Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 10 gennaio 2018, n. 98. E’ estranea al sistema delle informazioni antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di la’ del ragionevole dubbio

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Sotto quest’ultimo profilo il primo giudice evidenzia l’esistenza di plurimi contratti con soggetti pregiudicati (-OMISSIS-) o gravitanti nell’orbita del clan dei casalesi (-OMISSIS-“, denunciato per il reato di cui all’art. 12 quinquies del D.L. n. 306/1992 convertito in legge con modificazioni dalla L. n. 356/1992 e destinatario di un provvedimento di sequestro preventivo) a conferma dell’esistenza di possibili interferenze criminali intorno alla gestione della predetta azienda agricola.
Particolarmente significativa si è ritenuta la circostanza che la Corte di Appello di Napoli ha disposto nei confronti del coniuge dell’appellante, -OMISSIS-, la confisca nella misura del 50% del valore attuale dell’azienda agricola intestata alla ricorrente, comprensiva dei beni aziendali consistenti in bestiame e macchinari, perché detta impresa si è considerata nella piena disponibilità del suddetto Martinelli che, peraltro, l’avrebbe acquistata con l’utilizzo di proventi illeciti.
Avverso tale decisione propone appello -OMISSIS- lamentando la carenza di motivazione della sentenza impugnata con riferimento all’erroneo rilievo attribuito alla confisca operata in danno del coniuge; al fatto che-OMISSIS-non ricopre alcun ruolo di rappresentanza nell’azienda, essendo un semplice collaboratore; all’irrilevanza dei rapporti di frequentazione contestati ad entrambi i figli dell’odierna appellante.
Con tempestiva memoria si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno invocando il rigetto del ricorso.
Nella pubblica udienza del 12 dicembre 2017, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e deve essere respinto.
Va brevemente ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza della Sezione l’impianto motivazionale dell’informazione antimafia deve fondarsi su una rappresentazione complessiva, imputabile all’autorità prefettizia, degli elementi di permeabilità criminale che possano influire anche indirettamente sull’attività dell’impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso.
Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve dar conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussiste tenuto conto di tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona specificamente dedotte a sostegno dell’adottato provvedimento amministrativo (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).
E’ infatti estranea al sistema delle informazioni antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica, propria del giudizio penale, vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informazione antimafia, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

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