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5.3. neppure risulta rilevante la duplice circostanza (pure essa evidenziata nell’atto di appello) che l’appellante non sia destinatario di sentenza di condanna per alcuno dei reati contemplati dall’art. 380 c.p.p. e che gli sia stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena: invero, recentemente questa Sezione (sentenze 10/08/2017, n. 3869 e n. 3870, rispettivi capi 4.1.) ha respinto analoghe doglianze, nella considerazione che ;
5.4. quanto al temperamento di tale automatismo, costituito dall’ipotesi in cui lo straniero abbia legami familiari in Italia (altro argomento su cui fa leva la difesa dell’appellante), ancora la citata sentenza n. 3869/2017 di questa Sezione ha precisato (al successivo capo 4.2.) che <l’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 ricomprende i parenti entro il terzo grado tra i familiari ai quali lo straniero può chiedere il ricongiungimento e nei cui confronti trova applicazione la particolare tutela riconosciuta alla famiglia, purché siano «a carico e inabili al lavoro secondo la legislazione italiana» (art. 29, lett. d) (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 27/08/2014, n. 4393)>.
Ebbene, l’appellante non ha neppure dedotto che nel caso di specie sussista – in riferimento alla famiglia “ricongiunta”, nella quale tuttora convive – l’ulteriore e necessario presupposto dell’essere i familiari a suo carico;
5.5. per di più, va sottolineato come nel decreto questorile 24.1.2017, impugnato in primo grado, sia comunque contenuta anche una valutazione di pericolosità sociale in concreto dello straniero, laddove si evidenzia che “i molteplici comportamenti penali rivelano senza dubbio che lo stesso, non ha avuto alcuna intenzione di integrarsi nel tessuto sociale, bensì solo quella di ottenere facili guadagni, al di fuori di una normale e dignitosa attività lavorativa, ancorché meno remunerativa”;
5.6. mentre si rivela a sua volta esatto il passaggio motivazionale della sentenza appellata in cui si esclude la pertinenza “al caso di specie dei principi in materia di tutela dei minori, in quanto lo straniero è maggiorenne già da diversi anni”: in particolare, osserva qui il Collegio che lo straniero, nato nel 1991, era maggiorenne quando ha commesso il reato (ostativo e continuato) di cessione illecita di sostanze stupefacenti dall’aprile 2011 al gennaio 2013;
5.7. infondata, in punto di fatto, è poi l’ulteriore deduzione dell’appellante secondo cui la Questura avrebbe in precedenza proceduto al rinnovo del permesso di soggiorno, “pur in presenza delle stesse segnalazioni”: invero, la sentenza del G.I.P. di Parma di condanna per il suddetto reato continuato è intervenuta in data (19 novembre 2015) successiva addirittura a quella (7 settembre 2015) di presentazione da parte dell’appellante dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, del tutto evidentemente rilasciato ancor prima;
5.8. quanto, infine, alla riproposizione in questo giudizio di appello dell’eccezione formulata in primo grado circa la forma del provvedimento notificato presso la Questura di Bergamo (semplice fotocopia priva di attestazione di conformità all’originale) è sufficiente rilevare che:
i) in data 16 ottobre 2017 il Ministero dell’Interno ha depositato in questo stesso giudizio la documentazione prodotta in primo grado, tra cui la nota 6.06.2017 dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Parma nella quale si puntualizza al riguardo che <sull’atto non v’è alcuna attestazione di conformità all’originale in quanto non si tratta di una semplice copia bensì del provvedimento originale. Infatti, l’atto è stato “scaricato” dagli operatori della Questura di Bergamo, dal sistema “stranieriweb” ove tutti i provvedimenti firmati dal Sig. Questore sono caricati in formato PDF costituendo così un documento informatico originale a tutti gli effetti, così come da normativa vigente sui documenti informatici, a disposizione di tutte le forze di Polizia>;
ii) come risulta dal sito internet ufficiale della Giustizia amministrativa, tale documento è stato effettivamente prodotto avanti il Tar Parma dall’Amministrazione lo stesso giorno (7 giugno 2017) in cui il ricorso è passato in decisione ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
iii) né nell’atto di appello né successivamente all’anzidetta produzione documentale effettuata in termine (16.10.2017) dal Ministero in questo giudizio, la parte appellante ha replicato o controdedotto alcunché sul punto: ne consegue l’infondatezza anche di quest’ultima doglianza.
6. Per le considerazioni che precedono, l’appello va respinto con conseguente conferma della sentenza in epigrafe del Tar Parma.
Come già in primo grado, anche nel presente giudizio le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in complessivi euro 2000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge se dovuti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere, Estensore
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