Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 10 gennaio 2018, n. 98. E’ estranea al sistema delle informazioni antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di la’ del ragionevole dubbio

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I fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che le associazioni mafiose, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, possono esercitare sull’impresa.
Tra questi fatti (cfr. la sentenza n. 1743 del 2016 cit.) rilevano, in particolare, l’esistenza di legami affettivi che rivelino una regia familiare dell’impresa, considerata anche la struttura a base familistica delle associazioni mafiose; le frequentazioni ripetute con soggetti malavitosi disvelanti una costante vicinanza alle locali cosche e, ovviamente, le condanne per delitti di peculiare valenza sintomatica (i c.d. reati-spia, unitamente alle eventuali condanne per la partecipazione diretta a delitti associativi) a carico dei soggetti che intorno all’impresa in questione gravitano.
Tanto premesso in linea di diritto, l’appello proposto si rileva come del tutto generico limitandosi a contestare (senza smentirli) gli elementi fattuali esposti in narrativa che, invece, militano in senso del tutto coerente con la giurisprudenza elaborata da questa sezione.
Nella specie, infatti, rimane incontroverso il fatto che il coniuge dell’appellante riveste un ruolo di spicco sia nell’azienda sia nel clan dei casalesi e che tale fatto è certamente sintomatico di possibili interferenze illecite.
Sotto diverso profilo non pertinente risulta la dedotta circostanza secondo cui-OMISSIS-non ricopre alcun ruolo di formale rappresentanza nell’azienda della madre perché quel che rileva -come correttamente sottolineato dal primo giudice – è che costui (unitamente al -OMISSIS-) non soltanto collabora nella gestione dell’impresa (circostanza incontroversa) ma intrattiene rapporti di frequentazione nello stesso ambito criminale in cui spicca il ruolo del padre.
E tali rapporti, lungi dal risultare episodici, sono reiterati e variegati e confermano, nella doverosa lettura sinergica (e non atomistica) del quadro fattuale esposto nel provvedimento impugnato, il pericolo di infiltrazione criminale nella gestione dell’azienda che l’adottata informativa antimafia legittimamente intende prevenire.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori come per legge e pone definitivamente a suo carico il contributo unificato corrisposto per il presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Luigi Birritteri – Consigliere, Estensore

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