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In relazione al primo profilo, giova anzitutto ricordare – come emerge dal fascicolo di primo grado – che quanto oggi è costituito dalla Fondazione fu costituito nel 1990 in associazione, ai fini della “privatizzazione” dei teatri comunali di Reggio Emilia; che con atto pubblico 30 luglio 1996 venne costituito il Consorzio “I Teatri di Reggio Emilia”, di cui consorziati erano il Comune (per il 90%) e la Provincia (per il 10%), con capitale di dotazione iniziale finanziato dagli enti consorziati e mediante il patrimonio dell’associazione; che nel 2002 il Consorzio venne trasformato in fondazione, poi riconosciuta ai sensi del d.P.R. n. 361 del 2000 dal 30 settembre 2002; e che, della attuale Fondazione, fondatori istituzionali originari sono il Comune e la Provincia di Reggio Emilia, mentre tra i soci fondatori è la locale Camera di Commercio; fondatori ordinari sono anche soggetti pubblici.
Per quanto attiene alle ingerenze e ai controlli di enti pubblici sulla Fondazione, vale considerare anzitutto che il Sindaco è Presidente della Fondazione e del Consiglio di Amministrazione è (che resta in carica per la durata del mandato amministrativo del sindaco) o persona da lui nominata (art. 6 Statuto), il quale “ha tutti i poteri per l’ordinaria e straordinaria amministrazione (…) ed ha facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per l’attuazione e il raggiungimento delle finalità statutarie”.
Gli altri componenti del Consiglio di Amministrazione sono nominati, per la maggior parte, dal Sindaco di Reggio Emilia, dal Presidente della Provincia, dalla Camera di Commercio, e dall’Assemblea (costituita da tutti i fondatori: che sono, per la maggior parte, enti pubblici). Il Consiglio di Amministrazione nomina il Direttore generale. Sindaco e Presidente della Provincia nominano anche due dei tre membri effettivi del Collegio dei revisori, con compiti di ispezione e controllo; nominano, altresì, la maggior parte dei componenti del Comitato di indirizzo.
Quanto al finanziamento, per statuto il patrimonio della fondazione è costituito, oltre che da elargizioni e donazioni provenienti da terzi, da apporti eseguiti da tutti i fondatori mediante periodico versamento della quota associativa annuale, e da eventuali contributi attribuiti dallo Stato, da enti territoriali, enti pubblici o enti privati. In caso di estinzione, il patrimonio è devoluto a enti non lucrativi operanti con finalità analoghe nel campo dello spettacolo e dell’educazione musicale, individuati dal Consiglio di Amministrazione o, in difetto, dal Comune di Reggio Emilia.
Per ammissione della Fondazione stessa, le Amministrazioni locali hanno conferito parte del patrimonio iniziale. Non è poi senza rilievo, pur se di suo non è dirimente, che essa sia destinataria di contributi del Ministero per i beni culturali a valere sul Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS). La circostanza inoltre che questi non siano erogati in via automatica, ma su specifiche attività di produzione e distribuzione di spettacoli, assegnati tramite procedure competitive che guardano alla qualità artistica dei progetti e delle proposte e alla loro appetibilità per il pubblico, naturalmente espone l’ente al rischio di una conduzione non remunerativa o in perdita: ma ciò nulla toglie alla caratterizzazione di cui qui si verte, che concerne piuttosto la scelta dei terzi contraenti, di cui tratta la legislazione in tema di contratti pubblici.
Ricorre, dunque, nel caso di specie, un ulteriore tratto distintivo, elaborato prima dalla giurisprudenza e richiesto poi dalla legge, per configurare un organismo di diritto pubblico: lo svolgimento di attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure contraddistinti da una gestione che sia soggetta al controllo di questi ultimi o dall’essere gli organi di amministrazione, direzione o vigilanza costituiti da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Alla luce delle ragioni esposte, bene la sentenza impugnata ha richiamato, ad ulteriore fondamento della decisione, le considerazioni già svolte in una precedente pronunzia che, circa l’inserimento di Fondazione I Teatri di Reggio Emilia negli elenchi ISTAT del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, in virtù della modifica dell’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009 (per effetto dell’art. 5, comma 7, del d-.l. 2 marzo 2012, n. 16), ha rilevato che “La Fondazione […] risulta costituita con deliberazione consiliare del Comune di Reggio Emilia in data 10 maggio 2002; – i fondatori sono, tra gli altri, il Comune di Reggio Emilia, la Provincia di Reggio Emilia e la Camera di commercio locale; – il Presidente della fondazione è il Sindaco di Reggio Emilia; – il Comune di Reggio Emilia nomina la maggioranza del consiglio di amministrazione mentre gli altri sono nominati dalla Provincia di Reggio Emilia; – è finanziata in prevalenza dalle amministrazioni pubbliche in quanto riceve contributi dallo Stato (attraverso il FUS – fondo unico dello spettacolo) e dalle amministrazioni locali che, comunque, superano il 50% del valore della produzione” (cfr. Cons. Stato, VI, 10 dicembre 2015, n. 5617: 28 dicembre 2015, n. 5852).
Tutto quanto sopra porta a senz’altro affermare che la Fondazione I Teatri, di Reggio Emilia, ha natura di organismo di diritto pubblico, soggetto pertanto all’applicazione del Codice dei contratti pubblici perché possiede i tre requisiti – di matrice comunitaria – dell’art. 3, comma 26, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, ovvero: a) il requisito personalistico, trattandosi di soggetto dotato di personalità giuridica di diritto privato; b) il requisito dell’influenza dominante del soggetto pubblico, trattandosi di ente finanziato dagli enti pubblici locali e dotato di organo direzionale a designazione pubblica maggioritaria; c) il requisito teleologico, perché destinato a perseguire interessi che corrispondono a quelli generali (cfr. per l’ana caso dell’Accademia di Santa Cecilia, in Roma, quale organismo di diritto pubblico, Cass., SS.UU., 8 febbraio 2006, n. 2637).
Ne consegue che lo svolgimento della gara secondo le modalità procedurali del d.lgs. n. 163 del 2006 non è solo frutto di una scelta volontaria della stazione appaltante, essendo quest’ultima invece tenuta all’osservanza di dette disposizioni nelle procedure selettive bandite.
Sussiste, quindi, la giurisdizione amministrativa sulla controversia concernente l’annullamento degli atti della gara in oggetto.
2.1. Con il secondo motivo di appello, la Fondazione censura l’accoglimento del terzo motivo del ricorso di primo grado, deducendo l’errata considerazione dell’effettivo contenuto della lex specialis di gara.
L’appellante Fondazione assume che la sentenza appellata erra nel ritenere sussistente la violazione o la falsa applicazione dell’art. 83 d.lgs. n. 163 del 2006 e dei principi di legalità, imparzialità, buon andamento e trasparenza dell’azione amministrative. Al contrario, i criteri di valutazione delle offerte dei concorrenti sarebbero determinati e non generici, costituendo non mere “scatole vuote”, bensì adeguati limiti per la discrezionalità della stazione appaltante. In tesi, detti criteri sarebbero idonei ad orientare le scelte degli operatori economici, non impedendo in alcun modo a questi ultimi di calibrare adeguatamente la propria offerta.
L’assunto non ha fondamento.
Il Disciplinare di gara (alla pagina 5) così dispone: “4-criteri di valutazione delle offerte. L’appalto sarà aggiudicato alla ditta che avrà presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi del d.lgs. 163 del 2006, valutata in base ai seguenti elementi “Qualità dei servizi”, per un punteggio massimo di 60 punti, così suddiviso: a) “Progetto organizzativo”, per un massimo di 45 punti; b) “Profili del personale”, per un massimo di 10 punti; c) “Profilo del Capocommesso”, per un massimo di 5 punti”.
Il Collegio ritiene che non ha fondamento l’assunto della Fondazione appellante, per la quale la prospettazione della sentenza appellata propugnerebbe un approccio atomistico alla lex specialis, mentre i criteri di valutazione contenuti nel Disciplinare non possono prescindere dal contenuto del Capitolato tecnico, a cui detti criteri effettivamente rinviano per relationem.
L’argomento non sovverte la sentenza appellata. Se è vero che Disciplinare e Capitolato vanno reciprocamente integrati, tale lettura della legge di gara non consente, nella specie, di supplire alla mancanza di adeguata e puntuale predeterminazione dei criteri di valutazione delle offerte. Come bene deduce l’appellata, ove il Capitolato sia più specifico e articolato sul contenuto dell’offerta, tanto maggiore dovrà essere il grado di dettaglio dei criteri di valutazione: che, se mancanti o indeterminati perché non puntualmente previsti dal Disciplinare, non potranno essere integrati utilizzando le previsioni del Capitolato.
Invero, il problema non è solo di consentire ai concorrenti di predisporre o calibrare adeguatamente le offerte, bensì di stabilire ex ante, con criteri predeterminati e oggettivi, le modalità con cui tali offerte saranno valutate e i criteri per l’attribuzione dei punteggi: a presidio dei principi generali di tutela della par condicio competitorum, imparzialità, massima concorrenza e trasparenza che devono governare le selezioni pubbliche.
Perciò, coerentemente a quanto afferma la giurisprudenza, sussiste la violazione dell’art. 83 d.lgs. n. 163 del 2006 in caso di omessa predeterminazione di precisi e puntuali criteri per l’attribuzione dei punteggi relativi agli elementi tecnici dell’offerta, in quanto la presenza di criteri sufficientemente puntuali consente la verifica dell’operato dell’Amministrazione da parte del privato e l’effettivo esercizio del sindacato di legittimità da parte del giudice amministrativo (es. Cons. Stato, III, 10 dicembre 2013, n. 5909).
Il Collegio condivide e intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale in base al quale “la mancanza, nel disciplinare di gara e nel capitolato tecnico di una griglia di sottovoci (con i relativi punteggi), entro cui ripartire i singoli criteri di valutazione, ha lasciato agli apprezzamenti soggettivi della commissione giudicatrice la fissazione (se pure inespressa) degli elementi da prendere in più o meno maggiore considerazione all’interno dei singoli macrocriteri generali, così impedendo al concorrente (così come all’interprete) di ricollegare l’attribuzione dei punteggi e la graduazione degli stessi tra il minimo ed il massimo ai corrispondenti presupposti di fatto, essendo invece imprescindibile che il bando dettagli i criteri e i punteggi in modo da lasciare ristretti margini di discrezionalità alla commissione stessa, la quale dovrebbe così operare in modo pressoché vincolato, assegnando per ciascun criterio uno specifico e determinato punteggio” (cfr., ex multis, Cons. Stato, III, 10 dicembre 2013, n. 5909).
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