentato un attacco personale gratuito contro lo Stato ma un legittimo esercizio della liberta’ di manifestazione del pensiero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato.

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