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Già in generale non può seriamente sostenersi che vi sia alcunché di così anomalo nell’esprimere la preferenza elettorale con le surriferite modalità, tale da inferirne la inequivoca volontà dell’elettore di farsi riconoscere. Vieppiù nel caso di specie, sol che si consideri che, notoriamente, “Federico”, “Giuseppe” e “Davide” rappresentano ciascuno nomi di battesimo molto diffusi. Di talché, è del tutto ragionevole che alcuni elettori possano aver ignorato o confuso quale fosse il cognome e il prenome del candidato “Fe. Gi. Da.”.
Semmai, l’indicazione del solo prenome avrebbe potuto porre un problema di attribuibilità della preferenza al candidato consigliere, specie in presenza di più candidati con il medesimo nome di battesimo, questione che qui non si pone.
4.2. Né ha alcun pregio sostenere che non si tratterebbe di casi isolati, ma di ben n. 45 schede, quindi di vizi ripetuti asseritamente connessi ad un’operazione sistematica volta a sovvertire il legittimo dispiegamento delle operazioni di rinnovo degli organi democratici e sulla cui rilevanza penale starebbe indagando la Procura della Repubblica.
Infatti, a fronte di una determinata modalità di espressione del voto, che di per sé, per i motivi di cui sopra, non può essere ritenuta in contrasto con il principio di segretezza, la reiterazione è circostanza neutra o che, semmai, come rilevato nella difesa del Comune di (omissis) (pag. 5), sembra indicativa dell’ordinarietà della modalità di manifestazione del voto e, quindi, confermativa della mancanza di volontà dell’elettore di farsi riconoscere.
In ogni modo, il fatto che vi sarebbero indagini in corso per voto di scambio non può sortire alcun effetto probatorio in ordine alla illegittimità delle schede per asserita riconoscibilità.
4.3. L’infondatezza in diritto dell’indicato tema di indagine, giustifica la decisione del giudice di prime cure di non disporre verificazione alcuna sul punto. L’analisi è stata condotta, e la correlata conclusione raggiunta, dando per pacifico il fatto, nelle dimensioni e nelle modalità indicate dal ricorrente, sicchè l’eventuale conforto probatorio derivante dalla verificazione sul piano fattuale, nulla avrebbe potuto immutare sul piano giuridico e della decisione finale, esclusivamente rimessa al giudicante.
4.4. Le conclusioni sin qui raggiunte, stemperano la carica invalidante delle ulteriori censure, poiché è evidente che per esse, autonomamente considerate, la prova di resistenza non può certo dirsi superata.
4.4.In ogni caso, ragioni analoghe a quelle sopra considerate depongono per il rigetto delle censure relative alla riconoscibilità delle schede con cui: – un elettore avrebbe espresso la propria preferenza in favore della candidata “Ib. Er. Is.” mediante indicazione del solo nome di battesimo; – un elettore avrebbe votato la candidata “Pe. Ka.” scrivendo tutto in maiuscolo, contegno notoriamente tipico fra chi ritiene di non possedere una buona grafia e teme che il proprio scritto risulti illeggibile e che, comunque, non è giuridicamente vietato, atteso che nessuna norma impone una specifica modalità di scrittura della preferenza (Cons. Stato, Sez. V, 28 settembre 2005, n. 5187).
Si tratta, giova ribadirlo, di modalità che, dal punto di vista oggettivo, non possono essere ritenute anomale o sovrabbondanti rispetto alla volontà del cittadino di esercitare il diritto, costituzionalmente garantito, di voto.
5. Il Collegio parimenti ritiene che siano destituite di fondamento le censure relative alle n. 6 schede attribuite al candidato consigliere “Mu. An. An.”, nonostante la presenza di “trattini”, “punti” e “linee varie”. Si tratta di incertezze grafiche che, anche in virtù dei principi richiamati al precedente paragrafo 3 e, in particolare, quello di salvaguardia della volontà espressa dell’elettore, non possono essere ritenute quale inoppugnabile e univoca manifestazione dell’intenzione dell’elettore di farsi riconoscere (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 18 novembre 2011, n. 6070, secondo cui “l’apposizione di…. tre puntini non può costituire segno di riconoscimento dal momento che all’evidenza consiste in una incertezza grafica suscettibile di spiegazione diversa dalla intenzione incontrovertibile di apposizione di un segno di riconoscimento e non invalida di per sé il voto espresso, essendo tipica espressione di incertezza su quanto si intenda scrivere il ticchettio della matita sul foglio bianco”; Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 2010, n. 6788, dove si legge che “il segno di matita con cui l’elettore ha espresso il voto oltrepassando il rettangolo fino al limite della scheda può essere, in effetti, addebitato a distrazione o – aggiunge il Collegio- a particolare forza casualmente impressa alla matita. Il Collegio ritiene che la lunghezza del tratto non dimostri in maniera inoppugnabile, così come richiesto dall’art. 64 d.P.R. n. 570/1960, la volontà dell’elettore di rendere riconoscibile il proprio voto”).
6. Sempre il richiamato principio di salvaguardia, quindi l’esigenza di garantire una tutela all’elettore e di attribuire validità a tutti i voti per i quali si può desumere la volontà del cittadino, comporta l’infondatezza delle censure relative: i) all’uso dello stampino per calcare il nome del candidato; ii) al mancato sbarramento del simbolo all’interno del rettangolo, ma solo fuori da esso; iii) all’avere sbarrato 2 simboli scrivendo il cognome del candidato “Fe. Gi. Da.”. In relazione a quest’ultimo profilo – alla luce delle peculiarità del sistema elettorale vigente per i comuni sotto i 15.000 abitanti, che non consente il voto disgiunto – dinanzi ad un voto equivoco per la lista, deve ritenersi assorbente la volontà espressa a favore del candidato a consigliere.
7. Si può dunque passare all’esame delle doglianze concernenti la correttezza delle operazioni elettorali.
7.1. Gli appellanti incentrano le rispettive censure soprattutto sulla circostanza che i verbali di sezione non recherebbero menzione dell’esercizio del diritto di voto da parte di Sa. Lu., Ro. Gi., Er. Eu. ed altri elettori non meglio identificati.
Richiamano, inoltre, le doglianze già proposte in primo grado in ordine ad alcuni errori di conteggio contenuti nei verbali, alla mancata estrazione di alcuni scrutatori, al fatto che alcune schede sarebbero state consegnate “chiuse”, nonché al fatto che alcune schede sarebbero state estratte ed aperte dal segretario di seggio in luogo dello scrutatore.
7.2. Il Collegio ritiene che le censure non meritino accoglimento. Come condivisibilmente statuito dal Tar, la circostanza che il voto di alcuni elettori, di cui peraltro gli appellanti non hanno indicato il numero complessivo, non sia stato riportato nei verbali rappresenta un mero errore di trascrizione, che non inficia il dato elettorale. Infatti, ciò che più conta, ai fini della formazione del risultato delle elezioni, è il numero (ed il contenuto) delle schede estratte dalle urne e non il numero dei votanti riportato nei verbali di ciascuna sezione.
Inoltre, giova evidenziare, le censure di carattere procedimentale tese a invalidare l’intera consultazione elettorale, devono prospettare ed esplicitare chiaramente i motivi per il quali la singola illegittimità sia idonea, con ragionevole verosimiglianza, a ripercuotersi sull’intero procedimento. Nel caso di specie, l’appellante non specifica quali siano le conseguenze fattuali e giuridiche del voto espresso da elettori, pacificamente aventi diritto al voto, ma il cui adempimento non sia stato annotato nei registri.
Parimenti ininfluenti sono le altre circostanze. A parte il fatto che gli appellanti, neanche in primo grado, hanno individuato i parametri di legge che risulterebbero violati, è di tutta evidenza che le doglianze proposte individuano, eventualmente, mere irregolarità non sostanziali, inidonee a revocare in dubbio la correttezza del dato elettorale.
8. Le motivazioni di cui sopra giustificano, altresì, il rigetto di tutte le richieste istruttorie, e, in particolare, l’istanza di verificazione. Con esse, infatti, gli appellanti mirano a far entrare nel giudizio informazioni ininfluenti rispetto alla risoluzione della controversia, con inutile aggravio dei tempi del processo e con possibile nocumento per le preziose risorse della giustizia.
9. In conclusione, l’appello dev’essere respinto.
10. Dalla reiezione del ricorso in appello discende l’improcedibilità dell’appello incidentale condizionato proposto da De Luca e Pellegrino.
11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale condizionato.
Condanna gli appellanti alla refusione delle spese di lite sostenute in grado d’appello, dal comune di (omissis) e dai sigg.ri De. Lu. Br. An. e Pe. Ka., forfettariamente liquidati in €. 1.500 per il comune, ed in €. 1.000 a favore di ciascuno dei controinteressati, oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
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