Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 29 maggio 2014, n. 2792. La responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo ha natura speciale, non riconducibile ai modelli normativi della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. In particolare, gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione, sul piano della fattispecie, sono: i) l’elemento oggettivo; ii) l’elemento soggettivo; iii) il nesso di causalità materiale o strutturale; iv) il danno ingiusto, inteso come lesione della posizione di interesse legittimo e, nella materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo. Sul piano delle conseguenze e, dunque, delle modalità di determinazione del danno, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata.
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N. 02792/2014REG.PROV.COLL.
N. 08825/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8825 del 2007, proposto da:
Il Tuo Viaggio s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Callea e Roberto Giovanni Aloisio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pasquale Gallo in Roma, via Calabria, 17;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero degli Affari Esteri, in persona dei Ministeri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma della sentenza 31 luglio 2007, n. 7278, del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione I, a seguito dell’annullamento, con sentenza 19 ottobre 2011, n. 2158124 della Corte di Cassazione, della sentenza 24 dicembre 2009, n. 8719 del Consiglio di Stato, Sezione sesta, avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno per mancata attuazione delle misure di protezione diplomatica da parte dello Stato italiano nei confronti dello Stato marocchino che non ha consentito alla ricorrente lo svolgimento dell’attività marittima di collegamento tra i due Paesi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Aloisio e l’avvocato dello Stato Meloncelli.
FATTO
1.– Il “Il Tuo Viaggio” s.r.l. (d’ora innanzi anche solo Società) ha proposto, nell’anno 2001, al Consolato del Marocco di Milano un progetto volto a realizzare un collegamento marittimo, con navi traghetto, tra il porto di Savona e quello di Tangeri.
La società, a tale fine, ha iniziato una trattativa con le autorità marocchine e italiane per potere attuare tale progetto. Le autorità italiane non avrebbero, però, si rileva, adottato le misure necessarie affinché le autorità marocchine consentissero tale collegamento. In particolare, all’atteggiamento ostruzionistico del Marocco non è seguito eguale trattamento nei confronti della società di Stato marocchina “Comanav”, che gestiva un collegamento marittimo tra il Marocco e l’Italia.
Il “Tuo Viaggio” s.r.l., per le ragioni sin qui indicate, è stata costretta ad interrompere l’iniziativa economica intrapresa, con conseguenti ingenti danni economici.
1.1.– La Società ha proposto ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, rilevando l’illegittimità dell’attività posta in essere dalle autorità italiane per (si riporta in sintesi): i) violazione della legge 24 luglio 1985, n. 433 (Ratifica ed esecuzione dell’accordo in materia di marina mercantile tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, firmato a Rabat il 15 aprile 1982), per la mancata convocazione della commissione mista italo – marocchina al fine di risolvere la questione in esame; ii) violazione della legge 3 marzo 1987, n. 69 (Disposizione per la difesa della Marina mercantile), la quale prevede che lo Stato italiano, in virtù del principio della reciprocità di trattamento nell’ambito dei traffici marittimi, deve garantire una tutela specifica in favore delle navi di proprietà italiana o noleggiate da società di navigazione italiane, soggette a trattamenti discriminatori; iii) eccesso di potere, in quanto non sarebbero state spiegate le ragioni per le quali risultava difficile provvedere nel senso richiesto dalla Società.
Per questi motivi è stata chiesta la condanna dell’amministrazione statale al risarcimento dei danni quantificato in euro 10.000.000,00 o nella diversa somma da determinare mediante consulenza tecnica o in via equitativa.
1.2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 31 luglio 2007, n. 7278, ha rigettato il ricorso, rilevando la mancanza del nesso di causalità tra la condotta e il danno. In particolare, si rileva come, «anche attraverso un diverso modus operandi» delle parti coinvolte, l’interesse sostanziale cui aspirava il “Tuo Viaggio” non sarebbe stato comunque conseguibile in ragione della mancanza del necessario consenso da parte delle autorità marocchine.
2.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello, impugnando la predetta sentenza.
3.– Il Consiglio di Stato, con sentenza 24 dicembre 2009, n. 8719, ha rigettato l’appello.
In particolare, nella sentenza si premette che «se uno Stato non rispetta le norme sul trattamento degli stranieri (…) compie un illecito internazionale nei confronti dello Stato al quale lo straniero appartiene». Ne consegue che lo Stato dello straniero «maltrattato» deve esercitare la protezione diplomatica ossia «assumere la difesa del proprio cittadino sul piano internazionale, adottando le contromisure necessarie al fine di fare cessare la violazione». Svolta questa premessa, si è affermato che: i) «il Governo non è obbligato, nei confronti del cittadino che la invoca, ad esercitare la protezione diplomatica contro lo Stato straniero»; ii) «gli atti compiuti da uno Stato nel regolamento delle relazioni internazionali sono (…) atti politici e, come tali, sottratti al sindacato giurisdizionale, sia ordinario che amministrativo».
Il Consiglio di Stato, dopo avere puntualizzato che quanto esposto è sufficiente a ritenere priva di fondamento la pretesa azionata, ha aggiunto che: i) la protezione diplomatica è subordinata al previo esaurimento dei ricorsi interni, che, nella specie, non risultavano essere stati proposti; ii) non è stato neanche «provato che vi sia un rapporto di causalità tra il danno lamentato (interruzione del collegamento marittimo tra Italia e Marocco) e l’illegittimità imputata allo Stato italiano (avere omesso di intervenire in via diplomatica nei confronti dello Stato marocchino)».
4.– L’appellante ha proposto ricorso per Cassazione, per avere il Consiglio di Stato negato la tutela giurisdizionale.
5.– La Corte di cassazione, con sentenza 19 ottobre 2011, n. 21581, ha accolto il ricorso. In particolare, con tale decisione si è affermato che i poteri che il Consiglio di Stato ha ritenuto essere espressione di attività politica, «sono esercitati, su proposta (non di un organo politico, bensì) di una commissione tecnica al fine di difendere la marina mercantile nazionale e di disciplinare i traffici commerciali marittimi per la tutela dell’interesse nazionale, poteri il cui contenuto esula del tutto dal novero degli atti politici stricto sensu, trattandosi viceversa di atti di alta amministrazione rientranti nell’esercizio di una più specifica politica marittimo-mercantile nazionale». Si è, inoltre, puntualizzato che «gli ulteriori argomenti spesi in sentenza (in ordine alla causalità e al danno) non possono costituire, nel caso di specie, idonea e autosufficiente ratio decidendi, degradando piuttosto, ipso facto, a rango di meri obiter dicta, attesa la pregiudiziale declinatoria assoluta di potestas iudicandi».
La Cassazione, per le indicate ragioni, ha annullato la sentenza impugnata e ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, cui la causa è stata rinviata per la sua trattazione nel merito.
6.– La Società ha proposto ricorso per riassunzione, prospettando, sostanzialmente, anche alla luce di quanto affermato dalla Cassazione, le medesime censure contenute nei precedenti atti difensivi.
7.– La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio dell’11 marzo 2014.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame della Sezione, descritta nella parte in fatto, richiede che vada valutata la fondatezza della domanda di risarcimento dei danni che la ricorrente assume di avere subito in conseguenza della interruzione del collegamento marittimo, con navi traghetto, tra l’Italia e il Marocco.
La Corte di cassazione, con sentenza 19 ottobre 2011, n. 21581, ha annullato, con rinvio, la sentenza 24 dicembre 2009, n. 8719 del Consiglio di Stato, Sezione sesta, la quale aveva rigettato il ricorso in ragione della riconducibilità dell’attività posta in essere dalle autorità italiane nell’ambito delle funzioni politiche.
2.– La risoluzione della controversia impone, in via preliminare, mediante una comparazione con il sistema civilistico di responsabilità, di individuare la natura della responsabilità della pubblica amministrazione, i suoi elementi costitutivi e, in particolare, il rapporto di causalità.
3.– La responsabilità extracontrattuale, che rinviene il fondamento della sua disciplina nell’art. 2043 cod. civ., presuppone che l’agente non abbia normalmente alcun rapporto o contatto con la parte danneggiata. La norma citata, infatti, impone, con clausola generale dotata di autonomia precettiva, il rispetto del dovere generale del neminem laedere a tutela di qualunque posizione soggettiva meritevole di protezione giuridica.
La responsabilità contrattuale è conseguenza della violazione di un dovere di prestazione o di protezione inserito nell’ambito di un rapporto giuridico che sorge non solo da un contratto ma, esprimendo l’espressione impiegata una sineddoche, anche dalla legge o da contatto tra le parti che può generare un rapporto contrattuale di fatto. Le posizioni soggettive sono riconducibili alla categoria del diritto soggettivo relativo.
La responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo ha natura speciale non riconducibile agli indicati modelli normativi di responsabilità (Cons. Stato, VI, 27 giugno 2013, n. 3521; id. 14 marzo 2005, n. 1047), per le seguenti ragioni.
In primo luogo, rispetto alla responsabilità civile, quella in esame presuppone che il comportamento illecito si inserisca nell’ambito di un procedimento amministrativo. L’amministrazione, in ossequio al principio di legalità, deve rispettare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione. L’esistenza di un contatto tra le parti, pubbliche e private, impedisce di ritenere che si sia in presenza della responsabilità di un soggetto non avente alcun rapporto con la parte danneggiata.
In secondo luogo, rispetto alla responsabilità contrattuale, sono diverse le posizioni soggettive che si confrontano: da un lato, dovere di prestazione o di protezione e diritto di credito, dall’altro, potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo.
Infine, rispetto ad entrambe le responsabilità civilistiche, la stretta connessione esistente tra sindacato di validità sul potere discrezionale e sindacato di responsabilità sul comportamento impone al giudice amministrativo, nel caso in cui sia proposta anche l’azione di annullamento o di nullità, di non sovrapporre, nell’accertare la sussistenza del fatto illecito, proprie valutazioni a quelle riservate alla pubblica amministrazione.
In definitiva, la peculiarità dell’attività amministrativa – che deve svolgersi nel rispetto di determinate regole procedimentali, sostanziali e processuali – rende speciale, per le ragioni indicate, anche il sistema della responsabilità da attività illegittima.
4.– Gli elementi costitutivi della responsabilità della p.a., sul piano della fattispecie, sono: i) l’elemento oggettivo; ii) l’elemento soggettivo; iii) il nesso di causalità materiale o strutturale; iv) il danno ingiusto, inteso come lesione della posizione di interesse legittimo e, nella materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo.
Sul piano delle conseguenze e, dunque, delle modalità di determinazione del danno, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata (Cass., 17 settembre 2013, n. 21255, ritiene, invece, che anche tale fase, avendo rilevanza causale, debba essere inserita nell’ambito della fattispecie).
5.– In questa sede interessa soffermarsi sul rapporto di causalità.
5.1.– Nel modello di responsabilità civile il rapporto di causalità materiale, non sussistendo alcun legame tra danneggiante e danneggiato, è finalizzato ad individuare l’autore del fatto illecito e, in particolare, colui che ha cagionato la lesione della posizione giuridica protetta e dunque il danno ingiusto.
La giurisprudenza e la dottrina civilistica, mutuando l’elaborazione penalistica e le regole contenute negli articoli 40 e 41 cod. pen., hanno fatto applicazione della cosiddetta teoria condizionalistica. Tale teoria presuppone l’effettuazione di un giudizio controfattuale finalizzato a stabilire se, eliminando o, negli illeciti omissivi, aggiungendo, quella determinata condotta l’evento si sarebbe ugualmente verificato.
La suddetta ricostruzione deve essere integrata con la teoria della sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura nelle ipotesi in cui, alla luce delle conoscenze specialistiche di quel determinato momento storico, non è dato sapere se quella condotta possa avere efficacia causale nella determinazione del danno.
Il rapporto di causalità, così ricostruito, deve essere, poi, delimitato, in applicazione della teoria della causalità adeguata, in modo da assegnare valenza eziologica soltanto a quelle condotte che sono idonee, secondo un giudizio prognostico ex ante, a cagionare quel determinato evento. In altri termini, occorre verificare se vi sia una relazione di regolarità causale tra condotta ed evento.
Il giudice civile dovrà, infine, nel corso del giudizio, accertare, applicando le teorie sopra esposte, l’esistenza di un rapporto di causalità secondo la regola probatoria del “più probabile che non” (cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581).
La modalità di svolgimento dell’accertamento istruttorio costituisce la principale differenza rispetto alla responsabilità penale, nell’ambito della quale la diversità di beni giuridici tutelati impone che l’autore del reato venga individuato “al di là di ogni ragionevole dubbio” (Cass. pen., sez. un., 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese).
Così ricostruito il rapporto di causalità materiale occorre poi valutare, sul piano della causalità giuridica, quali siano le conseguenze patrimoniali derivanti dal fatto lesivo posto in essere.
5.2.– Nel modello della responsabilità contrattuale non è necessario ricorrere alle teorie elaborate per ricostruire il nesso di causalità materiale, in quanto, sussistendo un rapporto giuridico tra creditore e debitore, si conosce già l’autore dell’illecito. In questo ambito rileva soltanto il nesso di causalità giuridica finalizzato a determinare i pregiudizi effettivamente subiti dal danneggiato (art. 1223 cod. civ.).
5.3.– Nel modello della responsabilità della pubblica amministrazione la sua specialità incide sulla ricostruzione del rapporto di causalità assegnandogli una valenza non del tutto riconducibile alla teorie elaborate in ambito civilistico.
La normale esistenza di un rapporto, che si instaura nell’ambito di un procedimento amministrativo, tra pubblica amministrazione e privato induce a ritenere che anche in questo caso, come in presenza di illeciti contrattuali, non sia necessario individuare l’autore del fatto lesivo.
La rilevanza delle teorie della causalità materiale si apprezza sotto altro aspetto: la ricostruzione del nesso eziologico è necessaria al fine di valutare se la condotta della pubblica amministrazione sia stata idonea a ledere la posizione soggettiva di interesse legittimo. L’accertamento della lesione dell’interesse legittimo – in ragione della stretta connessione con il potere pubblico – richiede, infatti, l’effettuazione di un giudizio prognostico mediante il ricorso alla teoria condizionalistica, integrata, ove occorra, dal modello della sussunzione sotto leggi scientifiche e corretta dalla teoria della causalità adeguata.
Chiarito ciò, occorre distingue due diverse fattispecie.
La prima fattispecie ricorre nel caso in cui la parte abbia proposto sia l’azione di invalidità sia l’azione di responsabilità e l’esito del giudizio amministrativo di annullamento di un determinato provvedimento consente il riesercizio di poteri amministrativi discrezionali. In queste ipotesi la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente ritenuto che il giudice amministrativo non possa effettuare, per evitare di invadere sfere di valutazione che la Costituzione riserva alla pubblica amministrazione, il predetto giudizio prognostico. Si ritiene, infatti, necessario attendere che l’amministrazione rinnovi il procedimento emendato dal vizio riscontrato in sede giudiziale e soltanto se all’esito di tale giudizio si accerta che il privato aveva “diritto” a quel determinato bene della vita sarà possibile ottenere, ricorrendo gli altri presupposti, il risarcimento del danno. In questo caso, pertanto, svolgendosi un giudizio di spettanza, la regola probatoria applicata è quella della “certezza” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6260; sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4452; V, 27 marzo 2013, n. 1781; V, 8 febbraio 2011, n. 854).
La seconda fattispecie, rilevante in questa sede, ricorre nel caso in cui la parte abbia proposto un’autonoma azione di responsabilità ovvero nel caso in cui l’attività amministrativa sia vincolata e pertanto la rinnovazione procedimentale si svolge nel solo rispetto di quanto stabilito dal giudice ovvero determinato, in tutti i suoi profili, dalla legge. In queste ipotesi il giudice amministrativo, senza il rischio di sovrapporre il proprio giudizio alle valutazioni dell’autorità pubblica, può effettuare un giudizio prognostico applicando, con gli esposti adattamenti, le regole elaborate in ambito civilistico per ricostruire il nesso di causalità. Occorre, pertanto, accertare se vi è stato danno ingiusto valutando se, in applicazione della teoria condizionalistica e della causalità adeguata, è “più probabile che non” che l’azione o l’omissione della pubblica amministrazione siano state idonee a cagionare l’evento lesivo.
6.– La ricostruzione sin qui svolta deve essere applicata alla fattispecie oggetto del presente giudizio mediante l’analisi della normativa rilevante di disciplina dei rapporti internazionali marittimi e delle modalità di svolgimento degli accadimenti.
6.1.– In relazione al primo aspetto, la legge 24 luglio 1985, n. 433 (Ratifica ed esecuzione dell’accordo in materia di marina mercantile tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, firmato a Rabat il 15 aprile 1982) persegue lo scopo «di organizzare i traffici marittimi tra i porti italiani e i porti marocchini e di definire le condizioni alle quali le navi delle Parti contraenti potranno accedere al traffico marittimo dei due Paesi» (art. 2).
L’art. 3 della predetta legge stabilisce che «le Parti contraenti si impegnano a cooperare per eliminare gli eventuali ostacoli che potrebbero rendere più difficile lo sviluppo dei traffici marittimi tra i porti dei due Paesi e a prendere ogni disposizione necessaria ad assicurare il coordinamento dei traffici e l’organizzazione di un servizio adeguato per proteggere gli interessi in materia di commercio estero di ciascuno dei due Paesi».
L’art. 19 della stessa legge dispone, al primo comma, che, per garantire l’applicazione dell’accordo internazionale ratificato «facilitare le consultazioni sui principali problemi di reciproco interesse e contribuire alla risoluzione delle controversie eventualmente risultanti da tale applicazione, una Commissione mista permanente sarà creata dalle due Part». Tale commissione «si riunirà una volta l’anno, alternativamente in uno dei due Paesi, o più di frequente su richiesta dell’una o dell’altra Parte». Il secondo comma della stessa disposizione prevede che «per qualsiasi controversia che dovesse derivare dall’applicazione del presente Accordo e che non potesse risolversi mediante le vie di cui qui sopra, le Parti contraenti si riservano la possibilità di adire, di comune accordo, un arbitro che abbia il gradimento di ambedue».
La legge 3 marzo 1987, n. 69 (Disposizione per la difesa della Marina mercantile) prevede, all’art. 1, che il Ministero della marina mercantile possa adottare una serie di misure nel settore del trasporto marittimo, anche valutando le misure contemplate in accordi internazionali. L’art. 2 della stessa legge dispone che, con decreto del Ministero, è istituita una commissione composta da rappresentanti di diversi Ministeri, da quattro rappresentanti dell’armamento pubblico e privato designati dalle rispettive organizzazioni, da un rappresentante del Consiglio nazionale dei caricatori, nonché da due esperti in materia tecnico-giuridica.
6.2.– In relazione alle modalità di svolgimento dei fatti, dalla stessa esposizione che di essi fa il ricorrente risultata quanto segue:
– con nota del 2 aprile 2002 la società ha informato dell’iniziativa l’Ambasciata d’Italia in Marocco affinché effettuasse i necessari interventi di supporto;
– con nota del 3 aprile 2002 la società ha posto al Ministero un quesito volto a conoscere la natura delle relazioni internazionali intercorrenti con il Marocco;
– con nota del 15 aprile 2002 il Ministero, in risposta al quesito, ha comunicato di avere chiesto al Ministero degli esteri di acquisire gli elementi conoscitivi per la risoluzione della controversia;
– in data 14 maggio 2002, il Ministero dei trasporti e della marina mercantile marocchino ha dato parere favorevole e nonostante ciò le autorità marocchine, secondo la ricorrente, hanno continuato «a boicottare l’impresa italiana»;
– a tale atteggiamento, sempre secondo la ricorrente, non è seguito eguale trattamento nei confronti della società di Stato marocchina “Comanav”, che gestiva un collegamento marittimo tra l’Italia e il Marocco;
– a seguito di una persistente inerzia delle autorità italiane, la società ha chiesto la convocazione della commissione mista italo-marocchina al fine di ottenere il rispetto degli accordi internazionali e la tutela dell’attività di impresa, verificando la natura discriminatoria dell’attività posta dalle autorità marocchine;
– con lettere del 25 novembre 2002 e del 16 dicembre 2002 la società ha informato della vicenda il Presidente della Repubblica e il Ministro per gli italiani nel mondo;
– con nota del 20 dicembre 2002 il Ministero degli affari esteri ha rilevato che fosse necessario chiedere una nuova autorizzazione e solo successivamente «si sarebbe potuto prendere in esame, da parte italiana, l’azione di eventuali contromisure»;
– con note del 13 dicembre 2002 e del 27 gennaio 2003 il Capo di Gabinetto del Ministero per gli italiani nel mondo, in risposta alle precedenti note, ha ribadito che fosse necessario ottenere un nuova autorizzazione.
7.– Alla luce di quanto esposto è necessario stabilire se sussiste un nesso di causalità tra la condotta tenuta dalle autorità nazionali e il danno lamentato.
Lo svolgimento dell’attività marittima di collegamento tra Italia e Marocco presuppone che vi sia l’assenso, manifestato nelle modalità previste dal relativo ordinamento, da parte delle autorità marocchine.
Risulta dagli atti del processo e dalla stessa descrizione degli accadimenti, sopra svolta, che l’autorità marocchina ha sempre ritenuto di non dare il proprio assenso allo svolgimento di tale attività.
Occorre, pertanto, accertare se le lamentate omissioni da parte delle autorità italiane abbiano avuto, in applicazione delle regole generali sopra esposte, una valenza causale in relazione alla lesione della posizione giuridica di interesse legittimo pretensivo.
In particolare, la condotta che, secondo il giudizio controfattuale, l’amministrazione nazionale avrebbe dovuto tenere si sarebbe dovuto articolare secondo le seguenti modalità.
In primo luogo, lo Stato italiano sarebbe stato obbligato, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, a convocare la commissione tecnica di cui alla legge n. 69 del 1987. Anche a volere ritenere che sussistesse un obbligo giuridico, non vi sono, agli atti, elementi per affermare che la proposta che la commissione avrebbe formulato sarebbe stata nel senso dell’adozione di misure di protezione diplomatica. La norma attributiva del potere contempla, come riconosce la stessa Cassazione, un atto, non politico, ma di alta amministrazione che, in quanto tale, si connota per un ampio contenuto discrezionale rimesso alla valutazione dell’autorità amministrativa e sindacabile nei limiti dell’eccesso di potere.
In secondo luogo, fermo il grado elevato di discrezionalità che connota l’attività della commissione, anche qualora la stessa si fosse determinata nel senso che occorresse adottare misure di protezione diplomatica, sarebbe spettato poi ai titolari del relativo potere politico decidere, in ragione degli esiti degli accertamenti, se porre in essere la relativa attività. L’esistenza anche in questo ambito di un elevato margine di apprezzamento è insita nella natura della predetta attività.
Infine, fermo tale margine di apprezzamento, anche qualora l’autorità italiana avesse adottato misure di protezione diplomatica, non è dato sapere se ciò avrebbe integrato gli estremi di una condotta idonea ad indurre le autorità marocchine ad adottare gli atti necessari per consentire lo svolgimento dell’attività in esame.
L’analisi contestuale di tutti i passaggi sopra riportati e le stesse proposizioni condizionali impiegate per descriverne il contenuto dimostra come il giudizio prognostico non supera la soglia probatoria del “più probabile che non”. In altri termini, non può dirsi che se nella vicenda in esame si “aggiungono” le indicate condotte delle autorità italiane le stesse, in applicazione della regola processuale di tipo probabilistico, sarebbero state adeguate ad evitare il danno ingiusto e dunque la lamentata lesione della posizione soggettiva.
8.– Il ricorso proposto va, pertanto, respinto.
9.– La novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta il ricorso, indicato in epigrafe, proposto dalla “Tuo Viaggio s.r.l.”;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:
Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 29 maggio 2014, n. 2792
N. 02792/2014REG.PROV.COLL.
N. 08825/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8825 del 2007, proposto da:
Il Tuo Viaggio s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Callea e Roberto Giovanni Aloisio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pasquale Gallo in Roma, via Calabria, 17;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero degli Affari Esteri, in persona dei Ministeri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma della sentenza 31 luglio 2007, n. 7278, del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione I, a seguito dell’annullamento, con sentenza 19 ottobre 2011, n. 2158124 della Corte di Cassazione, della sentenza 24 dicembre 2009, n. 8719 del Consiglio di Stato, Sezione sesta, avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno per mancata attuazione delle misure di protezione diplomatica da parte dello Stato italiano nei confronti dello Stato marocchino che non ha consentito alla ricorrente lo svolgimento dell’attività marittima di collegamento tra i due Paesi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Aloisio e l’avvocato dello Stato Meloncelli.
FATTO
1.– Il “Il Tuo Viaggio” s.r.l. (d’ora innanzi anche solo Società) ha proposto, nell’anno 2001, al Consolato del Marocco di Milano un progetto volto a realizzare un collegamento marittimo, con navi traghetto, tra il porto di Savona e quello di Tangeri.
La società, a tale fine, ha iniziato una trattativa con le autorità marocchine e italiane per potere attuare tale progetto. Le autorità italiane non avrebbero, però, si rileva, adottato le misure necessarie affinché le autorità marocchine consentissero tale collegamento. In particolare, all’atteggiamento ostruzionistico del Marocco non è seguito eguale trattamento nei confronti della società di Stato marocchina “Comanav”, che gestiva un collegamento marittimo tra il Marocco e l’Italia.
Il “Tuo Viaggio” s.r.l., per le ragioni sin qui indicate, è stata costretta ad interrompere l’iniziativa economica intrapresa, con conseguenti ingenti danni economici.
1.1.– La Società ha proposto ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, rilevando l’illegittimità dell’attività posta in essere dalle autorità italiane per (si riporta in sintesi): i) violazione della legge 24 luglio 1985, n. 433 (Ratifica ed esecuzione dell’accordo in materia di marina mercantile tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, firmato a Rabat il 15 aprile 1982), per la mancata convocazione della commissione mista italo – marocchina al fine di risolvere la questione in esame; ii) violazione della legge 3 marzo 1987, n. 69 (Disposizione per la difesa della Marina mercantile), la quale prevede che lo Stato italiano, in virtù del principio della reciprocità di trattamento nell’ambito dei traffici marittimi, deve garantire una tutela specifica in favore delle navi di proprietà italiana o noleggiate da società di navigazione italiane, soggette a trattamenti discriminatori; iii) eccesso di potere, in quanto non sarebbero state spiegate le ragioni per le quali risultava difficile provvedere nel senso richiesto dalla Società.
Per questi motivi è stata chiesta la condanna dell’amministrazione statale al risarcimento dei danni quantificato in euro 10.000.000,00 o nella diversa somma da determinare mediante consulenza tecnica o in via equitativa.
1.2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 31 luglio 2007, n. 7278, ha rigettato il ricorso, rilevando la mancanza del nesso di causalità tra la condotta e il danno. In particolare, si rileva come, «anche attraverso un diverso modus operandi» delle parti coinvolte, l’interesse sostanziale cui aspirava il “Tuo Viaggio” non sarebbe stato comunque conseguibile in ragione della mancanza del necessario consenso da parte delle autorità marocchine.
2.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello, impugnando la predetta sentenza.
3.– Il Consiglio di Stato, con sentenza 24 dicembre 2009, n. 8719, ha rigettato l’appello.
In particolare, nella sentenza si premette che «se uno Stato non rispetta le norme sul trattamento degli stranieri (…) compie un illecito internazionale nei confronti dello Stato al quale lo straniero appartiene». Ne consegue che lo Stato dello straniero «maltrattato» deve esercitare la protezione diplomatica ossia «assumere la difesa del proprio cittadino sul piano internazionale, adottando le contromisure necessarie al fine di fare cessare la violazione». Svolta questa premessa, si è affermato che: i) «il Governo non è obbligato, nei confronti del cittadino che la invoca, ad esercitare la protezione diplomatica contro lo Stato straniero»; ii) «gli atti compiuti da uno Stato nel regolamento delle relazioni internazionali sono (…) atti politici e, come tali, sottratti al sindacato giurisdizionale, sia ordinario che amministrativo».
Il Consiglio di Stato, dopo avere puntualizzato che quanto esposto è sufficiente a ritenere priva di fondamento la pretesa azionata, ha aggiunto che: i) la protezione diplomatica è subordinata al previo esaurimento dei ricorsi interni, che, nella specie, non risultavano essere stati proposti; ii) non è stato neanche «provato che vi sia un rapporto di causalità tra il danno lamentato (interruzione del collegamento marittimo tra Italia e Marocco) e l’illegittimità imputata allo Stato italiano (avere omesso di intervenire in via diplomatica nei confronti dello Stato marocchino)».
4.– L’appellante ha proposto ricorso per Cassazione, per avere il Consiglio di Stato negato la tutela giurisdizionale.
5.– La Corte di cassazione, con sentenza 19 ottobre 2011, n. 21581, ha accolto il ricorso. In particolare, con tale decisione si è affermato che i poteri che il Consiglio di Stato ha ritenuto essere espressione di attività politica, «sono esercitati, su proposta (non di un organo politico, bensì) di una commissione tecnica al fine di difendere la marina mercantile nazionale e di disciplinare i traffici commerciali marittimi per la tutela dell’interesse nazionale, poteri il cui contenuto esula del tutto dal novero degli atti politici stricto sensu, trattandosi viceversa di atti di alta amministrazione rientranti nell’esercizio di una più specifica politica marittimo-mercantile nazionale». Si è, inoltre, puntualizzato che «gli ulteriori argomenti spesi in sentenza (in ordine alla causalità e al danno) non possono costituire, nel caso di specie, idonea e autosufficiente ratio decidendi, degradando piuttosto, ipso facto, a rango di meri obiter dicta, attesa la pregiudiziale declinatoria assoluta di potestas iudicandi».
La Cassazione, per le indicate ragioni, ha annullato la sentenza impugnata e ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, cui la causa è stata rinviata per la sua trattazione nel merito.
6.– La Società ha proposto ricorso per riassunzione, prospettando, sostanzialmente, anche alla luce di quanto affermato dalla Cassazione, le medesime censure contenute nei precedenti atti difensivi.
7.– La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio dell’11 marzo 2014.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame della Sezione, descritta nella parte in fatto, richiede che vada valutata la fondatezza della domanda di risarcimento dei danni che la ricorrente assume di avere subito in conseguenza della interruzione del collegamento marittimo, con navi traghetto, tra l’Italia e il Marocco.
La Corte di cassazione, con sentenza 19 ottobre 2011, n. 21581, ha annullato, con rinvio, la sentenza 24 dicembre 2009, n. 8719 del Consiglio di Stato, Sezione sesta, la quale aveva rigettato il ricorso in ragione della riconducibilità dell’attività posta in essere dalle autorità italiane nell’ambito delle funzioni politiche.
2.– La risoluzione della controversia impone, in via preliminare, mediante una comparazione con il sistema civilistico di responsabilità, di individuare la natura della responsabilità della pubblica amministrazione, i suoi elementi costitutivi e, in particolare, il rapporto di causalità.
3.– La responsabilità extracontrattuale, che rinviene il fondamento della sua disciplina nell’art. 2043 cod. civ., presuppone che l’agente non abbia normalmente alcun rapporto o contatto con la parte danneggiata. La norma citata, infatti, impone, con clausola generale dotata di autonomia precettiva, il rispetto del dovere generale del neminem laedere a tutela di qualunque posizione soggettiva meritevole di protezione giuridica.
La responsabilità contrattuale è conseguenza della violazione di un dovere di prestazione o di protezione inserito nell’ambito di un rapporto giuridico che sorge non solo da un contratto ma, esprimendo l’espressione impiegata una sineddoche, anche dalla legge o da contatto tra le parti che può generare un rapporto contrattuale di fatto. Le posizioni soggettive sono riconducibili alla categoria del diritto soggettivo relativo.
La responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo ha natura speciale non riconducibile agli indicati modelli normativi di responsabilità (Cons. Stato, VI, 27 giugno 2013, n. 3521; id. 14 marzo 2005, n. 1047), per le seguenti ragioni.
In primo luogo, rispetto alla responsabilità civile, quella in esame presuppone che il comportamento illecito si inserisca nell’ambito di un procedimento amministrativo. L’amministrazione, in ossequio al principio di legalità, deve rispettare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione. L’esistenza di un contatto tra le parti, pubbliche e private, impedisce di ritenere che si sia in presenza della responsabilità di un soggetto non avente alcun rapporto con la parte danneggiata.
In secondo luogo, rispetto alla responsabilità contrattuale, sono diverse le posizioni soggettive che si confrontano: da un lato, dovere di prestazione o di protezione e diritto di credito, dall’altro, potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo.
Infine, rispetto ad entrambe le responsabilità civilistiche, la stretta connessione esistente tra sindacato di validità sul potere discrezionale e sindacato di responsabilità sul comportamento impone al giudice amministrativo, nel caso in cui sia proposta anche l’azione di annullamento o di nullità, di non sovrapporre, nell’accertare la sussistenza del fatto illecito, proprie valutazioni a quelle riservate alla pubblica amministrazione.
In definitiva, la peculiarità dell’attività amministrativa – che deve svolgersi nel rispetto di determinate regole procedimentali, sostanziali e processuali – rende speciale, per le ragioni indicate, anche il sistema della responsabilità da attività illegittima.
4.– Gli elementi costitutivi della responsabilità della p.a., sul piano della fattispecie, sono: i) l’elemento oggettivo; ii) l’elemento soggettivo; iii) il nesso di causalità materiale o strutturale; iv) il danno ingiusto, inteso come lesione della posizione di interesse legittimo e, nella materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo.
Sul piano delle conseguenze e, dunque, delle modalità di determinazione del danno, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata (Cass., 17 settembre 2013, n. 21255, ritiene, invece, che anche tale fase, avendo rilevanza causale, debba essere inserita nell’ambito della fattispecie).
5.– In questa sede interessa soffermarsi sul rapporto di causalità.
5.1.– Nel modello di responsabilità civile il rapporto di causalità materiale, non sussistendo alcun legame tra danneggiante e danneggiato, è finalizzato ad individuare l’autore del fatto illecito e, in particolare, colui che ha cagionato la lesione della posizione giuridica protetta e dunque il danno ingiusto.
La giurisprudenza e la dottrina civilistica, mutuando l’elaborazione penalistica e le regole contenute negli articoli 40 e 41 cod. pen., hanno fatto applicazione della cosiddetta teoria condizionalistica. Tale teoria presuppone l’effettuazione di un giudizio controfattuale finalizzato a stabilire se, eliminando o, negli illeciti omissivi, aggiungendo, quella determinata condotta l’evento si sarebbe ugualmente verificato.
La suddetta ricostruzione deve essere integrata con la teoria della sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura nelle ipotesi in cui, alla luce delle conoscenze specialistiche di quel determinato momento storico, non è dato sapere se quella condotta possa avere efficacia causale nella determinazione del danno.
Il rapporto di causalità, così ricostruito, deve essere, poi, delimitato, in applicazione della teoria della causalità adeguata, in modo da assegnare valenza eziologica soltanto a quelle condotte che sono idonee, secondo un giudizio prognostico ex ante, a cagionare quel determinato evento. In altri termini, occorre verificare se vi sia una relazione di regolarità causale tra condotta ed evento.
Il giudice civile dovrà, infine, nel corso del giudizio, accertare, applicando le teorie sopra esposte, l’esistenza di un rapporto di causalità secondo la regola probatoria del “più probabile che non” (cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581).
La modalità di svolgimento dell’accertamento istruttorio costituisce la principale differenza rispetto alla responsabilità penale, nell’ambito della quale la diversità di beni giuridici tutelati impone che l’autore del reato venga individuato “al di là di ogni ragionevole dubbio” (Cass. pen., sez. un., 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese).
Così ricostruito il rapporto di causalità materiale occorre poi valutare, sul piano della causalità giuridica, quali siano le conseguenze patrimoniali derivanti dal fatto lesivo posto in essere.
5.2.– Nel modello della responsabilità contrattuale non è necessario ricorrere alle teorie elaborate per ricostruire il nesso di causalità materiale, in quanto, sussistendo un rapporto giuridico tra creditore e debitore, si conosce già l’autore dell’illecito. In questo ambito rileva soltanto il nesso di causalità giuridica finalizzato a determinare i pregiudizi effettivamente subiti dal danneggiato (art. 1223 cod. civ.).
5.3.– Nel modello della responsabilità della pubblica amministrazione la sua specialità incide sulla ricostruzione del rapporto di causalità assegnandogli una valenza non del tutto riconducibile alla teorie elaborate in ambito civilistico.
La normale esistenza di un rapporto, che si instaura nell’ambito di un procedimento amministrativo, tra pubblica amministrazione e privato induce a ritenere che anche in questo caso, come in presenza di illeciti contrattuali, non sia necessario individuare l’autore del fatto lesivo.
La rilevanza delle teorie della causalità materiale si apprezza sotto altro aspetto: la ricostruzione del nesso eziologico è necessaria al fine di valutare se la condotta della pubblica amministrazione sia stata idonea a ledere la posizione soggettiva di interesse legittimo. L’accertamento della lesione dell’interesse legittimo – in ragione della stretta connessione con il potere pubblico – richiede, infatti, l’effettuazione di un giudizio prognostico mediante il ricorso alla teoria condizionalistica, integrata, ove occorra, dal modello della sussunzione sotto leggi scientifiche e corretta dalla teoria della causalità adeguata.
Chiarito ciò, occorre distingue due diverse fattispecie.
La prima fattispecie ricorre nel caso in cui la parte abbia proposto sia l’azione di invalidità sia l’azione di responsabilità e l’esito del giudizio amministrativo di annullamento di un determinato provvedimento consente il riesercizio di poteri amministrativi discrezionali. In queste ipotesi la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente ritenuto che il giudice amministrativo non possa effettuare, per evitare di invadere sfere di valutazione che la Costituzione riserva alla pubblica amministrazione, il predetto giudizio prognostico. Si ritiene, infatti, necessario attendere che l’amministrazione rinnovi il procedimento emendato dal vizio riscontrato in sede giudiziale e soltanto se all’esito di tale giudizio si accerta che il privato aveva “diritto” a quel determinato bene della vita sarà possibile ottenere, ricorrendo gli altri presupposti, il risarcimento del danno. In questo caso, pertanto, svolgendosi un giudizio di spettanza, la regola probatoria applicata è quella della “certezza” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6260; sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4452; V, 27 marzo 2013, n. 1781; V, 8 febbraio 2011, n. 854).
La seconda fattispecie, rilevante in questa sede, ricorre nel caso in cui la parte abbia proposto un’autonoma azione di responsabilità ovvero nel caso in cui l’attività amministrativa sia vincolata e pertanto la rinnovazione procedimentale si svolge nel solo rispetto di quanto stabilito dal giudice ovvero determinato, in tutti i suoi profili, dalla legge. In queste ipotesi il giudice amministrativo, senza il rischio di sovrapporre il proprio giudizio alle valutazioni dell’autorità pubblica, può effettuare un giudizio prognostico applicando, con gli esposti adattamenti, le regole elaborate in ambito civilistico per ricostruire il nesso di causalità. Occorre, pertanto, accertare se vi è stato danno ingiusto valutando se, in applicazione della teoria condizionalistica e della causalità adeguata, è “più probabile che non” che l’azione o l’omissione della pubblica amministrazione siano state idonee a cagionare l’evento lesivo.
6.– La ricostruzione sin qui svolta deve essere applicata alla fattispecie oggetto del presente giudizio mediante l’analisi della normativa rilevante di disciplina dei rapporti internazionali marittimi e delle modalità di svolgimento degli accadimenti.
6.1.– In relazione al primo aspetto, la legge 24 luglio 1985, n. 433 (Ratifica ed esecuzione dell’accordo in materia di marina mercantile tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, firmato a Rabat il 15 aprile 1982) persegue lo scopo «di organizzare i traffici marittimi tra i porti italiani e i porti marocchini e di definire le condizioni alle quali le navi delle Parti contraenti potranno accedere al traffico marittimo dei due Paesi» (art. 2).
L’art. 3 della predetta legge stabilisce che «le Parti contraenti si impegnano a cooperare per eliminare gli eventuali ostacoli che potrebbero rendere più difficile lo sviluppo dei traffici marittimi tra i porti dei due Paesi e a prendere ogni disposizione necessaria ad assicurare il coordinamento dei traffici e l’organizzazione di un servizio adeguato per proteggere gli interessi in materia di commercio estero di ciascuno dei due Paesi».
L’art. 19 della stessa legge dispone, al primo comma, che, per garantire l’applicazione dell’accordo internazionale ratificato «facilitare le consultazioni sui principali problemi di reciproco interesse e contribuire alla risoluzione delle controversie eventualmente risultanti da tale applicazione, una Commissione mista permanente sarà creata dalle due Part». Tale commissione «si riunirà una volta l’anno, alternativamente in uno dei due Paesi, o più di frequente su richiesta dell’una o dell’altra Parte». Il secondo comma della stessa disposizione prevede che «per qualsiasi controversia che dovesse derivare dall’applicazione del presente Accordo e che non potesse risolversi mediante le vie di cui qui sopra, le Parti contraenti si riservano la possibilità di adire, di comune accordo, un arbitro che abbia il gradimento di ambedue».
La legge 3 marzo 1987, n. 69 (Disposizione per la difesa della Marina mercantile) prevede, all’art. 1, che il Ministero della marina mercantile possa adottare una serie di misure nel settore del trasporto marittimo, anche valutando le misure contemplate in accordi internazionali. L’art. 2 della stessa legge dispone che, con decreto del Ministero, è istituita una commissione composta da rappresentanti di diversi Ministeri, da quattro rappresentanti dell’armamento pubblico e privato designati dalle rispettive organizzazioni, da un rappresentante del Consiglio nazionale dei caricatori, nonché da due esperti in materia tecnico-giuridica.
6.2.– In relazione alle modalità di svolgimento dei fatti, dalla stessa esposizione che di essi fa il ricorrente risultata quanto segue:
– con nota del 2 aprile 2002 la società ha informato dell’iniziativa l’Ambasciata d’Italia in Marocco affinché effettuasse i necessari interventi di supporto;
– con nota del 3 aprile 2002 la società ha posto al Ministero un quesito volto a conoscere la natura delle relazioni internazionali intercorrenti con il Marocco;
– con nota del 15 aprile 2002 il Ministero, in risposta al quesito, ha comunicato di avere chiesto al Ministero degli esteri di acquisire gli elementi conoscitivi per la risoluzione della controversia;
– in data 14 maggio 2002, il Ministero dei trasporti e della marina mercantile marocchino ha dato parere favorevole e nonostante ciò le autorità marocchine, secondo la ricorrente, hanno continuato «a boicottare l’impresa italiana»;
– a tale atteggiamento, sempre secondo la ricorrente, non è seguito eguale trattamento nei confronti della società di Stato marocchina “Comanav”, che gestiva un collegamento marittimo tra l’Italia e il Marocco;
– a seguito di una persistente inerzia delle autorità italiane, la società ha chiesto la convocazione della commissione mista italo-marocchina al fine di ottenere il rispetto degli accordi internazionali e la tutela dell’attività di impresa, verificando la natura discriminatoria dell’attività posta dalle autorità marocchine;
– con lettere del 25 novembre 2002 e del 16 dicembre 2002 la società ha informato della vicenda il Presidente della Repubblica e il Ministro per gli italiani nel mondo;
– con nota del 20 dicembre 2002 il Ministero degli affari esteri ha rilevato che fosse necessario chiedere una nuova autorizzazione e solo successivamente «si sarebbe potuto prendere in esame, da parte italiana, l’azione di eventuali contromisure»;
– con note del 13 dicembre 2002 e del 27 gennaio 2003 il Capo di Gabinetto del Ministero per gli italiani nel mondo, in risposta alle precedenti note, ha ribadito che fosse necessario ottenere un nuova autorizzazione.
7.– Alla luce di quanto esposto è necessario stabilire se sussiste un nesso di causalità tra la condotta tenuta dalle autorità nazionali e il danno lamentato.
Lo svolgimento dell’attività marittima di collegamento tra Italia e Marocco presuppone che vi sia l’assenso, manifestato nelle modalità previste dal relativo ordinamento, da parte delle autorità marocchine.
Risulta dagli atti del processo e dalla stessa descrizione degli accadimenti, sopra svolta, che l’autorità marocchina ha sempre ritenuto di non dare il proprio assenso allo svolgimento di tale attività.
Occorre, pertanto, accertare se le lamentate omissioni da parte delle autorità italiane abbiano avuto, in applicazione delle regole generali sopra esposte, una valenza causale in relazione alla lesione della posizione giuridica di interesse legittimo pretensivo.
In particolare, la condotta che, secondo il giudizio controfattuale, l’amministrazione nazionale avrebbe dovuto tenere si sarebbe dovuto articolare secondo le seguenti modalità.
In primo luogo, lo Stato italiano sarebbe stato obbligato, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, a convocare la commissione tecnica di cui alla legge n. 69 del 1987. Anche a volere ritenere che sussistesse un obbligo giuridico, non vi sono, agli atti, elementi per affermare che la proposta che la commissione avrebbe formulato sarebbe stata nel senso dell’adozione di misure di protezione diplomatica. La norma attributiva del potere contempla, come riconosce la stessa Cassazione, un atto, non politico, ma di alta amministrazione che, in quanto tale, si connota per un ampio contenuto discrezionale rimesso alla valutazione dell’autorità amministrativa e sindacabile nei limiti dell’eccesso di potere.
In secondo luogo, fermo il grado elevato di discrezionalità che connota l’attività della commissione, anche qualora la stessa si fosse determinata nel senso che occorresse adottare misure di protezione diplomatica, sarebbe spettato poi ai titolari del relativo potere politico decidere, in ragione degli esiti degli accertamenti, se porre in essere la relativa attività. L’esistenza anche in questo ambito di un elevato margine di apprezzamento è insita nella natura della predetta attività.
Infine, fermo tale margine di apprezzamento, anche qualora l’autorità italiana avesse adottato misure di protezione diplomatica, non è dato sapere se ciò avrebbe integrato gli estremi di una condotta idonea ad indurre le autorità marocchine ad adottare gli atti necessari per consentire lo svolgimento dell’attività in esame.
L’analisi contestuale di tutti i passaggi sopra riportati e le stesse proposizioni condizionali impiegate per descriverne il contenuto dimostra come il giudizio prognostico non supera la soglia probatoria del “più probabile che non”. In altri termini, non può dirsi che se nella vicenda in esame si “aggiungono” le indicate condotte delle autorità italiane le stesse, in applicazione della regola processuale di tipo probabilistico, sarebbero state adeguate ad evitare il danno ingiusto e dunque la lamentata lesione della posizione soggettiva.
8.– Il ricorso proposto va, pertanto, respinto.
9.– La novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta il ricorso, indicato in epigrafe, proposto dalla “Tuo Viaggio s.r.l.”;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)