Lo status dei cappellani militari è quello proprio dei militari, sicché gli atti assunti dall’autorità ecclesiastica esplicano efficacia nell’ambito dell’ordinamento statale, con la conseguenza che i provvedimenti emanati dalle superiori autorità ecclesiastiche, che sui cappellani militari esercitano la propria giurisdizione ecclesiastica (intesa come esercizio del ministero ecclesiastico), devono considerarsi, in forza del regime concordatario e delle norme di settore, alla stregua di atti provenienti da soggetti incardinati funzionalmente nella struttura del ministero della Difesa, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo a giudicarne la legittimità.
Sentenza 30 gennaio 2018, n. 623
Data udienza 14 dicembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7571 del 2016, proposto da:
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale Dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via (…);
contro
-Omissis-, rappresentato e difeso dagli avvocati Mo. Bo. e Ma. Ca., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via (…);
sul ricorso numero di registro generale 7574 del 2016, proposto da:
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Mo. Bo. e Ma. Ca., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via (…);
per la riforma
quanto al ricorso n. 7574 del 2016:
della sentenza del Tribunale Regionale Giustizia Amministrativa per il Trentino Alto-Adige – Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano (da ora, brevemente T.R.G.A. Bolzano) n. 172/2016 del 20.4.2016, depositata il 24.5.2016, notificata in data 15.6.2016 (RG 160/2015), proposto avverso:
1) il provvedimento del Ministero della Difesa – Ordinariato militare per l’Italia dd. 2.7.2015 prot. 2228 – C/1 di non idoneità ecclesiastica a svolgere il compito di Cappellano Militare del Sacerdote -OMISSIS-, con il quale l’Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia ha stabilito il termine del servizio del Cappellano Militare Capo Don -OMISSIS- a far data dal 2.7.2015, con conseguente rientro nella Diocesi di incardinazione (Assisi);
2) il provvedimento del Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, con il quale è stata dichiarata, con decreto in corso di perfezionamento, la cessazione del ricorrente dal servizio permanente, in quanto giudicato non idoneo a proseguire lo stesso presso l’Ordinariato Militare ai sensi dell’art. 1581 del D.lgs 15.3.2010 n. 66 “Codice dell’Ordinamento Militare”, con data di attuazione, “ora per allora: 2 luglio 2015”;
3) la decisione della Superiore Autorità della Chiesa Cattolica, Congregazione per il Clero (Congregatio Pro Clericis) dd. 2.7.2015, prot. 20152265, in base alla quale il ricorrente è stato giudicato “non idoneo a proseguire il servizio presso l’Ordinariato Militare”; nonché per l’accertamento, “in giurisdizione esclusiva di pubblico impiego militare” del proprio diritto a permanere in servizio permanente effettivo quale Cappellano Militare Capo presso il Reggimento Logistico “Julia”, con sede in Merano (BZ).
quanto al ricorso n. 7571 del 2016:
della sentenza del Tribunale Regionale Giustizia Amministrativa per il Trentino Alto-Adige – Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano (da ora, brevemente T.R.G.A. Bolzano) n. 173/2016 del 20.4.2016, depositata il 24.5.2016, notificata in data 15.6.2016 (RG 241/2015), proposto avverso:
1) il decreto dirigenziale dell’11 agosto 2015, con il quale è stata disposta la sospensione dall’esercizio del ministero sacerdotale in tutta la circoscrizione dell’Ordinariato Militare, ai sensi dell’art. 1575 del decreto legislativo n. 66/2010;
2) il presupposto provvedimento n. 619/3-A dell’Ordinario Militare del 23 luglio 2015, con il quale viene stabilito nei confronti del summenzionato sacerdote la revoca delle facoltà di amministrare i sacramenti ed i sacramentali all’interno della circoscrizione ecclesiastica dell’Ordinariato Militare, nonché della collegata comunicazione in pari data dell’Ordinariato Militare, nonché per l’accertamento “in giurisdizione esclusiva di pubblico impiego militare” del diritto del ricorrente al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della condotta tenuta dall’Amministrazione, consistita in atti e fatti vessatori senza soluzione di continuità a danno dell’integrità psicofisica del ricorrente (danno biologico), della sfera professionale e, nel caso di specie, anche religiosa (danno morale);
nonché del diritto del ricorrente al percepimento del cd. assegno alimentare previsto dall’art. 920 del Decreto Legislativo 15.3.2010 n. 66.
Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Don -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti delle cause;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 14 dicembre 2017 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Calò e Urbani Neri (Avvocatura dello Stato);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Cappellano Militare Capo -OMISSIS-, con ricorso al T.R.G.A. di Bolzano del 15 luglio 2015 (R.G. n. 160/2015) e successivi motivi aggiunti chiedeva l’annullamento:
1) del provvedimento del Ministero della Difesa – Ordinariato militare per l’Italia dd. 2.7.2015 prot. 2228 – C/1 di non idoneità ecclesiastica a svolgere il compito di Cappellano Militare del Sacerdote -OMISSIS-, con il quale l’Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia aveva stabilito il termine del servizio del Cappellano Militare Capo Don -OMISSIS- a far data dal 2.7.2015, con conseguente rientro nella Diocesi di incardinazione (Assisi);
2) del provvedimento del Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, con il quale era stata dichiarata, con decreto in corso di perfezionamento, la cessazione del ricorrente dal servizio permanente, in quanto giudicato non idoneo a proseguire lo stesso presso l’Ordinariato Militare ai sensi dell’art. 1581 del D.lgs 15.3.2010 n. 66 “Codice dell’Ordinamento Militare”, con data di attuazione, “ora per allora: 2 luglio 2015”;
3) della decisione della Superiore Autorità della Chiesa Cattolica, Congregazione per il Clero
(Congregatio Pro Clericis) dd. 2.7.2015, prot. 20152265, in base alla quale il ricorrente era stato giudicato “non idoneo a proseguire il servizio presso l’Ordinariato Militare”;
4) del decreto del Ministero della Difesa dd. 6.7.2015 n. 33/15/PE.
Don -OMISSIS- domandava altresì l’accertamento, “in giurisdizione esclusiva di pubblico impiego militare” del proprio diritto a permanere in servizio permanente effettivo quale Cappellano Militare Capo presso il Reggimento Logistico “Julia”, con sede in Merano (BZ).
Con ricorso del 21 ottobre 2015 (R.G. n. 241/2015) domandava poi l’annullamento:
1) del decreto dirigenziale dell’11 agosto 2015 inviato con nota in pari data n. M_DGPREV 0136118 con il quale era stata disposta la sospensione dall’esercizio del ministero sacerdotale in tutta la circoscrizione dell’Ordinariato Militare, ai sensi dell’art. 1575 del decreto legislativo n. 66/2010;
2) del presupposto provvedimento n. 619/3-A dell’Ordinario Militare del 23 luglio 2015, con il quale veniva stabilita nei suoi confronti la revoca delle facoltà di amministrare sacramenti e sacramentali all’interno della circoscrizione ecclesiastica dell’Ordinariato Militare nonché della collegata comunicazione in pari data dell’Ordinariato Militare.
3) del provvedimento del Ministero della Difesa – Ordinariato militare per l’Italia, dd. 23.7.2015, prot. 2583 – C/4, indirizzato al Comandante del Reggimento Logistico “Julia”, Via delle Caserme 8, 39012 Merano (BZ), con il quale veniva comunicata la sospensione “dall’esercizio totale del ministero sacerdotale in tutta la circoscrizione ecclesiastica dell’Ordinariato Militare per l’Italia” per cui Don -OMISSIS- non poteva più esercitare né il ministero di sacerdote cattolico né quello di cappellano.
Domandava altresì l’accertamento, “in giurisdizione esclusiva di pubblico impiego militare”, del proprio diritto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della condotta tenuta dall’amministrazione, asseritamente consistita in atti e fatti vessatori senza soluzione di continuità a danno dell’integrità psicofisica del ricorrente (danno biologico), della sfera professionale e, nel caso di specie, anche religiosa (danno morale), nonché l’accertamento del diritto al percepimento del cd. assegno alimentare previsto dall’art. 920 del d.lgs. 15.3.2010 n. 66 (recante il Codice dell’Ordinamento Militare) per tutto il periodo della intervenuta sospensione disciplinare.
Con il primo dei due gravami Don -OMISSIS- deduceva;
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 733, comma 3 del d.P.R. n. 90/2010, degli artt. 1533, 1547, 1548, 1549, 1557, 1577 in relazione all’art. 931, co. 5, 1581 e 1583 del decreto legislativo n. 66/2010. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 3 della legge n. 241/90 ed eccesso di potere per motivazione carente, illogicità, contraddittorietà manifesta ed arbitrarietà;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 in relazione all’art. 123 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus ed eccesso di potere per motivazione errata e perplessa da parte dell’Ordinario Militare per l’Italia;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 21 bis della legge n. 241/90, per mancata messa a disposizione del provvedimento richiamato, mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e per violazione del principi di irretroattività degli atti amministrativi limitativi della sfera giuridica dei destinatari;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 24 della Costituzione, dell’art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394/1995 ed eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, per non aver l’Ordinario Militare rispettato le leggi dello Stato, nonostante l’espressa disposizione della Congregazione del Clero.
5) violazione e falsa applicazione degli artt. 1533, 1577 e 1581 del decreto legislativo n. 66/2010, dell’art. 3 della legge n. 241/90 ed eccesso di potere per motivazione inesistente, errata e contraddittoria, eccesso di potere per sviamento, per aver ritenuto esistente ed efficace un provvedimento che tale non era. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 bis della legge n. 241/90 in relazione all’art. 2 del decreto legislativo n. 123/2011 ed eccesso di potere per aver attributo efficacia retroattiva al provvedimento di cessazione del servizio, nonché degli artt. 21 septies e 21 octies della legge n. 241/1990.
Per quanto attiene al secondo ricorso, deduceva:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione, relativo al principio di buon andamento nell’azione della p.a. dell’art. 24 della Costituzione, che sancisce il diritto ad agire in giudizio, dell’art. 113 della Costituzione, afferente il diritto alla tutela giurisdizionale ed eccesso di potere per sviamento e inosservanza dell’ordinanza del TRGA n. 131/2015 – Violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, per violazione del generale principio del giusto procedimento ed eccesso di potere per assenza assoluta di contraddittorio nel procedimento disciplinare – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ed eccesso di potere per motivazione assolutamente carente e generica;
2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1575, 1576 e 920 C.O.M. ed eccesso di potere per mancata determinazione del periodo di sospensione, anche con riferimento all’art. 1357 C.O.M., nonché per mancato riconoscimento dell’assegno alimentare.
Nei due giudizi si costituiva il Ministero della Difesa, deducendo l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del T.R.G.A., trattandosi di atti che rientravano nella competenza dell’autorità ecclesiastica e chiedendone, in ogni caso, il rigetto.
Il TAR Bolzano, con sentenza n. 172/2016, accoglieva, in parte, l’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla difesa erariale.
In particolare, con riguardo all’impugnativa della “decisione” ecclesiastica, adottata dalla Congregazione per il Clero della Chiesa Cattolica in ordine al giudizio di inidoneità del ricorrente a svolgere le funzioni di cappellano militare, osservava che gli artt. 1547, 1557 e 1560 dell’ordinamento militare sanciscono, nel rispetto del principio dell’indipendenza e della sovranità reciproca dello Stato e della Chiesa Cattolica di cui all’art. 8 della Costituzione, una netta separazione tra l’attività riferibile direttamente all’ordinamento giuridico italiano e quella attinente al servizio spirituale in senso stretto, espressione dell’ordinamento della Chiesa Cattolica, alla quale appartengono i sacerdoti.
Pertanto, l’impugnazione della “decisione” della Congregazione per il Clero del 2 luglio 2015 era inammissibile, per difetto di giurisdizione, essendo tale atto adottato da un’autorità ecclesiastica, che esercita le proprie funzioni esclusivamente nell’ambito della Chiesa Cattolica.
Precisava peraltro che nelle more del giudizio la Congregazione per il Clero, con nota del Prefetto del 7 settembre 2015, aveva anche chiarito che l’impugnata precedente nota del 2 luglio 2015 della stessa Congregazione non aveva natura provvedimentale (“non si tratta di un decreto…, bensì di un aiuto offerto da questo Dicastero a S.E. Mons. Sa. Ma.”).
Era invece da ritenersi ammissibile l’impugnazione del provvedimento dell’Ordinario Militare per l’Italia del 2 luglio 2015, in quanto atto presupposto dei provvedimenti di cessazione dal servizio permanente, adottati dal Direttore Generale in S.V. della Previdenza militare e della leva del Ministero della Difesa.
L’ufficio dell’Ordinario Militare per l’Italia, a differenza del dicastero della Congregazione per il Clero, non può invero essere considerato tout court come ecclesiastico, bensì come ufficio dello Stato, nell’ambito del quadro normativo sopra descritto.
Ovviamente, la valutazione espressa dall’Ordinario militare circa l’inidoneità ecclesiastica del cappellano militare a continuare a svolgere le sue funzioni non era di certo sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, attenendo alla sfera della idoneità pastorale del sacerdote.
Nondimeno, il giudice poteva sindacare gli “aspetti estrinseci del procedimento di formazione e manifestazione della volontà provvedimentale” e il “rispetto dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla normativa italiana (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 agosto 2006, n. 4783)”.
Nei suddetti limiti, il ricorso si rivelava fondato, in quanto il contenuto degli atti impugnati non faceva riferimento ad alcuna delle cause di cessazione dal servizio permanente dei cappellani militari, previste dal legislatore (art. 1577 d.lgs. n. 166/2010).
In particolare, la nota dell’Ordinario Militare per l’Italia del 2 luglio 2015, nell’oggetto, riguardava “non idoneità ecclesiastica” del ricorrente a svolgere il compito di Cappellano militare e, nella motivazione, si limitava prendere atto della “decisione della Superiore Autorità della Chiesa Cattolica, Congregatio Pro Clericis (Congregazione per il Clero), datata 2.7.2015”, che aveva giudicato il ricorrente “non idoneo a proseguire il servizio presso codesto Ordinariato Militare”.
Tuttavia, secondo il TAR, la “non idoneità ecclesiastica” non rientra tra le cause di cessazione dal servizio permanente dei cappellani militari sopra elencate, da ritenersi tassative.
A sua volta, il decreto ministeriale definitivo del 7 luglio 2015, nelle premesse, si limitava ad affermare che il ricorrente è stato “giudicato non idoneo a proseguire il servizio presso l’Ordinariato Militare”, senza fare riferimento espresso ad alcuna delle cause di cessazione di cui al comma 1 del citato art. 1577 del Codice dell’ordinamento militare.
Quest’ultimo decreto, nella parte dispositiva, richiamava invero l’art. 1581 dello stesso Codice, secondo cui “Il cappellano militare, che su giudizio dell’Ordinario militare, approvato dal Ministro, risulta non idoneo agli uffici del grado, cessa dal servizio permanente ed è collocato nella riserva o in congedo assoluto”.
Tuttavia l’inidoneità agli uffici del grado doveva ritenersi cosa diversa dalla “non idoneità ecclesiastica” cui aveva fatto riferimento l’Ordinario Militare nella nota del 2 luglio 2015.
Inoltre, anche volendo considerare applicata la causa di inidoneità agli uffici del grado, il procedimento sarebbe comunque viziato, in quanto l’art. 1577 richiede quale presupposto per la cessazione il “giudizio dell’Ordinario militare”.
Nel caso di specie, il decreto definitivo ministeriale non richiamava la nota dell’Ordinario Militare del 2 luglio 2015, ma la disposizione della Congregatio Pro Clericis, sempre del 2 luglio 2015, che però non poteva rilevare ai fini dell’applicazione della norma citata.
Peraltro, quand’anche la nota dell’Ordinario Militare fosse stata richiamata nel decreto finale, il procedimento sarebbe stato comunque viziato, dato che quest’ultima nota non conteneva il prescritto autonomo giudizio dell’Ordinario militare sulla non idoneità agli uffici del grado, che va poi “approvato dal Ministro”.
Invero, la nota dell’Ordinario Militare si limitava a prendere atto di un giudizio, peraltro esclusivamente ecclesiastico, di un’autorità non appartenente allo Stato italiano.
Inoltre, mancava anche la prescritta approvazione da parte del Ministro della Difesa.
Infine, il TAR accoglieva anche la domanda di accertamento del diritto del ricorrente a permanere in servizio permanente effettivo quale Cappellano Militare Capo presso il Reggimento Logistico “Julia”, con sede a Merano.
Con la sentenza n. 173/2016, veniva annullato anche il decreto del Ministero della Difesa, in data 11 agosto 2015, con il quale era stata decretata la sospensione dall’esercizio totale del ministero sacerdotale dell’-OMISSIS- in tutta la circoscrizione dell’Ordinariato Militare per l’Italia ai sensi dell’art. 1575 del Decreto Legislativo del 15.3.2010 n. 66.
Veniva in primo luogo respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa erariale, a mente gli artt. 1547, 1557 e 1560 del codice dell’ordinamento militare che sanciscono una netta separazione tra l’attività riferibile direttamente all’ordinamento giuridico italiano e quella attinente al servizio spirituale in senso stretto, espressione dell’ordinamento della Chiesa Cattolica, alla quale appartengono i sacerdoti.
Il TAR ribadiva che l’ufficio dell’Ordinario Militare per l’Italia non può invero essere considerato tout court come ecclesiastico.
Nel merito, sebbene la presupposta valutazione espressa dall’Ordinario militare circa la facoltà del ricorrente di amministrare sacramenti e sacramentali all’interno della circoscrizione ecclesiastica dell’Ordinariato Militare per l’Italia non fosse di certo sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, attenendo alla sfera della idoneità pastorale del sacerdote, tuttavia lo stesso giudice, ribadiva di poter sindacare gli “aspetti estrinseci del procedimento di formazione e manifestazione della volontà provvedimentale” e il “rispetto dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla normativa italiana” così come statuito da questo Consiglio di Stato nel precedente del 2006 sopra citato.
Il TAR riteneva assorbenti i profili di censura sollevati con il secondo motivo, in quanto, a mente dell’art. 1575 del d.lgs. n. 66/2010, nella sanzione disciplinare in esame avrebbe dovuto essere stabilito un termine.
Diversamente opinando, la sanzione della sospensione dall’impiego non si distinguerebbe dal diverso istituto della cessazione dal servizio permanente, disciplinato dai successivi artt. 1577 e ss. dello stesso d.lgs. n. 66 del 2010.
Nel caso specifico, il Direttore Generale della Direzione generale della Previdenza militare e della leva del Ministero della Difesa, nell’impugnato decreto dell’11 agosto 2015, aveva disposto la sospensione del ricorrente “dall’esercizio totale del ministero sacerdotale in tutta la circoscrizione dell’ordinariato Militare per l’Italia”, applicando espressamente l’art. 1575 del d.lgs. n. 66 del 2010, “a seguito della sanzione disciplinare ecclesiastica comminata a norma della vigente legislazione canonica”, senza però stabilire alcuna durata della sanzione.
Dunque, la sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego era stata applicata al ricorrente sine die, in violazione della norma citata.
La nota dell’Arcivescovo Sa. Ma. del 23 luglio 2015, pure impugnata, appariva invece esente dai vizi lamentati, in quanto si limitava a stabilire la revoca delle facoltà di amministrare sacramenti, senza fare alcun riferimento all’art. 1575 del d.lgs. n. 66 del 2010.
Pure fondate venivano ritenute le censure riferite al mancato riconoscimento, sempre nel decreto ministeriale impugnato, del c.d. assegno alimentare di cui all’art. 920 del ripetuto decreto n. 66 del 2010, avente natura assistenziale e non retributiva.
Veniva infine rigettata la domanda di risarcimento del danno biologico e morale patito dal ricorrente in conseguenza della sanzione disciplinare impugnata.
Entrambe le sentenze sono state impugnate dall’Avvocatura generale dello Stato, nella parte in cui l’amministrazione statale è rimasta soccombente.
I profili di gravame possono essere così sintetizzati:
– difetto di giurisdizione del giudice amministrativo che ha, nelle sostanza, sindacato gli atti emanati dall’Autorità Ecclesiastico-Militare con i quali è stata dichiarata, a più riprese, l’inidoneità del Cappellano Militare ad esercitare il proprio ministero sacerdotale all’interno delle Forze Armate, provvedimenti che hanno influito sullo status di cappellano, in virtù di quanto disposto dall’art. 1547 del codice dell’Ordinamento militare, secondo cui “lo stato giuridico dei cappellani militari è costituito dal loro stato di sacerdoti cattolici e dal complesso dei doveri e diritti inerenti al grado di cappellano militare, secondo le disposizioni del presente codice”; le due decisioni del T.R.G.A. Bolzano sarebbero erronee nella parte in cui, pur avendo in linea di principio dichiarato la inammissibilità dei ricorsi per la parte in cui interessavano i provvedimenti ecclesiastici, si sono risolti in un sostanziale sindacato di quei provvedimenti, nella parte in cui non hanno tratto le necessarie conseguenze della intervenuta inidoneità ecclesiastica, con ciò entrando nel merito dei provvedimenti ecclesiastici;
– omessa riunione dei gravami, essendo stati impugnati atti che si sono succeduti, inscindibilmente connessi tra loro, come parte di un unico procedimento amministrativo, concluso con il provvedimento dell’Ordinario Militare del 23 luglio 2015, con il quale sono state revocate al Cappellano militare -OMISSIS- le facoltà di amministrare sacramenti e sacramentali all’interno delle Forze Armate, nonché con il provvedimento della Direzione Generale Previdenza e Leva del Ministero della Difesa dell’11 agosto dello stesso anno che formalizzava la sanzione disciplinare ecclesiastica; in particolare, la mancata riunione ha impedito al TAR di avere – nel giudizio n. 160/2015 – una piena cognizione del provvedimento dell’Ordinario diocesano del 23 luglio 2015 che è stato assunto, in ogni caso, a seguito di una autonoma valutazione da parte dell’Ordinario ed esplicava, quindi, i suoi effetti, diretti ed immediati, sul provvedimento di congedo definitivo del ricorrente. La mancata riunione ha, invece, impedito al T.R.G.A. Bolzano nel giudizio n. 241/2015 di valutare che il provvedimento di sospensione dal servizio era stato comunque superato dal provvedimento di congedo definitivo;
– i provvedimenti dell’amministrazione militare non avrebbero potuto avere un contenuto diverso rispetto a quello assunto dall’amministrazione della difesa perché, essendo venuto meno, in capo al ricorrente, lo status di cappellano militare ex art. 1547 codice dell’ordinamento militare, era necessario ed inevitabile disporre il congedo del ricorrente, non potendo più egli esercitare le funzioni di cappellano militare all’interno delle Forze Armate italiane;
– nessuna modalità prevista dalla legge italiana avrebbe potuto interferire sul rapporto che intercorre tra il Vescovo e il Sacerdote Cattolico in materia di disciplina ecclesiastica, essendo tale condizione “sine qua non” per l’ammissione ad ogni genere di servizio di assistenza spirituale in qualità di dipendente dello Stato;
– il ricorso n. 241/2015 avverso la sospensione dall’impiego avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile e/o improcedibile per difetto di interesse poiché l’efficacia di tale provvedimento è stata superata e/o assorbita dal provvedimento del 6 luglio 2015, formalizzato in data 5 agosto 2015, di messa in congedo del ricorrente;
– l’art. 1575 del c.o.m. non prevede alcun termine di durata finale della sanzione, in quanto la stessa consegue esclusivamente ad una decisione dell’autorità ecclesiastica alla cui durata è strettamente correlata.
Si è costituito per resistere ad entrambi gli appelli, Don -OMISSIS-, deducendo, in sintesi, quanto segue.
In primo luogo, la tesi secondo la quale l’amministrazione statale avrebbe l’obbligo di ratificare pedissequamente qualsivoglia provvedimento dell’Autorità ecclesiastica non sarebbe contemplata né dalla normativa canonica né quella ecclesiastica né da quella statale.
In particolare, per effetto dei Protocolli Addizionali al Concordato lateranense del 1923, lo Stato italiano non può recepire alcuna sentenza o provvedimento emanato da qualsivoglia autorità ecclesiastica se in contrasto con la Costituzione o la legge statale in generale (l.n. 121/85, prot.add. 2).
Nel caso di specie, non potrebbe quindi ritenersi valido un provvedimento dell’Ordinario Militare, anche disciplinare, da lui emanato se in contrasto con il codice dell’ordinamento militare nei casi in cui intenda togliere o sospendere dall’impiego un proprio sottoposto (così come prevede l’art. 1560, comma 2, del c.o.m.).
Nel corpo del codice, l’unico caso di cessazione dal servizio a causa di un provvedimento ecclesiastico sarebbe quello previsto dall’art. 1577, comma 2, lett. f) del c.o.m. consistente nella “elevazione alla dignità vescovile del cappellano militare”
Il precedente di cui alla sentenza di questo Consiglio n. 4783 del 27.1.2006 sarebbe inconferente perché riguarda una determinazione relativa al mancato conseguimento del giudizio di “ottimo” da parte di un cappellano militare addetto di complemento e comunque dimostrerebbe che nemmeno i cappellani militari addetti di complemento possono subire la sorte dell’appellato, ovvero l’espulsione immediata dalla Forze Armate prescindendo dalle note caratteristiche.
L’appellato mette poi in evidenza, che, se è vero, come l’Avvocatura dello Stato afferma, che “lo stato giuridico dei cappellani militari è costituito dal loro stato di sacerdoti cattolici” è indubbio che l’appellato rientra sacramentalmente in tale stato poiché il codex iuris canonici al can. 290, recita “la sacra ordinanza, una volta validamente ricevuta, non diviene mai nulla […]”.
Ad ogni buon conto, nei confronti dell’appellato Don -OMISSIS- non si è mai concretizzata alcuna delle cause di perdita dello stato clericale.
Nella fattispecie, diversamente, con il provvedimento di Previmil del 6.7.2015, egli sarebbe stato collocato in congedo assoluto e non già nella riserva. Del resto, i provvedimenti impugnati avevano disposto anche il rientro nella diocesi di incardinazione per riprendervi, evidentemente, il servizio sacerdotale.
Egli, peraltro, ha sempre assolto con onore i diritti e i doveri attinenti al proprio grado di cappellano militare, come si ricava dai giudizi complessivi finali dei rapporti informativi.
Neppure applicabile sarebbe l’art. 21 – octies della l. n. 241/90, come pretende l’Avvocatura dello Stato, perché difettano, a suo dire, sia i presupposti normativi (ex art. 1577, comma 1, c.o.m.,) sia le modalità (ex art. 1560) per l’attuazione di un valido procedimento di cessazione dal servizio da parte dell’Ordinario Militare; difetta altresì la presupposta sanzione che avrebbe privato l’appellato del suo status di sacerdote cattolico.
Né tale provvedimento potrebbe trovare base nella successiva sanzione dell’ordinario militare (oggetto del ricorso definito con sentenza n. 173/2016) essendo cosa diversa la sanzione disciplinare ecclesiastica rispetto alla non idoneità alle funzioni del grado.
Nessun vulnus al diritto di difesa sarebbe poi disceso dalla mancata riunione da parte del TRGA visto che entrambi i ricorsi sono stati decisi lo stesso giorno.
Con particolare riguardo alla sentenza n. 173/2016, Don -OMISSIS- ripropone il primo motivo del ricorso di primo grado assorbito dal TAR.
Ribadisce in particolare che le uniche ragioni dei provvedimenti impugnati, sia del Ministero che dell’Ordinario Militare, risiederebbero nell’avvenuta presentazione del ricorso al TAR avverso i provvedimenti di messa in congedo.
In sostanza, il comportamento che avrebbe fatto venir meno “i fondamenti essenziali del ministero presbiteriale quali l’ubbidienza al legittimo superiore la comunione con la comunità ecclesiastica” sarebbe esclusivamente quello relativo all’esercizio del diritto di difesa, garantito dalla Stato italiano.
La sanzione ecclesiastica violerebbe, pertanto, il diritto di difesa nonché i più elementari principi in materia di procedimento amministrativo.
A tale riguardo, invoca la sentenza della Corte Costituzionale n. 390/99, dalla quale si ricaverebbe che gli Ordinari diocesani sono sottoposti al rispetto dei principii di buon andamento, ragionevolezza e non arbitrarietà, nell’adozione di provvedimenti aventi effetti nella sfera giuridica della Repubblica Italiana così come riconosciuto anche dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 6133 del 16.11.2000.
Sottolinea, ad ogni buon conto, che nessuna censura è stata mossa dalla difesa erariale avverso il capo della sentenza che riconosceva l’assegno alimentare.
Contesta altresì l’eccezione di improcedibilità del ricorso di primo grado, sull’assunto che il provvedimento di messa in congedo spiegava effetto già dal 2.7.2015 ed era stato comunque sospeso in via interinale dal TAR di Bolzano in data antecedente all’irrogazione della sanzione della sospensione disciplinare.
Ribadisce di non avere mai perso lo status di sacerdote cattolico e che, comunque, secondo quanto previsto nell’art. 2, comma 2 del Protocollo addizionale che apporta modifiche al Concordato lateranense, ratificato e reso esecutivo in Italia con l. n. 121 del 1985, non possono acquisire efficacia nello Stato i provvedimenti emanati da qualsivoglia autorità ecclesiastica se in contrasto con i diritti costituzionali.
Il provvedimento dell’Ordinario Militare, nel caso in esame, sarebbe contrario alle previsione del Codice dell’Ordinamento Militare, per cui il cappellano militare potrebbe cessare o essere sospeso dall’impiego solo nelle ipotesi dallo stesso previste.
Con ordinanze n. 5225/2016 del 21.11.2016 e n. 5224 del 21.11.2016, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha respinto le istanze di sospensione dell’efficacia esecutiva delle due sentenze.
La difesa erariale ha depositato una memoria conclusionale unica per i due appelli in cui ha messo in luce che, anche in data successiva alla proposizione di essi, l’autorità ecclesiastica ha confermato il provvedimento di revoca della facoltà di amministrare sacramenti e sacramentali nei confronti di Don -OMISSIS-.
Su tale presupposto, la Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva del Ministero della Difesa ha disposto una nuova sospensione dall’impiego fino alla data di decisione dei presenti appelli.
Tale provvedimento è stato impugnato con un nuovo ricorso innanzi al TAR di Bolzano (R.G. n. 97/2017), che, con sentenza n. 350 del 12.12.2017, lo ha annullato.
La difesa erariale sottolinea peraltro che, attesa la indipendenza e sovranità reciproca dello Stato e della Chiesa Cattolica, la sanzione disciplinare ecclesiastica comporta la definitiva impossibilità di adibire il sacerdote -OMISSIS- alle funzioni di cappellano militare.
L’appellato replica osservando che il presente contenzioso deve essere ricollegato anche all’impugnativa dei rapporti informativi redatti nei suoi confronti dal Comandante del C.M.E. Trentino Alto Adige, oggetto degli appelli n. 5455/2015 e n. 67/2015, chiamati per la decisione alla medesima udienza.
Ribadisce che la sanzione disciplinare ecclesiastica non avrebbe dovuto essere recepita dall’amministrazione militare, in quanto contrastante con l’art. 1560, comma 2, del c.o.m., premesso al 1575, fermo restando che la sospensione del ministero sacerdotale disposta dall’Ordinario non risulterebbe conforme alla stessa legislazione canonica.
Rimarca di non avere mai perso lo status di sacerdote cattolico, in quanto, diversamente, sarebbe stato applicato nei suoi confronti l’art. 1597 del c.o.m., relativo alla inidoneità permanente alle funzioni sacerdotali, con conseguente invio in congedo assoluto.
Sottolinea, infine, che l’ultimo rapporto informativo redatto dall’autorità militare in data 3 luglio 2015 attesta la correttezza del suo operato, stigmatizzando, per contro, il fatto che l’Ordinario militare non abbia più redatto le note caratteristiche dal 2014, nonostante fosse questa la sede più appropriata per esprimere un giudizio sul suo servizio.
Gli appelli, infine, sono stati trattenuti per la decisione alla pubblica udienza del 14.12.2017.
2. In via preliminare, occorre procedere alla riunione degli appelli in epigrafe, in quanto soggettivamente e oggettivamente connessi.
3. Nel merito, giova premettere il quadro normativo di riferimento.
Il Servizio di assistenza spirituale alle Forze Armate è oggi disciplinato dal d.lgs. n. 15.3.2010, n. 66 (recante il codice dell’ordinamento militare), nel quale, per quanto qui interessa, sono state trasfuse le disposizioni già contenute nella l. 1° giugno 1961, n. 512, recante norme in materia di “stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell’assistenza spirituale alle Forze Armate dello Stato”.
All’articolo 17, così come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 20/2012, il suddetto codice stabilisce che “Il Servizio di assistenza spirituale alle Forze armate, istituito per integrare la formazione spirituale del personale militare di religione cattolica e disimpegnato da sacerdoti cattolici in qualità di cappellani militari, fino all’entrata in vigore dell’intesa prevista all’articolo 11, comma 2, dell’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121, è disciplinato dal presente codice e, in particolare, dal titolo III del libro V”.
All’art. 1553, comma 2, il medesimo decreto soggiunge che “L’alta direzione del servizio di assistenza spirituale è devoluta all’Ordinario militare per l’Italia, il quale è coadiuvato dal Vicario generale militare e da tre ispettori che fanno parte della sua Curia”.
‘assetto della materia deriva dalle disposizioni contenute nel Concordato annesso ai Patti lateranensi del 1929, confermato dagli Accordi del 1984 (cfr., in particolare, l’art. 11, comma 2, secondo cui “L’assistenza spirituale ai medesimi [scilicet: ai cattolici] è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell’autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabiliti d’intesa fra tali autorità”).
Per quanto in particolare concerne i cappellani militari, l’art 1547 del c.o.m. stabilisce che il loro stato giuridico è “costituito dal loro stato di sacerdoti cattolici e dal complesso dei doveri e diritti inerenti al grado di cappellano militare, secondo le disposizioni del presente codice”.
L’art. 1557 prevede poi che l’autorità dalla quale il cappellano militare direttamente dipende, redige alla fine di ogni anno un rapporto informativo nei riguardi del cappellano militare stesso (comma 1) e che l’Ordinario militare o, per sua delega, il Vicario generale militare, sulla base del rapporto informativo e di ogni altro elemento a disposizione, compila, entro il mese di gennaio dell’anno successivo, le note caratteristiche per ciascun cappellano militare integrate da un giudizio complessivo espresso per le qualifiche di ottimo, buono, mediocre, insufficiente (comma 2)
La nomina dei cappellani militari addetti “è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro della difesa, previa designazione dell’Ordinario militare” (art. 1548, comma 1).
Il loro impiego “consiste nell’esercizio del ministero sacerdotale in qualità di cappellano militare” (art. 1560, comma 1).
L’impiego “non può essere tolto o sospeso se non nei casi e nei modi stabiliti dal presente codice”.
L’art. 1575 prescrive altresì che “Le sanzioni disciplinari ecclesiastiche, che sospendono il cappellano militare dall’esercizio totale o parziale del ministero sacerdotale, importano di diritto, per tutto il tempo in cui hanno effetto, la sospensione disciplinare dall’impiego, con privazione del trattamento economico”, osservandosi “in quanto applicabili, le disposizioni della sezione IV del capo III del titolo V del libro IV” (art. 1576).
Il cappellano militare cessa dal servizio permanente per il verificarsi di una delle seguenti cause:
a) età; b) infermità; c) inidoneità agli uffici del grado; d) domanda; e) d’autorità; f) elevazione alla dignità vescovile; g) perdita del grado (art. 1577, comma 1).
Secondo l’art. 1581, “Il cappellano militare che, su giudizio dell’Ordinario militare, approvato dal Ministro, risulta non idoneo agli uffici del grado, cessa dal servizio permanente ed è collocato nella riserva o in congedo assoluto”.
3.1. In forza delle disposizioni testé sintetizzate lo status dei cappellani militari è quello proprio dei militari, sicché gli atti assunti dall’autorità ecclesiastica esplicano efficacia nell’ambito dell’ordinamento statale.
I provvedimenti emanati dalle superiori autorità ecclesiastiche, che sui cappellani militari esercitano la propria giurisdizione ecclesiastica (intesa come esercizio del ministero ecclesiastico), devono, pertanto, considerarsi, in forza del regime concordatario e delle norme citate, alla stregua di atti provenienti da soggetti incardinati funzionalmente nella struttura del Ministero della Difesa.
Da qui, la giurisdizione del giudice amministrativo a giudicarne la legittimità (cfr., in particolare, TAR Lazio, sez. I^, sentenza n. 7350 del 19 settembre 2011).
Tuttavia, come già chiarito da questo Consiglio (sentenza della sez. IV, n. 4783 dell’8.8.2006), la predetta normativa “è evidentemente ispirata, nel rispetto del resto del principio dell’indipendenza e della sovranità reciproca dello Stato e della Chiesa, di cui all’articolo 8 della Costituzione, ad una netta separazione tra l’attività riferibile direttamente all’ordinamento giuridico italiano (quale l’ordinamento gerarchico dei cappellani, il loro trattamento giuridico ed economico, la loro carriera, etc.) e quella attinente al servizio spirituale in senso proprio, costituente espressione dell’ordinamento della Chiesa Cattolica, cui appartengono i sacerdoti (quali la designazione dell’Ordinario Militare, il relativo nulla osta e la sua revoca per inidoneità, nonché il giudizio per il passaggio al servizio permanente e tutte le eventuali altre questioni che attengono alla direzione del servizio di assistenza spirituale)”
A ciò consegue che la legittimità degli atti con cui l’Ordinario esercita prerogative attinenti all’ordinamento canonico “non può che essere limitato ai soli aspetti estrinseci del procedimento di formazione e manifestazione della volontà provvedimentale, oltre che del rispetto dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla normativa italiana, ma non può impingere nel merito delle valutazioni o di quei giudizi che, attenendo alla sfera dell’assistenza spirituale e alla idoneità pastorale dei sacerdoti a cui la stessa è demandata, sotto l’alta direzione dell’Ordinario Militare, sfuggono alla stessa giurisdizione italiana, rientrando nella giurisdizione ecclesiastica […]”.
I principi testé evidenziati, nel caso oggi in rilievo, sono stati invero ampiamente richiamati dai primi giudici, senza tuttavia trarne le dovute conseguenze.
Al riguardo, valga quanto segue.
4. Alla stregua delle norme di derivazione concordataria richiamate, la designazione da parte dell’Ordinario del cappellano militare (cui astrattamente l’autorità militare potrebbe non dare seguito) costituisce un atto ad amplissima discrezionalità, amministrativo e canonico insieme, che appartiene esclusivamente all’Ordinario.
Tale designazione si fonda su requisiti di natura spirituale relativi all’idoneità pastorale del sacerdote chiamato a prestare assistenza religiosa al personale delle Forze Armate (e oggi anche al personale di Polizia) esclusivamente valutabili dall’autorità ecclesiastica competente, mentre gli unici ulteriori requisiti richiesti dallo Stato italiano per la nomina del soggetto designato ai fini del suo inserimento nelle Forze Armate sono il godimento dei diritti politici e l’idoneità al servizio militare incondizionato (art. 1549 del c.o.m.).
Come fatto rilevare dalla difesa erariale nel corso del giudizio di primo grado, il cappellano militare è prima di tutto un sacerdote, il cui incardinamento nella carriera militare non ha un preminente significato professionale-lavoristico, ma è funzionale all’esercizio del ministero sacerdotale in quel particolare ordinamento.
Questo Consiglio, nella cit. sentenza 4783/2006, ha messo in luce che il potere di designazione necessariamente presuppone che la stessa autorità ecclesiastica possa revocare la designazione effettuata, non solo per ragioni legate allo status di militare del cappellano, ma anche per il venire meno dei requisiti spirituali sottesi all’originaria designazione.
Il principale errore in cui sono incorsi i giudici di prime cure, a parere del Collegio, è stato quindi quello di assumere che la “non idoneità ecclesiastica” non rientri tra le cause di cessazione dal servizio permanente dei cappellani militari quali disciplinate dal codice dell’ordinamento militare.
Tale conclusione, in quanto consente di permanere in servizio a sacerdoti ritenuti dalle autorità ecclesiastiche non idonei ad esercitare le funzioni di assistenza spirituale, si pone infatti in diretto contratto con la norma pattizia secondo cui “L’assistenza spirituale ai medesimi [scilicet: ai cattolici] è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell’autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabiliti d’intesa fra tali autorità” (art. 11, comma 2, dell’Accordo del 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana che apporta modificazioni al Concordato Lateranense).
In sostanza, la revoca è espressione del potere di controllo rimesso all’Ordinario sulla permanenza dell’idoneità ecclesiastica del sacerdote a prestare il servizio in qualità di cappellano militare e costituisce il logico e necessario corollario del potere di designazione, non essendo, in mancanza di tale idoneità, più conseguibile la realizzazione dello scopo cui è preordinato l’impiego dei cappellani militari.
Esso, a norma dell’art. 1560 del c.o.m., consiste infatti esclusivamente nell’esercizio del ministero sacerdotale in tale qualità.
4.1. Nel caso di specie, si tratta ora di verificare se, come sostenuto da Don -OMISSIS-, la richiesta dell’Arcivescovo Castrense al Ministero di porre termine al suo servizio in qualità di cappellano militare e il conseguenziale provvedimento ministeriale si pongano in contrasto con il codice dell’ordinamento militare, o comunque siano decisioni arbitrarie, adottate al solo fine di conculcare diritti fondamentali dell’appellato riconosciuti dalla Costituzione italiana (nella memoria di replica l’appellato allude in particolare ai pregressi contenziosi amministrativi da lui instaurati avverso i rapporti informativi redatti dall’Autorità militare per il 2013 e il 2014 nonché avverso l’assegnazione del Cappellano Militare Don Gi. Ma. al Comando Legione Carabinieri “Trentino-Alto Adige” con sede in Bolzano).
La tesi dell’appellato, accolta dai primi giudici, è in particolare quella secondo cui, una volta che l’autorità statale abbia proceduto alla nomina del cappellano militare, non solo le cause di cessazione dal servizio siano esclusivamente quelle espressamente disciplinate dal c.o.m. (tesi che si è già confutata), ma anche che, per quanto concerne “l’inidoneità agli uffici del grado”, di cui all’art. 1581, il “motivato giudizio” dell’Ordinario debba in ogni caso essere “approvato” dal Ministro.
4.1.1. Si è già accennato al fatto che lo status del cappellano militare è caratterizzato, per così, dire, da una duplice “anima”, essendo costituito, a un tempo, dalla sua condizione di sacerdote e da quella di arruolato nelle Forze Armate (art. 1547 c.o.m.).
Anche per quanto riguarda il “complesso dei doveri e diritti inerenti al grado di cappellano militare”, il relativo giudizio spetta peraltro all’Ordinario, il quale, sulla scorta dei rapporti informativi redatti dalle autorità militari da cui il sacerdote direttamente dipende, ne redige le note caratteristiche (art. 1557, comma 2, c.o.m.).
In tale ottica, risulta pertanto condivisibile la tesi della difesa erariale secondo cui l’art. 1581 del d.lgs. n. 66/2016 è sostanzialmente una norma di “chiusura”, riferita a tutte le cause di inidoneità agli uffici del grado, anche diverse dai requisiti puramente spirituali, che attengono al “complesso dei doveri e diritti inerenti al grado di cappellano militare”.
Con l’ulteriore conseguenza che, mentre le valutazioni relative all’idoneità quale militare del cappellano devono essere “approvate” – ovvero vagliate e condivise dall’autorità statale, in quanto preposta all’ordinamento delle forze armate in cui il cappellano è organicamente inserito – le misure puramente ecclesiastiche, sia che sostanzino un giudizio sull’idoneità pastorale del sacerdote, sia che assumano la forma di vere e proprie “sanzioni”, sono direttamente efficaci nell’ordinamento statuale senza alcuna necessità di approvazione nel senso testé evidenziato, fatta salva ovviamente la verifica, puramente estrinseca, da parte dell’Autorità statale in ordine alla legittimità del procedimento di formazione e manifestazione della volontà provvedimentale dell’Ordinario nonché dell’inesistenza di profili di manifesta arbitrarietà e irrazionalità (cfr. Cons. St., sez. VI, sentenza n. 6133 del 16.11.2000, in materia di nomina degli insegnanti di religione nelle scuole pubbliche).
4.1.2. Nel caso di specie, l’Ordinario Militare, con nota del 2.7.2015, sull’assunto dello “stato giuridico di Sacerdote Cattolico” di Don -OMISSIS- e preso atto “della decisione della Superiore Autorità della Chiesa Cattolica, Congregatio pro Clericis (Congregazione per il Clero), datata 02.07.2015, prot. nr. 20152265, che lo ha giudicato […] non idoneo a proseguire il servizio presso codesto Ordinariato Militare, con il conseguente rientro nella Diocesi di incardinazione nel rispetto delle leggi dello Stato” ha ritenuto che, nella stessa data, si fosse concretizzato il “termine del servizio” di cappellano militare e ha contestualmente richiesto al Ministero della Difesa di “sancire quanto disposto sopra”.
La “Congregatio Pro Clericis” presso la Santa Sede, cui l’Ordinario aveva esposto la “situazione” del sacerdote, ha valutato che “il servizio del Rev. -OMISSIS- presso codesto Ordinariato si sia nel corso degli anni in più di una occasione rivelato non efficace e, anzi, sia stato fonte di conflitto con le Autorità Militari, nonché di disagio per i fedeli a lui affidati.
Pertanto, si ravvisano gli estremi per considerare il Rev. -OMISSIS- non idoneo a proseguire il servizio presso codesto Ordinariato […]”.
Sulla scorta di tali presupposti, il Ministero della Difesa ha decretato la cessazione dal servizio permanente e il collocamento nella riserva ai sensi dell’art. 1581 del c.o.m., implicitamente approvando e “dando seguito” alla volontà dell’Ordinario.
4.2.2. Ciò premesso, reputa il Collegio che la richiesta dell’Arcivescovo castrense, sulla scorta della quale il Ministero ha provveduto al collocamento nella riserva dell’appellato, non sia affetta da eccesso di potere per i profili da questi dedotti (in particolare, difetto di motivazione e sviamento per illogicità e contraddittorietà manifesta).
E’ opportuno precisare che, in questa sede, non rileva stabilire se il provvedimento della Congregatio Pro Clerici sia, secondo l’ordinamento canonico, vincolante per l’Ordinario Militare, trattandosi di questioni pertinenti esclusivamente a tale ordinamento.
In altre parole, ai fini della valutazione estrinseca della legittimità della proposta dell’Ordinario è indifferente il convincimento soggettivo di quest’ultimo circa la natura e gli effetti degli atti promananti dalla gerarchia ecclesiastica, essendo sufficiente che egli abbia esternato, sia pure “per relationem”, le ragioni della propria richiesta all’autorità statale.
Va ancora soggiunto che, sul piano fattuale, la “situazione” di Don -OMISSIS-, sottesa al giudizio espresso dalle autorità ecclesiastiche, era ben nota al Ministero della Difesa, resistente nei giudizi proposti dallo stesso avverso i rapporti informativi per il 2013 e parte del 2014 redatti dall’Autorità militare da cui all’epoca dipendeva, nonché avverso l’assegnazione del cappellano militare capo Don Gi. Ma. al Comando Legione Carabinieri “Trentino-Alto Adige” con sede a Bolzano.
Nel contesto della trattazione dei relativi appelli (n. 5455/2015 e n. 67/2017, trattenuti per la decisione alla medesima udienza alla quale sono stati chiamati quelli in esame), è emersa infatti una situazione di forte conflittualità tra Don -OMISSIS- e i superiori, dovuta ad “atteggiamenti di aperta non condivisione delle regole che sono alla base dell’Organizzazione militare” nonché alla decisione di ” privilegiare strade alternative alla catena di comando per esternare e rappresentare, ancora una volta, a suo dire, gravi situazioni comportamentali da parte di persone a lui sovra ordinate” la quale ha contribuito ad alimentare “distacco” e “perdita di fiducia” da parte della comunità sia civile che militare alla cui assistenza spirituale, all’epoca, era adibito (così, i rapporti informativi n. 18/ 2014 e n. 20/2014, redatti dal Comandante del C.M.E. “Trentino Alto Adige”).
E’ naturale che gli stessi comportamenti siano poi stati portati all’attenzione dell’autorità ecclesiastica e che abbiano formato oggetto di valutazione sul piano dell’idoneità pastorale del sacerdote a svolgere l’attività di cappellano militare.
Tale valutazione però non solo presenta margini elevati di discrezionalità (il che, come affermato da questo Consiglio nella cit. sentenza n. 4783/2006, già di per sé ridimensionerebbe significativamente, secondo il notorio indirizzo giurisprudenziale, il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sulla proposta dell’Ordinario), ma, per quanto inerente all’attitudine pastorale del cappellano allo svolgimento del servizio di assistenza spirituale, non può che rientrare nel munus proprio dell’autorità ecclesiastica, risultando sottratta alla giurisdizione italiana.
Come già evidenziato, infatti, pur potendosi ammettere il sindacato giurisdizionale sul provvedimento di collocamento in congedo, detto sindacato è necessariamente limitato alla sua legittimità estrinseca ma non può riguardare il merito del giudizio di inidoneità dell’Ordinario Militare.
Va ancora soggiunto che, nel caso oggi in rilievo, non vi è nemmeno alcun dubbio (così come accennato dal giudice di primo grado), sul contenuto del “giudizio” espresso dall’Ordinario Militare nella richiesta del 2 luglio 2015, e sulla conseguente volontà di quest’ultimo di revocare la designazione dell’appellato quale cappellano militare, poiché la stessa Autorità, con successivo provvedimento del 23 luglio 2015, ha anche adottato una sanzione ecclesiastica, disponendo la revoca della facoltà di Don -OMISSIS- di amministrare sacramenti e sacramentali in tutta la circoscrizione dell’Ordinariato Militare, sull’esplicito assunto che le vicende intercorse dopo il 2 luglio 2015 avessero fatto emergere un comportamento da parte del sacerdote “contrario alla vita e allo stile sacerdotale” con il conseguente venir meno dei “fondamenti essenziali del ministero presbiterale quali l’obbedienza al legittimo superiore e la comunione con l’Autorità Ecclesiastica”.
Per quanto occorrer possa si osserva che anche tale valutazione non solo è insindacabile nel merito, come peraltro riconosciuto dallo stesso TAR, ma nemmeno si appalesa arbitraria e contraria ai principi costituzionali che informano l’ordinamento statuale.
L’autorità ecclesiastica non ha infatti messo in discussione il diritto costituzionale del ricorrente di rivolgersi all’autorità giudiziaria, ma ne ha valutato il comportamento complessivo sul piano del rispetto dei “fondamenti essenziali del ministero presbiteriale” il quale sfugge ad ogni possibile sindacato da parte di questo giudice.
4.3. In definitiva:
– al potere di designazione dei cappellani militari, previsto dal codice dell’ordinamento militare corrisponde, necessariamente e specularmente, quale logico corollario del controllo rimesso all’autorità ecclesiastica sulla permanenza dei requisiti previsti dall’ordinamento canonico, il potere di revoca della designazione medesima;
– l’inidoneità agli uffici del grado, derivante dalla sopravvenuta inidoneità ecclesiastica, non richiede l'”approvazione” dell’autorità statale, intesa quale codecisione, bensì soltanto un controllo estrinseco di legittimità da parte del ministero;
– nel caso di specie, il giudizio di non idoneità ecclesiastica espresso dall’Ordinario Militare nei confronti di Don -OMISSIS- non si appalesa né immotivato né arbitrario in quanto poggia su fatti accertati dall’autorità militare, la cui valutazione, sul piano dell’idoneità pastorale del sacerdote, rientra nel munus proprio dell’autorità ecclesiastica ed è insindacabile nel merito.
4.4. In considerazione di quanto precede, l’appello n. 7574/2016 merita accoglimento, con la conseguenza che la sentenza di primo grado deve essere riformata sia nella parte in cui ha annullato i provvedimenti dell’Ordinario Militare e del Ministero, sia in quella in cui, in via conseguenziale, ha accertato il diritto dell’appellato di permanere in servizio in qualità di cappellano militare.
5. Il ripristino, con effetti ex tunc, dei provvedimenti annullati in primo grado, ed in particolare di quello relativo alla cessazione dal servizio permanente di Don -OMISSIS-, comporta il venir meno dell’interesse di quest’ultimo all’impugnativa del provvedimento di sospensione disciplinare dall’impiego, oggetto dell’appello n. 7571/2017.
Il provvedimento di sospensione dall’impiego, così come dedotto dalla difesa erariale, risulta infatti “assorbito”, o meglio, privato di ogni effetto utile, da quello di cessazione, non rivestendo più alcuna autonoma valenza lesiva.
Ai sensi degli artt. 35 comma 1 lett. c), 38 e 85 comma 9, c.p.a. nel giudizio amministrativo “il rapporto processuale non perde la sua unitarietà per il fatto di essere articolato in gradi distinti, sicché la sopravvenuta carenza o l’estinzione dell’interesse al ricorso di primo grado determina l’improcedibilità non solo dell’appello – indipendentemente da chi l’abbia proposto – ma pure dell’impugnazione originaria spiegata innanzi al giudice di primo grado, e comporta quindi, qualora non si verta in ipotesi di vizio o difetto inficiante il solo giudizio di appello, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata” (così, ex plurimis, Cons. St., sez. V, sentenza n. 4699 dell’11.10.2017).
Nel caso di specie, si impone dunque la declaratoria d’improcedibilità del ricorso in primo grado, nella parte relativa all’azione impugnatoria, per sopravvenuta carenza d’interesse, con conseguente annullamento senza rinvio, in parte qua, della pure gravata sentenza n. 173/2016 del T.R.G.A. di Bolzano.
6. In ragione della peculiarità della vicenda in esame, appare equo compensare integralmente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, di cui in premessa:
1) accoglie l’appello n. 7574/2016, e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza n. 172/2016 di cui in epigrafe, respinge il ricorso e i motivi aggiunti di primo grado avverso il provvedimento del Ministero della Difesa – Ordinariato militare per l’Italia prot. n. 2228 – C/1 del 2.7.2015, nonché avverso il decreto del Ministero della Difesa prot. n. 33/15/PE del 6.7.2015;
2) relativamente all’appello n. 7571/2016, dichiara l’improcedibilità del ricorso di primo grado (R.G. n. 241/2015 del T.R.G.A. di Bolzano), nella parte relativa all’azione impugnatoria per sopravvenuta carenza d’interesse e, per l’effetto, annulla senza rinvio, in parte qua, la sentenza n. 173/2016 indicata in epigrafe.
Spese del doppio grado compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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