Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 4 aprile 2017, n. 1550

In sede di ottemperanza di giudicati di giudici diversi da quello amministrativo non possono essere riconosciuti accessori alle somme liquidate nel provvedimento da eseguire

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 4 aprile 2017, n. 1550

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2791 del 2016, proposto da:

Gi. Ra., rappresentato e difeso in proprio ex art. 86 cod. proc. civ. e dall’avvocato El. Vi., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, viale (…);

contro

Comune di Chieti, In. Gi., in qualità di commissario ad acta, non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Ne. s.r.l. in liquidazione, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – SEZ. STACCATA DI PESCARA, SEZIONE I, n. 53/2016, resa tra le parti, concernente resa su un ricorso per l’ottemperanza all’ordinanza di assegnazione di crediti ex art. 553 cod. proc. civ. del giudice dell’esecuzione civile

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti gli artt. 112, comma 5, e 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per la parte appellante l’avvocato Ra.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara l’avvocato Gi. Ra. chiedeva che il Comune di Chieti, quale terzo debitore, fosse condannato ottemperare all’ordinanza di assegnazione di crediti ex art. 553 cod. proc. civ., del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Chieti l’11 luglio 2014. Con il provvedimento in questione era assegnata a favore del ricorrente la somma di € 440.184,27, oltre a spese processuali (liquidate in € 7.538,82) e di registrazione dell’ordinanza, ed interessi fino all’effettivo pagamento, per prestazioni professionali a favore della Ne. s.r.l., debitrice esecutata e a sua volta creditrice nei confronti dell’amministrazione locale.

2. Con sentenza n. 305 del 14 luglio 2015 l’adito Tribunale amministrativo, accertata l’inottemperanza del Comune all’ordinanza di assegnazione del giudice dell’esecuzione, condannava l’amministrazione al pagamento delle somme liquidate da quest’ultimo nell’ordinanza ex art. 553 cod. proc. civ., nel termine di sessanta giorni, e nominava commissario ad acta per il caso di persistente inottemperanza il Prefetto di Chieti.

3. Quindi, nella perdurante inottemperanza del Comune, con istanza di chiarimenti ai sensi dell’art. 112, comma 5, del codice del processo amministrativo l’avvocato Ra. chiedeva che venissero corretti alcuni errori del giudice dell’esecuzione nella determinazione del capitale liquidato nell’ordinanza, con riguardo alle somme a titolo di contributi previdenziali e IVA dovute per tutte le fasi dei giudizi di cognizione e opposizione a precetto, e che si precisasse che tali accessori devono essere applicati sulla base delle aliquote ad oggi vigenti. Con lo stesso ricorso veniva inoltre chiesto che fosse precisato che il Comune di Chieti avrebbe dovuto corrispondere anche le spese di registrazione dei provvedimenti giurisdizionali per la cui esecuzione il ricorrente aveva poi ottenuto l’ordinanza di assegnazione dei crediti.

4. Il Tribunale amministrativo di Pescara dichiarava “non fondata la richiesta formulata dal ricorrente” con l’istanza di chiarimenti.

5. Secondo il giudice di primo grado con l’ordinanza di assegnazione era stata fatta “una puntuale e precisa indicazione delle somme che il Comune di Chieti avrebbe dovuto corrispondere al ricorrente” e tra queste non erano comprese “quelle di cui si chiede il pagamento con l’istanza ora all’esame”.

6. Per la riforma di questa pronuncia l’avvocato Ra. ha proposto appello, nel quale sono riproposte le istanze già formulate in primo grado.

DIRITTO

1 Nel censurare la sentenza di primo grado l’avvocato Ra. afferma quanto segue: “è chiaro e comprovato per tabulas che il provvedimento ex art. 553 c.p.c. del Tribunale di Chieti non racchiude tutti o parte degli accessori richiesti” (pag. 12 dell’appello). Nondimeno, il medesimo professionista critica l’affermazione del Tribunale amministrativo secondo cui le somme oggetto dell’istanza di chiarimenti “avrebbero dovuto costituire oggetto di una nuova richiesta di assegnazione in pagamento, ma non possono essere liquidate da questo Tribunale nell’ambito di questo giudizio”. In contrario l’avvocato Ra. sono dovute in base all’ordinanza di assegnazione ed inoltre in forza di legge.

2. L’assunto dell’appellante non può essere condiviso.

Il Tribunale amministrativo ha innanzitutto correttamente applicato i principi enucleati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, ricordati all’avvocato Ra. alla camera di consiglio del 16 marzo 2017, secondo cui in sede di ottemperanza di giudicati di giudici diversi da quello amministrativo non possono essere riconosciuti accessori alle somme liquidate nel provvedimento da eseguire (da ultimo: Cons. Stato, IV, 5 dicembre 2016, nn. 5082, 5083, 5085, 5087, 5089, 5090, 5092, 24 ottobre 2016, n. 4433).

3. In secondo luogo, lo stesso giudice di primo grado ha anche rilevato in modo condivisibile – come peraltro riconosciuto peraltro dallo stesso appellante – che le somme pretese dall’avvocato Ra. a mezzo dell’istanza di chiarimenti non sono incluse tra quelle previste nell’ordinanza di assegnazione dei crediti emessa dal giudice dell’esecuzione. Gli accessori da liquidati in questo provvedimento si limitano infatti alle spese legali. A ciò si aggiungono le spese di registrazione dell’ordinanza medesima e gli interessi legali sul capitale liquidato fino al pagamento.

4. Per contro, con la presente istanza di chiarimenti l’avvocato Ra. domanda il pagamento di voci (IVA, contributi previdenziali e spese di registrazione) riferiti alle fasi di cognizione precedenti al procedimento esecutivo definito con l’ordinanza ex art. 553 del codice di procedura civile.

Lo stesso appellante conferma questa ricostruzione, allorché deduce, a giustificazione della presente iniziativa giurisdizionale, che “nel corso della lunga procedura civile prima ed esecutiva poi che ha portato all’emissione del provvedimento ex art. 553 C.P.C. sottoposto ad ottemperanza, per meri disguidi materiali non sempre e non per tutte le pertinenti voci venivano calcolati gli importi delle corrispondenti aliquote fiscali e previdenziali o venivano calcolati in misura incompleta o con aliquote all’epoca vigenti (I.V.A., Cassa Previdenza) ma poi modificate in aumento dall’intervento del legislatore” (pag. 3 dell’appello).

In sostanza, attraverso il ricorso per chiarimenti ex art. 112, comma 5, cod. proc. amm. qui in esame viene chiesta una parziale riforma del provvedimento del giudice dell’esecuzione civile.

5. Sennonché un simile utilizzo di questo strumento processuale non è consentito.

In primo luogo perché – come rilevato in precedenza – attraverso l’ottemperanza ad provvedimenti giurisdizionali diversi da quelli del giudice amministrativo non è possibile attribuire al privato un bene della vita maggiore di quello accertato nella decisione di cui è chiesta l’esecuzione.

6. Ma più in radice una simile pretesa non è azionabile attraverso lo strumento dei chiarimenti e questo rilievo rende inammissibile l’appello.

Come infatti ripetutamente affermato da questo Consiglio di Stato, pur inserito nell’ambito del giudizio di ottemperanza, lo strumento in questione non è preordinato a rimuovere una situazione di inottemperanza o una violazione o elusione del giudicato, ma un mezzo con cui si chiede al giudice che ha pronunciato una precedente sentenza i chiarimenti su punti che presentano elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, e che non si presta invece all’introduzione di censure volte a modificare e/o solo integrare le statuizioni rese con la decisione di merito (cfr. Cons. Stato, IV, 12 maggio 2016, n. 1908, 14 maggio 2015, n. 2441, 3 marzo 2015, n. 1036, 17 dicembre 2012, n. 6468).

In ragione di ciò, l’istituto in questione non può essere qualificato quale semplice strumento di “attuazione” del comando giudiziale (ex art. 112. comma 2), né come mera azione “esecutiva” in senso stretto (ex art. 112, comma 3); inoltre è di regola proponibile dalla stessa parte soccombente nel giudizio di cognizione (laddove normalmente la parte vittoriosa non chiede chiarimenti circa le modalità di ottemperanza, quanto piuttosto direttamente l’ottemperanza, ex art. 112, comma 2, ovvero la condanna dell’amministrazione nelle ulteriori ipotesi ex art. 112, comma 3), al punto che si è affermato che sul piano logico-sistematico esso si pone al di fuori del vero e proprio giudizio di ottemperanza (Cons. Stato, V, 14 marzo 2016, n. 984, 7 settembre 2015, nn. 4141, 4142 e 4143).

7. Quindi, questo tipo di azione, che non costituisce nemmeno un incidente di esecuzione, è caratterizzata dal fatto che è proponibile dalla parte soccombente, la quale non insorge avverso la volontà di non ottemperare né contro la violazione o elusione del giudicato, ma, anzi esprime sostanzialmente la volontà di voler adempiere esattamente al giudicato medesimo, richiedendo a tal fine al giudice che ha pronunciato la precedente sentenza i chiarimenti di punti della decisione che presentano elementi di dubbio o di non immediata chiarezza (Cons. Stato, IV, 26 agosto 2015, n. 3994).

Trattandosi pertanto di un’azione esecutiva di accertamento volta ad eliminare possibili incertezze nella fase di attuazione del rapporto processuale definito con la sentenza passata in giudicato (cfr. Cons. Stato, VI, 26 marzo 2014, n. 1472), i quesiti interpretativi da sottoporre al giudice dell’ottemperanza ex art. 112, comma 5, cod. proc. amm. devono attenere alle modalità dell’ottemperanza, oltre che possedere i requisiti della concretezza e della rilevanza (Cons. Stato, IV, 30 novembre 2015, n. 5409; Sez. VI, 25 ottobre 2012, n. 5469) e non possono quindi estendersi a questioni di cognizione.

8. In ragione di tutto quanto precisato, la richiesta di somme ulteriori rispetto a quelle liquidate nel giudicato esorbita dai limiti dello strumento dei chiarimenti e non rientra certamente nel concetto di modalità di esecuzione richieste dalla parte soccombente che intende conformarsi alla statuizione giurisdizionale definitiva, che invece contraddistingue l’istituto previsto dall’art. 112, comma 5, del codice del processo amministrativo. Da ciò consegue appunto l’inammissibilità del presente appello (oltre che del ricorso originario davanti al Tribunale amministrativo).

9. Non vi è infine luogo a provvedere sulle spese per la mancata costituzione delle parti appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella – Presidente

Paolo Troiano – Consigliere

Claudio Contessa – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio – Consigliere

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