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In relazione alla seconda aggravante, e’ stato ritenuto dirimente il quantitativo di sostanza stupefacente oggetto del trasporto (pari a 1610 chilogrammi di marijuana).

La motivazione e’ corretta a nulla rilevando l’assunto difensivo secondo cui gli imputati non avrebbero avuto consapevolezza dell’effettiva consistenza del carico, smentito in sentenza dalla semplice ma ineccepibile constatazione che questo era costituito da ben 88 sacchi alla cui sistemazione in “coperta” e “sottocoperta” non poteva aver assolto il solo (OMISSIS).

Al riguardo, in precedenti casi con profili di analogia all’odierno, la Suprema Corte ha ritenuto configurarsi l’aggravante in esame con riferimento all’illecita detenzione di oltre nove chili di cocaina rinvenuti all’interno dell’auto guidata dal ricorrente, il quale, pur negando di essere a conoscenza del dato ponderale, aveva ammesso di aver accettato di accompagnare altra persona per la consegna di una partita di droga in un’altra citta’ (Sez. 6, n. 13087 del 05/03/2014, Mara, Rv. 258643).

Parimenti destituite di fondamento anche le ulteriori doglianze in ordine alla carenza di motivazione in relazione all’accertamento soltanto in via deduttiva e non diretta del dato ponderale e del principio attivo della sostanza.

La sentenza impugnata e’ anche su questo punto immune da censure, trovando in essa corretta applicazione i consolidati principi giurisprudenziali, secondo cui:

– la circostanza aggravante della detenzione di ingente quantita’,di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, puo’ essere configurata anche in mancanza del sequestro della sostanza, purche’ vi siano elementi di prova certi che consentano di pervenire per via indiretta alla individuazione del dato ponderale (Sez. 3, n. 35042 del 01/03/2016, Gjetja, Rv. 267873).

– ai fini della configurabilita’ del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, pur potendosi prescindere dall’accertamento dell’entita’ del principio attivo presente nella sostanza oggetto di contestazione, e’ necessario dimostrare che questa abbia in concreto effetto drogante ovvero sia in grado di produrre alterazioni psico-fisiche (Sez. 4, n. 4324 del 27/10/2015, dep. 2016, Mele, Rv. 265976). Profili questi ultimi, nel caso di specie, neanche posti in discussione considerata l’entita’ del carico di marijuana oggetto del trasporto.

6. Reati in materia di armi (capi B e C della rubrica).

Infondate sono le deduzioni articolate in entrambi i ricorsi in relazione ai reati in materia di armi.

6.1. Destituita di fondamento giuridico e’ la tesi sviluppata principalmente dalla difesa del (OMISSIS), secondo cui la contestuale detenzione delle due armi (un Kalashnikov ed una pistola cal. 7.65) costituiva un unico reato.

L’assunto non e’ corretto in quanto si scontra con il principio, piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui nel caso di detenzione di piu’ armi di differente tipologia, si configura un unico reato soltanto per ciascun gruppo di armi appartenenti alla medesima categoria (Sez. 1, n. 39223 del 26/02/2014, Bonfiglio, Rv. 260348; Sez. 1, n. 44066 del 25/11/2010 Di Rosolini, Rv. 249053).

6.2. Benche’ non dedotto dalle parti ricorrenti, avrebbe potuto, semmai, porsi il problema, in relazione all’imputazione di cui al capo C (concernente la pistola), dell’assorbimento dei reati di detenzione e porto di arma comune da sparo in quelli di detenzione e porto di arma di natura clandestina, secondo quanto di recente affermato dalle Sezioni unite n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902.

La questione, tuttavia, nel caso di specie non rileva, in quanto la corte territoriale (determinata forse dalla contestazione in diritto ma non in fatto della clandestinita’ dell’arma) ha considerato le condotte di cui al capo C in termini unitari, apportando in relazione agli stessi un unico aumento di pena per la ritenuta continuazione.

6.3. Priva di ogni pregio e’, infine, l’eccezione formulata dalla difesa del (OMISSIS) secondo cui nel caso di specie non poteva essere configurato il reato di porto delle armi da fuoco, atteso che il peschereccio ove queste giacevano custodite non poteva essere considerato “luogo aperto al pubblico”. Il rilievo (riproposto in ricorso) e’ stato correttamente respinto dai giudici dell’appello in ragione del “macroscopico equivoco” che lo ha generato, confondendo, all’evidenza, la difesa, nell’indicazione del luogo di commissione del fatto, il peschereccio con le acque territoriali in cui, a bordo del natante medesimo, veniva eseguito il trasporto delle armi.

Del tutto inconferente alle ragioni della difesa il precedente giurisprudenziale richiamato dalla stessa (Sez. 1, n. 16690 del 27/03/2008, Bellachioma, Rv. 240116) che, semmai, conferma la fondatezza dell’assunto accusatorio, concernendo una fattispecie di condanna dell’imputato per il reato di porto illegale di arma da fuoco in fondo rustico di esclusiva proprieta’ del predetto, ma aperto all’esercizio venatorio.

Anche di recente, in una fattispecie non distante dall’odierna, la Suprema Corte ha affermato che integra la condotta di porto illegale di arma in luogo pubblico, la detenzione di una pistola custodita nel cruscotto di un’autovettura che percorre una pubblica via (Sez. 1, n. 40806 del 05/06/2013, Patricelli, Rv. 257245).

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