consiglio di stato bis

Consiglio di Stato

sezione VI 
sentenza 29 gennaio 2016, n. 359

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3978 del 2015, proposto dal signor Gi. De. in proprio e in qualità di legale rappresentante della società Mo. s.n. c. di G. De. e Fi.

contro

Regione Sardegna, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale;

Comune di (omissis)

per la riforma della sentenza del T.A.R. della Sardegna, Sezione II, n. 23/2015

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Sardegna e del Comune di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Porcu e l’avvocato Casula, anche per delega dell’avvocato Camba;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Il signor Gi. De. riferisce di essere proprietario di un hotel/ristorante nella borgata marina di (omissis) nel Comune di (omissis), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico generale e in prossimità della battigia marina.

Egli aveva ottenuto dal Servizio regionale per la Tutela del paesaggio l’autorizzazione paesaggistica 18 luglio 2003, n. 94/03/UTPOR (e poi la conseguente autorizzazione edilizia comunale 1 marzo 2004, n. 14) per la manutenzione ordinaria e straordinaria di una veranda di pertinenza dell’hotel, sita in posizione prospiciente il mare. Nell’ambito di tale titolo autorizzativo era prevista la copertura superiore della veranda mediante teloni e la copertura laterale mediante una struttura composta da una base metallica e da pannelli di vetro.

L’intervento è stato, invece, realizzato, in difformità dal titolo, sostituendo la prevista struttura metallica laterale con legno lamellare e la prevista copertura superiore a teloni con pannelli in legno impermeabilizzato da uno strato bituminoso (la circostanza è pacifica in atti).

In data 13 luglio 2004 il signor De. ha presentato istanza di condono dell’abuso così realizzato (ai sensi del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 e della legge regionale 26 febbraio 2004, n. 4), sulla quale il Servizio regionale di tutela del paesaggio – con determinazione 5 maggio 2010, n. 584, adottata a seguito di contraddittorio procedimentale – ha espresso parere negativo.

La motivazione del parere negativo si rinviene essenzialmente negli atti endoprocedimentali, in particolare, nella nota 14 luglio 2009, n. 21732, dell’Ufficio regionale per la Tutela del paesaggio, ove si legge che l’opera abusiva impatterebbe negativamente sui valori tutelati sia a causa della discontinuità “dei materiali usati (nella prima veranda la copertura è stata realizzata con tegole in coppi sardi e quindi in coerenza con le coperture dei fabbricati circostanti, mentre quella oggetto del condono è stata realizzata utilizzando nella copertura conglomerato bituminoso sia perché introduce elementi estranei che contrastano con l’esigenza di tutela e conservazione. L’esecuzione delle opere, che si protendono notevolmente verso la battigia, rispetto alla linea delle costruzioni esistenti, interrompe inoltre la continuità visiva e l’integrità fisica dell’area (Parco Marino Sinis – Isola di Mal di Ventre), che se, pur fortemente antropizzata, conserva ancora quei tratti distintivi che l’hanno resa meritevole di speciale tutela (…)”).

Pertanto, con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Sardegna e recante il n. 3978/2015 l’odierno appellante impugnava

– (con il ricorso principale): a) la determinazione del 5 maggio 2010 n. 584, mai notificata o comunicata, con la quale il Direttore del Servizio regionale tutela paesaggistica per le Province di Oristano e del Medio Campidano ha espresso parere negativo al rilascio, da parte del Comune di (omissis), del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui all’istanza di condono presentata dal ricorrente il 13 luglio 2004, nonché ordinato la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino entro novanta giorni; b) – di tutti gli atti antecedenti e successivi, comunque connessi, ivi ricomprese le note del 14 luglio 2009 e 30 dicembre 2009;

– (con il ricorso per motivi aggiunti) la determinazione del 2 settembre 2010 n. 394 del Responsabile dell’Ufficio Tecnico – Area Tecnica del Comune di (omissis), con cui è stato negato al ricorrente il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria di cui all’istanza di condono presentata in data 9 dicembre 2004 e della nota del 2 settembre 2010 del medesimo Responsabile.

Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. della Sardegna ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal signor De. il quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi.

Con il primo motivo l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui il T.A.R. ha ritenuto applicabile nel caso in esame le previsioni in tema di cc.dd. ‘illegittimità non invalidantì di cui all’articolo 21-octies della l. agosto 1990, n 241.

In tal modo decidendo i primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di considerare che non sussisterebbero nel caso in esame i presupposti per fare applicazione della disposizione da ultimo richiamata, difettando – in particolare – una mera “violazione delle norme sul procedimento e sulla forma degli atti”, nonché l’esercizio da parte delle amministrazioni appellate di un’attività di tipo vincolato.

Ancora con il primo motivo di ricorso i primi Giudici avrebbero inammissibilmente ritenuto la non applicabilità delle previsioni di cui all’articolo 32, comma 27 del decreto-legge n. 269 del 2003 operando una indebita riqualificazione in sede giudiziale della natura stessa delle opere eseguite.

Con il secondo motivo l’appellante lamenta che i primi Giudici avrebbero – in modo erroneo ed apodittico – affermato che gli interventi abusivi ricadenti su aree vincolate non sarebbero mai condonabili.

In tal modo decidendo i primi Giudici avrebbero erroneamente applicato i commi 26 e 27 dell’articolo 32 del decreto-legge 269 del 2003 il quale, al contrario, non contempla un siffatto e insuperabile divieto.

Inoltre, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che gli interventi per cui è causa non rientrano nelle aree “di rilevante interesse paesistico-ambientale” ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a) della legge regionale 26 febbraio 2004, n. 4(‘Normativa regionale in materia di abusivismo edilizio – Recepimento in Sardegna del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni della legge 24 novembre 2003, n. 326’).

Al contrario, l’immobile per cui è causa sarebbe assoggettato a un “ordinario” vincolo paesistico, imposto con decreto ministeriale 27 agosto 1980.

Ma anche a voler ritenere (denegata ipotesi) che l’intervento in questione ricadesse nell’ambito delle aree “di rilevante interesse paesistico-ambientale” di cui alla legge regionale n. 4 del 2004, il punto è che gli abusi contestati avrebbero potuto comunque essere condonati, consistendo essi in meri interventi di manutenzione straordinaria ovvero di restauro e risanamento conservativo.

Con ulteriore motivo rubricato n. 1) l’appellante lamenta, poi, la mancata considerazione del fatto che la veranda per cui è causa era stata già autorizzata, con il medesimo ingombro, dal competente Servizio regionale per la Tutela del Paesaggio (si tratta dell’autorizzazione del 18 luglio 2003).

Con ulteriore motivo rubricato n. 2) l’appellante lamenta, inoltre, il mancato apprezzamento di numerosi profili di errore di fatto, travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione che inficerebbero i provvedimenti delle amministrazioni appellate.

Con altro motivo rubricato n. 3) l’appellante lamenta, di poi, che l’amministrazione avrebbe omesso di fornire un’adeguata motivazione in ordine al pregiudizio effettivo che gli interventi in contestazione sarebbero idonei ad arrecare ai valori paesaggistici dell’area.

Con motivo rubricato n. 4 l’appellante lamenta inoltre che i primi Giudici avrebbero omesso di considerare la violazione, da parte delle amministrazioni appellate, delle previsioni di cui all’articolo 1 della legge regionale 26 febbraio 2004, n. 4 (il quale impone la previa convocazione di una conferenza di servizi, nel caso di specie non indetta).

Infine, con un motivo rubricato n. 5, l’appellante lamenta il mancato apprezzamento, da parte dei primi Giudici, del fatto che l’intervento per cui è causa non rientri fra quelli per cui la sanatoria è esclusa ai sensi dell’articolo 2 della legge regionale n. 4 del 2004, nonché ai sensi dell’articolo 32 del decreto-legge n. 269 del 2003.

Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Si è altresì costituita in giudizio la Regione Sardegna la quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Con ordinanza n. 2676/2015 questo Consiglio di Stato ha dato atto della rinunzia dell’appellante alla coltivazione dell’istanza volta alla sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe.

Alla pubblica udienza del 17 novembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal titolare di un’attività alberghiera nel Comune di (omissis) avverso la sentenza del T.A.R. della Sardegna con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti con cui la Regione Sardegna ha reso un parere negativo sull’istanza di condono relativa a una veranda con struttura in legno prospiciente il mare e con cui il Comune ha infine respinto l’istanza di condono.

2. L’appello è infondato.

3. Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame dei motivi di ricorso con cui si è lamentata l’erronea applicazione dell’articolo21-octies della l. 7 agosto 1990, n. 241 (in tema di cc.dd. “illegittimità non invalidanti”) e dell’articolo 32, comma 27, lettera d) del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (in tema di limiti alla sanabilità degli abusi ai sensi del medesimo decreto-legge n. 269).

Ciò in quanto, limitando l’esame ai soli motivi di ricorso attinenti al merito valutativo delle determinazioni trasfuse nel provvedimento regionale in data 5 maggio 2010 (e del conseguente provvedimento comunale di rigetto in data 2 settembre 2010), emerge comunque la complessiva infondatezza dell’appello.

3.1. Fermo restando, quindi, che esula dal proprium della presente decisione l’esame dei motivi relativi alla presunta violazione delle disposizioni dinanzi richiamate sub 3 (e ai limitati fini che qui rilevano), il Collegio ritiene comunque di rilevare:

– che l’amministrazione appellata ha effettivamente dimostrato in giudizio che il provvedimento sfavorevole all’appellante non avrebbe comunque potuto assumere un contenuto diverso da quello in concreto adottato;

– che, una volta accertata (e per le ragioni che fra breve si esporranno) l’effettiva incompatibilità fra le opere in concreto realizzate dall’appellante e il complesso dei valori paesaggistici caratterizzanti l’area (per come tutelate ai sensi del decreto impositivo del vincolo in data 27 agosto 1980) non sussistevano in effetti le condizioni per rilasciare l’invocata sanatoria ai sensi dell’articolo 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, vertendosi, appunto, in una delle ipotesi (espressamente contemplate dalla norma) in cui l’intervento proposto per la sanatoria risulti in contrasto con il vincolo insistente sull’area e la sua realizzazione sia successiva rispetto all’imposizione del vincolo medesimo.

4. E’ parimenti infondato (e comunque non rilevante ai fini del decidere) il motivo di ricorso con cui si è lamentato che i primi Giudici abbiano erroneamente affermato l’assoluta non sanabilità di un intervento abusivo per il solo fatto di essere stato realizzato su un’area sottoposta a vincolo.

Si osserva al riguardo che, al di là della condivisibilità o meno degli argomenti giuridici sul punto sviluppati dall’appellante, l’esame del provvedimento regionale impugnato in primo grado non muove affatto dal presupposto secondo cui l’intervento abusivo realizzato su area sottoposta a vincolo paesaggistico sarebbe ex se non sanabile, bensì dal diverso presupposto secondo cui, valutate le caratteristiche complessive dell’intervento abusivo, esso risulta comunque non compatibile con il complesso dei valori oggetto di tutela.

4.1. Esaminando il provvedimento regionale impugnato in primo grado (provvedimento rispetto al quale il diniego comunale in data 2 settembre 2010 si configura come atto meramente consequenziale), emerge che l’Ufficio competente abbia fondato il proprio parere negativo su tre ordini di ragioni (desumibili dal raffronto fra il provvedimento medesimo e la comunicazione dei motivi ostativi in data 14 luglio 2009, espressamente richiamata per relationem):

i) in primo luogo, sulla circostanza per cui “le opere abusivamente realizzate [hanno] arrecato pregiudizio ai valori paesaggistici tutelati dal vincolo in quanto fortemente impattanti, sia perché non vi è una continuità nei materiali usati (nella prima veranda la copertura è stata realizzata con tegole in coppi sardi e quindi in coerenza con le coperture dei fabbricati circostanti mentre quella oggetto del condono è stata realizzata utilizzando nella copertura conglomerato bituminoso), sia perché introduce elementi estranei che contrastano con l’esigenza di tutela e conservazione”;

ii) in secondo luogo, sulla circostanza per cui “l’esecuzione delle opere che si protendono notevolmente verso la battigia, rispetto alla linea delle costruzioni esistenti interrompe inoltre la continuità visiva e l’integrità fisica dell’area (Parco marino Sinis – Isola di Maldiventre) che, pur se fortemente antropizzata, conserva ancora quei tratti distintivi che l’hanno resa meritevole di speciale tutela”;

iii) in terzo luogo, sulla circostanza per cui “i muri di recinzione, notevolmente sopraelevati per consentire la chiusura della veranda, contribuiscono ad accentuare l’impatto negativo anche per la presenza di cartelloni pubblicitari più o meno improvvisati”.

4.2. Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare il consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui, a fronte di un atto amministrativo negativo il quale fondi la decisione su una pluralità di ragioni ostative, ciascuna delle quali risulterebbe di per sé idonea a supportarla, l’impugnativa svolta in sede giurisdizionale avverso tale decisione non può trovare accoglimento se anche uno solo dei motivi di doglianza resista alle censure mosse (in tal senso -ex multis -: Cons. Stato, VI, 11 giugno 2012, n. 3401; id., VI, 7 giugno 2011, n. 3416; id, VI, 26 luglio 2010, n. 4864)

4.3. Ebbene, riconducendo il principio appena richiamato alle peculiarità della presente vicenda il Collegio osserva che gli elementi dinanzi richiamati sub i) e ii) risultano di per sé idonei (in quanto scevri da profili di abnormità e ragionevolmente riferiti alla concreta realtà dei luoghi) a giustificare l’impugnato parere negativo.

Si osserva al riguardo:

– che, dall’esame della documentazione in atti (e delle fotografie dell’area scattate prima e dopo il contestato intervento) emerge che, a seguito degli ulteriori interventi realizzati nel corso del 2004, la preesistente veranda (peraltro, ab origine abusiva) già realizzata su una struttura con travi di metallo e caratterizzata da una leggera copertura con teloni, è stata sostituita con un nuovo manufatto caratterizzato da analogo ingombro complessivo, ma caratterizzato da un ben più incisivo impatto sull’area (un impatto la cui portata ai fini della compatibilità con il vincolo colà esistente è stata ragionevolmente apprezzata dall’Organo regionale);

– che, in particolare, la nuova struttura su travi di legno con copertura fissa in legno impermeabilizzata con bitume, è caratterizzata da un impatto (plastico, visivo e percettivo) notevolmente maggiore rispetto a quello determinato dalla leggera struttura preesistente, sì da giustificare appieno l’affermazione della Regione secondo cui l’opus in tal modo realizzato, protendendosi notevolmente verso la battigia, sarebbe idoneo ad alterare l’andamento sostanzialmente lineare delle altre costruzioni esistenti, interrompendo altresì “la continuità visiva e l’integrità fisica dell’area (Parco marino Sinis – Isola di Maldiventre)”.

5. Per le ragioni appena esposte, neppure può trovare accoglimento il motivo con cui l’appellante ha osservato che la veranda per cui è causa sarebbe stata già assentita, con il medesimo ingombro, dal competente Servizio regionale con l’autorizzazione in data 18 luglio 2003.

Al riguardo è qui appena il caso di osservare che quell’autorizzazione (relativa, lo si ripete, a un intervento comunque ab origine abusivo) era stata resa in relazione alla pregressa configurazione della veranda (i.e.: alla più leggera struttura con travi in metallo e copertura in teloni), sì da non potersi affermare che il contenuto di quell’atto di assenso potesse valere anche in relazione a un opus notevolmente diverso per modalità costruttive e complessivo impatto sull’area oggetto di tutela.

6. Le ragioni appena esposte risultano di per sé idonee a giustificare il parere negativo reso dalla Regione Sardegna in data 5 maggio 2010 e il successivo diniego (legato al primo da un nesso di stretta consequenzialità) adottato dal Comune di (omissis).

7. Si osserva, infine, che infondato il motivo di appello con cui si è chiesto di riformare la sentenza in epigrafe per la parte in cui non è stato accolto il motivo relativo alla mancata, previa indizione della conferenza di servizi contemplata dall’articolo 1 della legge regionale 26 febbraio 2004, n. 4.

Al riguardo il Collegio si limita ad osservare che l’omissione in questione, quand’anche in concreto sussistente, concreterebbe unicamente una violazione “di norme sul procedimento o sulla forma degli atti”.

Conseguentemente, troverebbe comunque applicazione la previsione di cui al comma 2 dell’articolo 21-octies della l. 241 del 1990 secondo cui, in siffatte ipotesi, il provvedimento finale non è comunque annullabile “qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

7.1. Si osserva al riguardo:

– che, in presenza di abusi edilizi realizzati su area vincolata e di cui è stato comunque accertato il complessivo contrasto con i valori di tutela dell’area, il provvedimento finale di rigetto presenta, appunto, carattere vincolato;

– che, sulla base delle considerazioni sin qui svolte, è in effetti palese che il contenuto dispositivo delle determinazioni adottate dalle amministrazioni competenti non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato.

7.2. Anche per questa ragione l’appello in epigrafe deve essere respinto.

8. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in appello n. 3978/2015 deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi euro 4.000 (quattromila), oltre gli accessori di legge, da ripartirsi in parti eguali in favore di ciascuna delle controparti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Depositata in Segreteria il 29 gennaio 2016.

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